Trimestrale di cultura civile

Luci e ombre dell’esperienza psicologica nello smart working

  • AGO 2021
  • Lorenzo Avanzi
  • Franco Fraccaroli
  • Michela Vignoli

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La pandemia ha reso dirompente il fenomeno del lavoro da remoto. Divenuto ordinario per milioni di persone. Ci si domanda in che misura, con il progressivo ritorno alla normalità, verrà a permanere questa modalità. Una questione centrale anche per l’impatto avuto dal lavoro a distanza mediato dalle tecnologie sulla psicologia delle persone. Analisi di un’esperienza a forte tasso di complessità

Introduzione
Il futuro del lavoro è oggetto di continue riflessioni da parte di studiosi di varie discipline (Harari, 2018; Baldwin, 2019; Malhotra, 2021). Si cerca di capire come lo sviluppo tecnologico, i trend demografici e l’evoluzione dei mercati potranno modificare i modi attraverso i quali si eroga e si organizza il lavoro umano. Da un lato, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno radicalmente cambiando la natura dei job con una sempre più massiccia richiesta di lavoro mentale e l’utilizzo di conoscenze specialistiche.
Nello stesso tempo, l’evoluzione tecnologica sta progressivamente cambiando il rapporto tra uomo e macchina, con l’introduzione di nuovi “attori produttivi” quali i cobot (robot che cooperano con gli umani) e l’Intelligenza Artificiale che è destinata sempre più a supportare o sostituire l’azione degli umani in vari ambiti produttivi (Cascio & Montealegre, 2016). Da un altro lato, i trend demografici incidono in modo significativo sulla composizione attuale e futura dell’offerta di lavoro con squilibri, a livello globale, molto preoccupanti: invecchiamento della popolazione e caduta dei tassi di natalità in buona parte del mondo più industrializzato, con conseguenti potenziali deficit di forza lavoro nel prossimo futuro; alti livelli di natalità e elevata disponibilità di forza lavoro, laddove invece le infrastrutture produttive sono poco sviluppate. Tali squilibri spiegano buona parte dei flussi migratori che caratterizzano la nostra epoca (Phillips & Siu, 2012). In terzo luogo, l’evoluzione dei mercati appare molto dinamica con Paesi, in passato considerati emergenti, che stanno consolidando la loro leadership in ampi settori produttivi: la Cina prima tra tutti. Oltre alle conseguenze sul piano commerciale, tale evoluzione può avere effetti significativi sulla cultura del lavoro, i modelli organizzativi, la concorrenzialità.

Il lavoro da remoto e la pandemia
I trend, qui brevemente delineati, sono al centro del dibattito da anni e sono, almeno in parte, prevedibili nelle loro conseguenze sul mondo del lavoro. Il quadro previsionale diventa molto più complesso se, a fianco di questi sviluppi, intervengono “ospiti” inattesi che perturbano in modo radicale, anche se auspicabilmente temporaneo, il modo di lavorare e gli stili di vita delle persone. Da questo punto di vista, la pandemia da Sars-Covid-19 è stata un elemento dirompente che ha creato una situazione emergenziale anche nel modo in cui le persone hanno svolto, laddove possibile, i propri compiti lavorativi.
Il lavoro da remoto, nel giro di poche settimane, è diventato la prassi ordinaria per milioni di lavoratori e lavoratrici che, in precedenza, non avevano mai, o solo in parte, sperimentato tale forma di interazione con il proprio compito lavorativo, con colleghi, superiori, clienti e utenti.
I dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali mostrano come in piena pandemia erano circa 1 milione e 800mila i lavoratori in lavoro da remoto, a fronte dei 187.000 che già utilizzavano questa modalità di lavoro prima di marzo 20201. A oggi (primo semestre 2021), si stima che siano circa 7 milioni. Spinte dalla gestione di un cambiamento improvviso e senza precedenti, molte aziende hanno dovuto cambiare il luogo di lavoro senza avere il tempo necessario per poter adeguare i processi e le attività lavorative, che dovrebbero avvenire con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi.
In molti ritengono che tale spinta inattesa alla destrutturazione spaziale e temporale del lavoro possa condizionare in modo decisivo il futuro delle organizzazioni, anche dopo la fine della
pandemia e il progressivo ritorno alla normalità delle interazioni umane e della mobilità. Cioè la pandemia avrebbe dato impulso a una tendenza già in atto, anche se ancora minoritaria, di lavoro a distanza mediato dalle tecnologie. Il processo sarebbe in qualche modo irreversibile.
Esperienze di telelavoro e di smart working erano già relativamente diffuse dalla fine del secolo scorso. La possibilità di allentare i vincoli spaziali e temporali del lavoro è via via aumentata nell’ultimo decennio grazie all’applicazione di tecnologie sempre più raffinate che favoriscono la connessione con altri, il recupero di informazioni a distanza, le modalità di coordinamento da remoto.
Lo smart working, termine divenuto familiare, è caratterizzato dalla possibilità di operare in un luogo differente dalla sede di lavoro principale. Di solito si tratta di lavoro svolto da casa, ma è diffuso anche l’utilizzo di telecentri, cioè luoghi attrezzati tecnologicamente per consentire a più lavoratori “smart”, anche di diverse aziende, di lavorare come se fossero nella loro sede (Zappalà, 2017).
I potenziali benefici di questa forma di lavoro sono abbastanza evidenti: miglioramento della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; possibile incremento della produttività; riduzione del pendolarismo, minori costi per l’utilizzo di spazi aziendali. Ma questi sono, appunto, benefici potenziali. Se si adotta un approccio non ideologico allo smart working e si cerca di esaminarne vantaggi, limiti e rischi sulla base di evidenze empiriche, allora si possono individuare numerosi punti di attenzione: oltre ai vantaggi potenziali, possono emergere rischi sul piano dell’organizzazione del lavoro e delle minacce alla salute e al benessere dei lavoratori. Mettere in evidenza questa doppia faccia dello smart working, e più in generale delle varie forme di lavoro da remoto, è il tema che approfondiremo nelle pagine seguenti, adottando un angolo visuale da psicologi delle organizzazioni e una attenzione particolare a ciò che emerge dalla ricerca scientifica (Charalampous et al., 2019).

L’esperienza psicologica tra luci e ombre
Autonomia e controllo. Lavorare in smart working coinvolge diverse dimensioni psicologiche legate all’esperienza lavorativa che la letteratura scientifica ha mostrato come fattori strettamente connessi al benessere e alla motivazione dei lavoratori. In primo luogo si pone l’accento su un aumento dell’autonomia del lavoratore e del proprio controllo sulle attività lavorative svolte. Se, infatti, aumenta la flessibilità dei vincoli di tempo e spazio, sarà la singola persona a dover decidere con una sempre maggiore discrezionalità in base agli obiettivi lavorativi da raggiungere, quale sia il momento migliore per poter svolgere determinate attività e in che modo svolgerle. Gli studi e i modelli teorici che hanno mostrato come il controllo sulla propria attività lavorativa possa avere un effetto positivo sul benessere dei lavoratori sono ormai consolidati (Karasek, 1979; Bakker e Demerouti, 2017). Tuttavia, l’aumento di autonomia e controllo nel proprio lavoro significa anche maggiori responsabilità per il lavoratore e, soprattutto, una richiesta di utilizzo di risorse di autogestione e organizzazione che non è scontato siano in possesso dei lavoratori. Possedere le risorse psicologiche e le capacità per poter gestire le proprie attività lavorative è fondamentale per il benessere dei lavoratori e per la loro prestazione lavorativa. Gestire in modo efficace e salutare le attività lavorative significa non solo avere una buona prestazione lavorativa, ma anche essere in grado di gestire in modo autonomo ed efficace i momenti di lavoro e di pausa per poter recuperare le energie mentali necessarie per poter affrontare le attività lavorative mantenendo dei buoni livelli di salute.
Tecnostress. Lavorare da remoto prevede un utilizzo costante di strumenti tecnologici, aumentando anche il rischio di tecnostress, ovvero una forma di stress dovuto all’utilizzo eccessivo della tecnologia o alla insufficiente preparazione tecnica nell’uso di tali tecnologie. Il tecnostress può assumere diverse sfaccettature, come quella della percezione di una invasione nella nostra vita privata da parte della tecnologia, ma anche di un sovraccarico lavorativo dovuto all’aumento della velocità e al moltiplicarsi degli stimoli a cui dare risposta. La tecnologia ci spinge a lavorare con più velocità e intensità, favorendo anche attività di multitasking, con tutti i rischi che ciò implica: svolgere più attività contemporaneamente è sì possibile, ma a discapito della qualità della prestazione finale (De Pisapia & Vignoli, 2021).
Confini tra ambiti di vita. Le capacità di controllo sopracitate, non fanno riferimento solo alle attività lavorative in sé (definizione delle priorità, progettazione delle modalità con le quali svolgere i compiti), ma anche al rapporto tra la sfera lavorativa e quella privata (familiare e del tempo libero). Se è vero, infatti, che più autonomia consente alle persone di poter gestire con maggiori margini di flessibilità anche la propria vita privata e familiare, è anche vero che talvolta, grazie anche alla tecnologia, i compiti lavorativi rischiano di insinuarsi nella vita privata in modo profondo e invasivo non consentendo un reale distacco psicologico dall’attività lavorativa (Sonnentag & Fritz, 2015). Distaccarsi psicologicamente dal proprio lavoro può assumere diverse forme, prima tra tutte quella di non pensare alle attività lavorative e non avere altri pensieri connessi al lavoro durante le ore non di lavoro.


In uno scenario nel quale il luogo di lavoro coincide con quello privato, distaccarsi psicologicamente dalle incombenze lavorative può essere molto complesso in quanto non vi è uno spostamento fisico (che richiede anche tempo) tra la sede di lavoro e la propria abitazione.
Collaborazione ed empatia. Si è discusso molto degli effetti dell’isolamento durante la pandemia e di come questo sia legato alla salute mentale delle persone. In parallelo, anche i contesti lavorativi sono luoghi nei quali si stabiliscono relazioni essenziali per il benessere lavorativo. Lo smart working offre meno opportunità di scambio e di confronto tra colleghi, minando quello che viene definito supporto sociale, la percezione di poter contare sull’aiuto e il sostegno di colleghi e superiori sia da un punto di vista emotivo che strumentale. La tecnologia può in questo caso creare opportunità di relazione e di contatto tra colleghi, ma sono necessarie risorse psicologiche e una modifica dei comportamenti da parte dei lavoratori per valorizzare il supporto sociale mediato da strumenti informatici.
Decadi di studi nei contesti lavorativi hanno mostrato come la percezione di un elevato supporto sociale possa avere effetti positivi sul benessere delle persone e alleviare anche gli effetti negativi delle richieste lavorative. Inoltre, gli effetti positivi delle relazioni sociali dirette si manifestano anche sulla produttività e sulla possibilità di elaborare strategie innovative per svolgere al meglio il proprio compito. Di conseguenza, lavorare a distanza può avere effetti sulla prestazione e l’innovazione se non si prevedono soluzioni organizzative che favoriscano lo scambio di esperienze e l’interazione diretta all’interno dei team.
L’aspetto che sembra rimanere più problematico nel lavoro da remoto sono proprio le relazioni fra pari, la cui qualità risente presumibilmente della distanza e della rarefazione dei contatti, soprattutto quelli informali. Va ricordato, in realtà, come le relazioni sul luogo di lavoro a volte possano esser fonte di frustrazione e contrasti e pertanto, una diminuzione dei contatti potrebbe, paradossalmente, ridurre le occasioni di conflittualità. Quest’ultima, tuttavia, può essere occasione, se ben gestita, di crescita personale e professionale, non meno della possibilità di lavorare in squadra e soprattutto poter contare sul sostegno dei colleghi nell’affrontare compiti e difficoltà lavorative (Malaguti, 2018).
Senso d’appartenenza. Proprio perché nel contesto del lavoro da remoto, il legame fra colleghi e fra i lavoratori e le loro organizzazioni potrebbe diventare meno tangibile, il ruolo degli aspetti psicosociali potrebbe rivelarsi allora ancora più importante. Un ruolo decisivo potrebbe giocarlo il senso d’appartenenza. Pur non essendo del tutto chiara la direzione di questa relazione, sappiamo che l’isolamento fisico tende a correlare negativamente con il senso d’appartenenza organizzativa (Bartel, Wrzesniewski, & Wiesenfeld, 2012), ma anche che, di per sé, il lavoro da remoto è associato a un maggior coinvolgimento affettivo con la propria organizzazione, soprattutto per i lavoratori più giovani (Martin & MacDonnell, 2012). Incrementare il senso d’appartenenza dei lavoratori da remoto, diventa allora importante per rispondere a entrambe le sfide, quella del benessere lavorativo e quella dell’efficacia organizzativa. Infatti, da un lato un forte senso d’appartenenza aumenta il supporto percepito riducendo il distress psicologico; dall’altro incrementa il senso di essere una squadra, migliorando il coordinamento e la cooperazione in vista di un obiettivo comune.

Conclusioni
Abbiamo cercato di mostrare, sulla base dei dati tratti da ricerche psicologiche, come la dispersione e dislocazione dei lavoratori “virtuali” e il conseguente rischio di isolamento, possono rappresentare un pericolo sia per la salute sia per l’efficacia organizzativa, in termini di minor coordinamento delle attività lavorative e valutazione dell’operato dei dipendenti. Nello stesso tempo, vi sono evidenze empiriche che mostrano come il lavoro da remoto, sia in generale associato, da un lato, alla percezione dei dipendenti di un maggior controllo e autonomia sul lavoro e di minor conflitto lavoro-famiglia, dall’altro, con minor stress, minore intenzione di lasciare la propria organizzazione e migliori performance (Gajendran & Harrison, 2007).
Sono diversi i fattori che possono spiegare un andamento dei dati così differenziato: le caratteristiche di personalità dei lavoratori e delle lavoratrici, come ad esempio il bisogno individuale di affiliazione; il tipo di lavoro (bassa vs alta professionalità) con le persone più specializzate che possono trarre maggiori benefici dal lavoro a distanza; l’età dei lavoratori, con i più anziani che sembrano più esposti a rischi di tecnostress; la quantità di ore che il lavoratore dedica all’attività da remoto nella sua settimana (un eccesso di lavoro a distanza può avere effetti deleteri su senso di isolamento sociale e affievolimento dei legami organizzativi); la percezione di non considerarsi lavoratori di “serie B” rispetto ai colleghi che lavorano in presenza, in termini di opportunità di carriera e trattamento.
A fronte di questo quadro così complesso e ricco di variabili intervenienti, è chiaro che un ruolo decisivo può essere giocato da chi gestisce i processi organizzativi e le modalità di realizzazione del lavoro da remoto. Predisporre adeguate attività formative per il personale nell’uso delle tecnologie e nella gestione dell’autonomia; adeguare le attività di definizione degli obiettivi e di valutazione della performance; preparare i responsabili a una modalità più flessibile di gestione dei processi di valutazione dei collaboratori. Questi sono alcuni esempi di politiche di gestione del personale che è necessario mettere in atto prima di attivare misure di smart working su ampia scala. Questa volta, ci auguriamo, senza la pressione di una emergenza pandemica.

NOTE

1 Qui si possono richiamare diverse fonti. Innanzitutto lo scoreboard sociale dell’Unione europea accessibile su https://composite-indicators.jrc.ec.europa.eu/social-scoreboard/ . Molto informativo è anche il rapporto annuale di Eurostat sull’implementazione dell’agenda 2030. Si possono poi richiamare gli osservatori sul lavoro in distacco transnazionale dell’Istituto sindacale europeo (www.etui.org) e di Eurofound (https://www.eurofound.europa.eu/it) . Un osservatorio sindacale di scala globale è promosso con i rapporti nazionali sullo stato della agenda sociale dello sviluppo sostenibile dalla Confederazione internazionale dei sindacati https://www.ituc-csi.org/2030Agenda .
2 La sentenza è consultabile qui https://www.bailii.org/ew/cases/EWCA/Civ/2021/952.pdf
3 Vedasi soprattutto il rapporto Work for a Brighter Future, Global Commission on the Future of Work, International Labour Office – Geneva: ILO, 2019 e inoltre il documento ILO Centenary Declaration for the Future of Work, 2019. Sono rilevanti le conclusioni del documento liberato dal G7: Our Shared Agenda for Global Action to Build Back Better, consultabile qui https://www.consilium.europa.eu/media/50361/carbis-bay-g7-summit-communique.pdf che istruirà le conclusioni del G20 che concluderà i suoi lavori nell’ottobre 2021. Intanto i ministri del lavoro (configurazione L20) hanno adottato una dichiarazione che riconosce la necessità di rafforzare la tutela del lavoro sulle piattaforme digitali (Fostering an inclusive, sustainable, and resilient recovery of labour markets and societies G20 Labour and Employment Ministerial Declaration June 23, 2021, Catania) – consultabile su https://www.g20.org/wp-content/uploads/2021/06/G20-2021-LEM-Declaration.pdf
4 Si tratta dell’Indice di Sviluppo Sostenibile e Lavoro Decente (#EU_SDG8 index). Costruito sul modello sviluppato dalla Confederazione mondiale dei sindacati, l’indice può essere consultato a questo sito https://est.etuc.org/?page_id=858. La metodologia sviluppata da ASVIS può essere consultata su https://est.etuc.org/?p=123
5 Vedasi ETUC, Business Europe, SGI Europe, SME United: Supplementing GDP as welfare measure: proposed joint list by the European Social Partners, 31 marzo 2021. Consultabile su https://est.etuc.org/wp-content/uploads/2021/05/FINAL-BEYOND-GDP-SOCIAL-PARTNERS-EU.pdf
6 Vedi Global Progress Survey by YouGov, How people in industrialized countries perceive the outlook for their post-pandemic future By Matt Browne & Hans Anker
7 La Confederazione internazionale dei sindacati ha lanciato una petizione mondiale per forzare Amazon al rispetto umano dei lavoratori, al rispetto del diritto alla sindacalizzazione e all’impegno a praticare la contrattazione collettiva. Vedi più ampiamente https://petitions.ituc-csi.org/new-job?msdynttrid=puci7l6QgTsMML8ZdJqT8IaW7AOPNZ-d5XUWc-A334Y&lang=en

Riferimenti bibliografici
Baldwin R. (2019), The globotics upheaval: globalization, robotics, and the future of work, London, Weindenfeld & Nicholson, ed it. Rivoluzione Globotica, Il Mulino, Bologna 2020.
Bartel C.A., Wrzesniewski A., & Wiesenfeld B.M. (2012), Knowing Where You Stand: Physical Isolation, Perceived Respect, and Organizational Identification Among Virtual Employees, in Organization Science, 23, pp. 743-757.
Bakker A.B. & Demerouti E. (2017), Job Demands-Resources Theory: Taking Stock and Looking Forward, in Journal of Occupational Health Psychology, 22(3), pp. 273-285.
Cascio W. F., & Montealegre R. (2016), How technology is changing work and organizations, in Annual Review of Organizational Psychology and Organizational Behavior, 3, pp. 349-375.
Charalampous M., Grant C. A., Tramontano C., & Michailidis E. (2019), Systematically reviewing remote e-workers’ well-being at work: A multidimensional approach, in European Journal of Work and Organizational Psychology, 28(1), pp. 51-73.
De Pisapia N. & Vignoli M. (2021), Smart working mind. Strategie e opportunità del lavoro agile, Il Mulino, Bologna.
Karasek R. (1979), Job Demands, Job Decision Latitude, and Mental Strain: Implications for Job Redesign, in Administrative Science Quarterly, 24(2), pp. 285-308.
Gajendran R.S., & Harrison D.A. (2007), The Good, the Bad, and the Unknown About Telecommuting: MetaAnalysis of Psychological Mediators and Individual Consequences, in Journal of Applied Psychology, 92, pp. 1524 -1541.
Harari Y.N. (2018), 21 Lesson for the 21st century, Eed. It. 21 Lezioni per il XXI secolo, Bompiani, Milano.
Malaguti D. (2018), Fare squadra. Psicologia dei gruppi di lavoro, Il Mulino, Bologna.
Malhotra A. (2021), The postpandemic future of work, in Journal of Management, 47, pp. 1091-1102.
Martin H.B., & MacDonnell R. (2012), Is telework effective for organizations? A meta-analysis of empirical research on perceptions of telework and organizational outcomes, in Management Research Review, 35, pp. 602-616.
Phillips D. R. & Siu O.I. (2012), Global aging and aging workers, in J.W. Hedge & W.C. Borman (a cura di), The Oxford handbook of work and aging, Oxford University Press, pp. 9-32.
Sonnetag S. & Fritz C. (2015), Recovery from job stress: The stressor-detachment model as an integrative framework, in Journal of Organizational Behavior, 36(1), pp. 72-103.
Zappalà S., Smart working e fattori psico-sociali, in Smart working: una prospettiva critica, TAO Digital Library, Bologna 2017, pp. 15-22.

 

 

Franco Fraccaroli è professore ordinario di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e prorettore al benessere organizzativo e ai rapporti con il personale dell’Università di Trento. Michela Vignoli è ricercatrice in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, coordina il Well-Being at Work Lab dell’Università di Trento. Lorenzo Avanzi è professore associato del Dipartimento di Psicologia e scienze cognitive dell’Università di Trento.

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