Come si è messo in moto il mondo davanti all’ospite inatteso e sgradito. Il ruolo della scienza, le responsabilità della politica, le efficaci risposte sussidiarie in Sud America. Cosa c’è dentro il primo numero di Nuova Atlantide. Un medico lo ha letto per intero mettendo in evidenza alcuni aspetti dei numerosi e qualificati contributi.
La premessa è doverosa. Gli approfondimenti di questo numero di Nuova Atlantide sono antecedenti l’avvio della fase di somministrazione dei vaccini. Si tratta di contributi di alto livello che aiutano – nel soffermarsi su diversi aspetti – a una maggiore comprensione della pandemia comunque tutt’ora in atto. Ma, soprattutto, a tracciare un percorso che guarda oltre. Pur rimanendo viva e suggestiva l’immagine espressa da Fabrizio Pregliasco quando scrive che “abbiamo lasciato che l’iceberg della pandemia si radicasse in tutta la penisola e ora la diffusione viaggia a ritmi impensabili fino a pochi mesi fa, senza lasciarci intravvedere, questa volta, una tempistica ragionevole di miglioramento e dunque con un impatto sociale ed economico prevedibilmente gravissimo”.
Il numero si presenta, dunque, come un percorso. Un’indagine scientifico/culturale che si concentra su alcuni aspetti del fenomeno attraverso uno sviluppo del racconto e un linguaggio il più possibile comprensibili a una fascia ampia di lettori.
In questo caso si può dire che la parola è alla scienza. Interlocutori italiani, certo; ma anche autorevoli contributi di accademici che operano nel mondo in importanti sedi universitarie. Dunque, ci si ritrova a partecipare di un itinerario sostanzialmente diviso in due parti. La prima, per l’appunto, indicata come “la voce della scienza”; la seconda, un ideale giro del mondo per conoscere da vicino come diversi Paesi hanno saputo e potuto contrastare l’arrivo sulla scena dell’imprevisto Covid. E con uno sguardo al Sud America, nella fattispecie un’incursione in Argentina e Brasile, dove il narrato di due storie definisce in modo emblematico e istruttivo come l’impianto della cultura sussidiaria sia capace di rispondere nella concretezza del quotidiano al bisogno della gente, in uno spirito di forte collaborazione.
Sostenersi e correggersi
Il già citato Fabrizio Pregliasco, in avvio, spiega la natura e la pericolosità di questo virus che, per le sue caratteristiche, diventa un problema assai complesso da risolvere. E scrive come “è necessario limitare le polemiche e le dispute televisive, particolarmente dannose laddove la risposta richiede compattezza. Anche la distinzione ‘morto per’ o ‘morto con’ ha poco senso in quanto i medici ci dicono che se non fosse stato per i contributo del Covid questi pazienti, benché gravi, grazie all’assistenza sanitaria sarebbero sopravvissuti molto più a lungo”.
E Walter Ricciardi avverte che “ciò che sta accadendo oggi in Italia era prevedibile, ma non è stata adeguatamente colta l’occasione per potenziare la copertura sanitaria sul territorio, così che ci ritroviamo nuovamente con un intasamento degli ospedali che si sono dovuti largamente riconvertire in strutture Covid, abbandonando i malati affetti da altre patologie gravi.
I medici di medicina generale sono soggetti convenzionati con il Sistema Sanitario Nazionale e, dunque, possono scegliere il livello di rischio da correre in caso di pandemia, ossia quando intervenire al domicilio e quando gestire a distanza. La sanità pubblica, che aveva assistito negli anni passati a un progressivo impoverimento di strumenti e di personale, non è stata adeguatamente sostenuta dopo la prima ondata epidemica e le polemiche politiche hanno da un lato frammentato la risposta a livello regionale, dall’altro impedito che si ottenessero gli aiuti europei previsti dal MES”.
Con Camillo Rossi entriamo agli Spedali Civili di Brescia. Lui dice dalla prima linea: “La novità portata dal Covid ha sollecitato tutti gli operatori sanitari a sostenersi e a correggersi, generando rapporti professionali e umani e un modo più intenso di collaborare per il bene dei malati. Questa dovrebbe essere la normalità della vita lavorativa, ma l’imprevisto ha aumentato la creatività e la collaborazione. ‘Era necessario che l’eroico diventasse quotidiano ed il quotidiano eroico’, ha scritto un primario citando san Giovanni Paolo II. Tutto il personale ha mostrato dedizione e non di rado si è fermato ben oltre il termine dell’orario di lavoro. Questa situazione ha chiesto a ciascuno di superare i suoi limiti e i suoi egoismi, riscoprendo il vero senso dell’umano”.
Gli effetti sulla psiche dell’ondata pandemica
Una delle emergenze venute alla ribalta con il manifestarsi del Coronavirus è l’impatto in termini di sofferenza psichica. Due contributi ci aiutano a riflettere su un tema presente nel dibattito ma non ancora centrale – se non per episodi eclatanti e nel richiamo sui media generalisti. Cesare Maria Cornaggia evidenzia “l’impatto che la pandemia ha avuto, sia su soggetti affetti da psicopatologia, sia su soggetti precedentemente indenni. L’ondata epidemica è stata caratterizzata da paura, incertezza, senso di ignoto e morte della relazione a causa dell’isolamento per quarantena e per lockdown, che ha impedito persino la possibilità di accompagnare i propri cari in punto di morte e spesso di partecipare alle esequie.
Inoltre con il Covid la percezione dell’altro, già piena di sospetto in tempi normali, è divenuta quella di un potenziale pericolo da cui difendersi, una minaccia. Il lockdown ha aggiunto in molti un Disturbo Post-traumatico da Stress, caratterizzato per lo più da confusione e rabbia. La situazione ha causato un danno economico al 42% della popolazione e aumentato la percentuale di depressione del 30%. In particolare è da considerare preoccupante l’insonnia, causata dalla preoccupazione e dalla paura, che non di rado sfocia in depressione e da qui in atteggiamenti anticonservativi. Nell’ondata epidemica si è registrato un aumento di 71 suicidi in Italia.
Un altro fenomeno preoccupante che si è osservato è stato l’aumento del consumo di alcool e tabacco e l’aumento della dipendenza dai giochi online, e sono aumentati i casi di violenza domestica. All’estremo opposto si è osservato un calo importante dei ricoveri in psichiatria – fino a -53%, legato anche alla necessità di mantenere nei reparti misure anti-Covid che hanno drasticamente ridotto la disponibilità di posti-letto – e degli accessi in Pronto Soccorso per motivi psichiatrici (-52%), prevalentemente per la paura di contrarre l’infezione in ospedale, oltre che per la trasformazione stessa delle strutture.
Un altro fattore in molte persone è stato l’improvviso trovarsi privi di ansia da prestazione e da confronto, in quanto il lockdown ha abolito la quotidianità con la sua componente stressogena. Non era più richiesta alcuna performance, non vi erano più sollecitazioni e sensi di inferiorità. Tuttavia, la seconda ondata a cui stiamo assistendo potrebbe aprire scenari peggiori in quanto nessuno sa ancora quanto potrebbe durare. Diversi specialisti si stanno attrezzando per controlli ambulatoriali in telemedicina. Infine, parte della psicopatologia che si osserva potrebbe essere legata a una attività neurotropa da parte del virus stesso.
Lugi Ballerini si occupa degli effetti del lockdown fra le mura di casa. Spiega: “Il primo è stato la scomparsa del concetto di appuntamento, di qualcuno da incontrare, di qualcosa da fare, il motivo ad esempio per cui al mattino ci laviamo e cerchiamo di vestirci bene. Le porte delle nostre case sono diventate mura invalicabili, separando definitivamente il dentro dal fuori. Questo ha evidenziato molte situazioni complicate, spesso spiacevoli, in cui il virus ha fatto semplicemente da cartina di tornasole dello stato di salute delle relazioni interpersonali domestiche. Fra i giovani chi lavorava poco e male spesso ha smesso di farlo e le lezioni online potevano essere disertate, e così in generale chi aspettava un’occasione di disimpegno e di chiusura. Qualcuno ha avuto addirittura un sollievo dal non doversi confrontare con gli altri, ma si è trattato di un benessere artificioso, a rischio di gravi contraccolpi. Tuttavia laddove le famiglie erano sane, fondate su valori positivi e aperte al mondo esterno, dove ogni membro percepiva una propria funzione unica e una propria responsabilità, il lockdown ha consentito di gustare uno spazio di rapporti spesso turbati dalla frenesia della vita, una pace intesa non come assenza di conflitti ma come sapersi trattare con dinamicità, apertura e disponibilità. Anche la didattica è stata messa alla prova e ha funzionato laddove si è creato un rapporto, in cui docenti e studenti si sono messi in gioco con condivisione e solidarietà. Tuttavia, in generale, si ha oggi la sensazione che tutto questo, che poteva essere fonte di un vero cambiamento, sia stata in realtà un’occasione persa di cui oggi, di fronte alle nuove ondate, non sappiamo più recuperare il capo del filo”.
La crescita del senso di responsabilità
Imparare è un verbo che ritorna spesso in questo numero, esplicitato o anche solo richiamato per via implicita, nelle cose, nelle situazioni di fatto. Antonello Zangrandi, ad esempio, invita a tenerne conto come opportuno elemento valoriale. Per aiutarsi a comprendere con più efficacia le criticità e per tratteggiare sviluppi virtuosi dei sistemi sanitari. Infatti, “occorre imparare dalla provocazione della pandemia. Anzitutto, come si è evidenziato nella prima ondata, la motivazione e il senso di responsabilità dello staff sono fonte di qualità e di performance. Tuttavia l’emergenza è una eccezione ed è quindi necessario valutare come sostenere la motivazione nel lungo termine, attraverso un sistema premiante”.
Con Michael Sparer siamo negli Stati Uniti. In un altro modo di intendere la sanità. La forma di contrasto adottata in quel Paese fa discutere. E, scrive Sparer, vi è una certa attesa per vedere se il cambio della guarda alla presidenza degli USA porterà con sé qualche elemento di profonda discontinuità con l’amministrazione precedente. Il suo contributo merita attenzione perché aiuta a capire come quel Paese sia giunto a questa forma di sanità e di come la sanità pubblica stia soffrendo per mancanza di contributi federali. Tuttavia, l’autore afferma che difficilmente negli Stati Uniti si arriverà a una sanità di tipo universalistico. Non è nella loro storia, non è nella loro tradizione.
E, ovviamente, il verbo imparare, che implica il frequentare i territori della conoscenza, è un elemento decisivo nell’intervento proposto dalla rettrice dell’Università degli studi di MilanoBicocca, Giovanna Iannantuoni. Il suo racconto delinea la fotografia dell’impegno messo in atto dall’ateneo durante il primo lockdown. Riferisce di un entusiasmo che non si è spento nell’impatto pur drammatico con il Covid. Scrive: “Dal 24 febbraio è stata presa la decisione comune, condivisa con gli altri atenei milanesi, di sospendere le lezioni in presenza e dunque è iniziata l’attivazione delle modalità digitali virtuali per non perdere nulla della ricerca e della didattica, lavorando da casa. Si è passati da 40.000 a 33 presenze. Si è creata una unità di crisi per applicare le direttive nazionali e regionali. È stato sviluppato il ‘Progetto Bicocca per la cittadinanza’ con attività didattiche, progetti di ricerca e servizi al territorio. Si sono concluse oltre 3.000 lauree e, appena è stato possibile, sono stati indetti i Bicocca Graduation Days, cominciando con gli infermieri, da subito chiamati in prima linea nella lotta al Covid. È stata garantita la gratuità nelle residenze universitarie anche per i neolaureati che non potevano trovare altra collocazione e si è favorito il rientro degli studenti all’estero o almeno la loro partecipazione alla didattica, al fine di non far perdere occasioni. È stato creato uno sportello per aiutare gli studenti in difficoltà, i Bicocca University Angels. È stata perseguita la ricerca e innovazione anche in ambito Covid, con la creazione di un ‘Milano Ventilatore Meccanico’, strumento innovativo replicabile rapidamente su larga scala grazie alla semplicità dei suoi componenti. In collaborazione con Multi Medica è stata offerta a tutti i dipendenti la possibilità di controllare il loro stato sierologico rispetto al Covid. Infine è stata promossa per gli studenti la possibilità di didattica sincrona e asincrona, fornendo a tutti, in previsione dell’ondata autunnale, router e SIM”. Attrezzarsi per ripartire, insomma. Pur dentro un quadro di complessità che persiste e chiama a nuovi interventi rendendo feconda l’esperienza maturata nei mesi scorsi.
La frontiera delle nuove tecnologie
Con Andrea Mariani e Alberto Sangiovanni-Vincentelli entriamo nella nuova frontiera della telemedicina e dell’intelligenza artificiale quali metodi per rilevare e contenere la diffusione di malattie. In entrambi i casi parliamo di esperienze in atto negli Stati Uniti. Annota Mariani: “L’attivazione della telemedicina richiede un investimento importante in termini economici e strutturali e la bontà dello strumento dipende da come viene utilizzato. Se la finalità è massimizzare il numero di prestazioni, riducendo il tempo di ogni visita, il rapporto medico paziente e anche il risultato ne saranno danneggiati.
Se invece l’obiettivo è seguire il paziente in maniera più ravvicinata, il rapporto può venire potenziato, superando le difficoltà dei pazienti a recarsi all’ospedale di riferimento, utilizzando ricorse locali (ad esempio laboratori e poliambulatori) e consentendo consulti con il medico di medicina generale del paziente”.
E avverte: “In definitiva la telemedicina si pone come uno strumento capace di aprire nuovi orizzonti e di facilitare una collegialità di approccio al paziente. Come tutti gli strumenti la sua utilità dipenderà drammaticamente dalle finalità con cui sarà utilizzato”. Dal canto suo Sangiovanni-Vincentelli presenta il “C3 DTI Covid-19 Project, un progetto per l’acquisizione rapida e l’interpretazione di dati su malattie nuove volto ad acquisire nuove conoscenze. Il progetto si basa sull’utilizzo di algoritmi informatici combinati fin dalla fase iniziale in cui arriva una malattia nuova, non appena il personale medico inizia a capire di essere di fronte a qualcosa di nuovo che non si conosce, prima che incominci a proliferare, metodi validati dalla capacità di capire la probabilità che un impianto di condizionamento si potesse rompere a breve, a partire dall’osservazione di un rumore inusuale e nuovo. Si tratta di riuscire ad identificare i problemi incipienti che non sono ancora arrivati a creare un danno grave ma segnalano un problema imminente a cui può essere applicata un’operazione preventiva”. L’autore chiarisce che “la ricerca affronta il problema dell’insufficienza di dati pregressi in situazioni di novità rispetto al passato, cercando modelli di confronto, come la polmonite o il SARS-1, per vedere cosa sia possibile trasferire a questo nuovo caso, con tecniche, dette transfering tecniques, che prendono le conoscenze di un settore e le trasportano in un altro settore contiguo”.
Insegnamenti sussidiari dal Sud America
Con la seconda parte, chiamata “Il giro del mondo”, la rivista ospita interventi dall’Italia, da Bruxelles, dagli Stati Uniti, dal Brasile e dall’Argentina. Il focus italiano è a cura del commissario straordinario Domenico Arcuri, convinto che solo da un ritrovato rapporto collaborativo fra pubblico e privato possa uscire un modello di sanità equilibrato e virtuoso. Alessandra Zampieri, dalla Commissione Europea, spiega il lavoro che stanno svolgendo tremila ricercatori scientifici nel fornire dati scientifici ed evidenze per assistere le politiche locali nei Paesi membri. Con esempi concreti come l’assistenza all’OMS nella lotta all’informazione falsa e alla cosiddetta “infodemics”.
Paul Barach, partendo dalla situazione complicata che stanno vivendo gli Stati Uniti, nel suo contributo mette di fronte, per così dire, la politica globale alle proprie responsabilità. Lo stato delle cose lo porta a far notare come il mondo sia attraversato da una profonda crisi di sfiducia e l’impegno concreto dovrà misurarsi proprio con la sfida di recuperare la fiducia perduta dei cittadini del mondo. E comprendere come si sia arrivati a questa dolorosa frattura è il primo passo per avviare un percorso di risalita. Non ci si può arrendere.
Argentina e Brasile, direi due casi emblematici. Due risposte dal basso – ed è qui la ritrovata centralità della cultura sussidiaria – davanti all’oggettività di situazioni molto drammatiche causate dalla pandemia. Una mobilitazione di settori della società civile nella forma originale dell’autogoverno. Laddove, davanti al sopraggiungere del Covid con la conseguente emergenza sanitaria ed economica e con le istituzioni pubbliche che hanno di fatto interrotto la propria presenza nei luoghi periferici del bisogno, quel che è venuto a crescere come esperienza umana e supporto concreto anche con interventi di personalità qualificate, segnala una novità su cui riflettere. Una risposta che non è solo una forma di contrasto e quindi valida unicamente nelle fasi acute di emergenze, ma un metodo aggregativo e dialogante a tutto tondo. Un suggerimento di vita inclusivo e propositivo che, per il pilastro educativo e culturale che lo sorregge, rappresenta un’opportunità che non conosce confini. Storie sussidiarie di cui tenere conto.