Trimestrale di cultura civile

Promuovere l’occupazione giovanile. Gli ecosistemi imprenditoriali all’opera

In Africa queste realtà innovative sono sistemi inusuali di attori interdipendenti che si relazionano direttamente o indirettamente per sostenere la creazione e la crescita di nuove imprese. La loro è una missione fondamentale per contribuire a disegnare un futuro di sviluppo sostenibile e una crescita inclusiva per tutto il continente. Non bruciando la domanda di lavoro creativo che viene dalla gioventù.

Introduzione
Almeno 420 milioni di persone in Africa – o più del doppio della popolazione dell’Europa occidentale – sono giovani (Adesina, 2018). Gli studi dimostrano che solamente uno su sei ha un lavoro salariato e, rispetto ad altre parti del mondo, i restanti hanno lavori vulnerabili (vedi Figura 1) o sono disoccupati. Si stima che il continente abbia bisogno di creare tra i 12 e i 181 milioni di posti di lavoro aggiuntivi ogni anno per contenere la disoccupazione (Adesina, 2018). Anche se queste cifre vengono contestate da alcuni esperti, in Africa ci sono almeno 92 milioni di giovani che cercano lavoro ogni anno (Fox, 2021). È un problema che continua a persistere, nonostante il fatto che le economie dell’Africa abbiano riscontrato una ripresa economica sana – con sei dei suoi Paesi tra le economie con la crescita più rapida del mondo – nell’ultimo decennio. Nonostante questa grande sfida della disoccupazione, in Africa si sta raccontando un’altra storia, realizzata con il contributo degli ecosistemi imprenditoriali nel continente.

La risposta alla crisi della disoccupazione è stata intensa, con la proposta di diversi interventi da parte di molti attori, come nel caso di istituzioni terziarie che promuovono programmi di formazione specializzati e l’incubazione di nuove imprese o di imprenditori sociali che si dedicano alla formazione dei giovani in settori specializzati per la creazione di posti di lavoro. In sintesi, si è trattato di molti attori coinvolti per aiutare le persone a superare problemi come quello della povertà.

Le origini della disoccupazione giovanile in Africa
Dagli anni Sessanta, quando la maggior parte dei Paesi ha ottenuto l’indipendenza, i Paesi africani hanno posto la creazione di posti di lavoro in cima alla loro agenda di sviluppo, ma la rapida crescita della popolazione ha messo sotto pressione le risorse disponibili e ha avuto un impatto negativo sugli africani stessi3. Ha ostacolato il benessere e lo sviluppo umano, determinando uno standard inferiore dei servizi, come nel caso dell’istruzione e della salute, nonché del benessere economico generale.

Di conseguenza, l’Africa è in ritardo nell’indice di sviluppo umano (ISU) rispetto ad altre regioni del mondo. Un recente studio longitudinale effettuato tra il 2010 e il 2019 ha rivelato che esiste una forte relazione tra ISU e disoccupazione4 (Sumaryoto et al., 2020).

Una scarsa istruzione, ad esempio, è associata a un’alta disoccupazione. La mancata connessione tra i responsabili politici dell’istruzione e quelli del lavoro danneggia il processo di convergenza tra domanda e offerta di lavoro. Nwambam & Eze (2017, 549) sostengono infatti che “i pianificatori dell’istruzione dovrebbero essere più proattivi nell’identificare i problemi della disoccupazione, analizzando la loro relazione con il sistema educativo e l’economia in modo da poter determinare le opzioni politiche”. L’assenza di una pianificazione dettagliata e collaborativa all’interno dei Paesi ha dato origine a molte altre cause di disoccupazione, tra cui il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.

 

Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro
Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è la maggiore causa di disoccupazione in Africa. I giovani che escono dai diversi sistemi educativi del continente sono sottoqualificati o sovraqualificati per i lavori sul mercato. L’attenzione dei sistemi educativi è orientata verso un’istruzione superiore che crea una percezione sbagliata dell’Istruzione e Formazione Tecnica e Professionale (Technical and Vocational Education and Training, TVET), come riservata ai perdenti. Questa mancanza di sviluppo delle competenze artigianali ha effetti negativi sui mercati del lavoro quando tali abilità non sono disponibili.

Molti dei grandi progetti in Africa, che richiedono falegnami, muratori e idraulici oggi vengono realizzati da appaltatori cinesi o indiani, mentre gli africani disoccupati guardano dalla periferia perché non hanno le abilità richieste o hanno diplomi universitari (troppo qualificati per i lavori disponibili).

Il continente può facilitare la transizione scuola-lavoro sviluppando dei meccanismi appropriati, ma gli studi hanno dimostrato che la maggior parte dei Paesi africani sono deboli nella transizione scuola-lavoro (school-to-work transition, SWT) per i giovani (UNICEF, 2019)5. Di conseguenza, l’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro è inadeguata. Il rapporto dice, inoltre, che almeno il 20% dei giovani non è impegnato nell’istruzione, nel lavoro o nella formazione e che la maggioranza di questi sono donne. I dati della School-to-Work Transition Survey mostrano che nei Paesi meno sviluppati (Least Developed countries, LDC) in Africa, il tasso di disoccupazione è più alto per coloro che hanno un’istruzione secondaria e terziaria o superiore rispetto a coloro che hanno un’istruzione di base o nessuna, il che implica una mancata corrispondenza tra le competenze e le aspirazioni dei giovani e le richieste del mercato del lavoro.

 


Industrializzazione e digitalizzazione
L’Africa ha un settore manifatturiero debole, che tradizionalmente è il motore dello sviluppo economico e della creazione di posti di lavoro. L’allontanamento dal modello tradizionale di sviluppo economico ha dato luogo a un intenso dibattito tra alcuni economisti i quali sostengono che il continente non potrà mai raggiungere i suoi obiettivi economici. Le economie del continente stanno, invece, emergendo dai servizi commerciali e dalle agroindustrie che assomigliano all’industrializzazione tradizionale, così come dai servizi basati sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) e dal turismo (Coulibaly, 2018).
La divisione tra coloro che ancora sperano che il continente si industrializzi (Page, 2011; Signé & Johnson, 2018) e quelli che suggeriscono che il modello di sviluppo tradizionale abbia fallito o che non sia in grado di portare risultati simili a quelli dell’Asia (Stiglitz et al., 2013), suscita preoccupazioni sulla futura capacità del continente di affrontare le sfide della disoccupazione.

Eppure, a oggi c’è davvero poca conoscenza sul futuro della tecnologia e sulla sua capacità di agire come motore dello sviluppo economico e della creazione di posti di lavoro. L’urgenza di colmare questo vuoto è fondamentale. Anche se la digitalizzazione promette di fornire molti posti di lavoro ai giovani in Africa, le infrastrutture, le carenze della rete Internet e la mancanza di competenze digitali in alcuni Paesi rappresentano un ostacolo.

Di conseguenza, solo pochi Paesi (come Sudafrica, Nigeria, Kenya e Ghana) hanno effettivamente sviluppato un’economia digitale e ne hanno migliorato la produttività fornendo lavoro ai giovani. Tra gli altri Paesi che possono beneficiare di un’economia digitale vi sono Etiopia, Camerun, Uganda e Zimbabwe, ma i blocchi di Internet subiti in passato per convenienza politica minano i potenziali posti di lavoro per i giovani.

 

Gli ecosistemi imprenditoriali per sostenere l’occupazione giovanile
Gli ecosistemi imprenditoriali sono sistemi inusuali di attori interdipendenti che si relazionano direttamente o indirettamente per sostenere la creazione e la crescita di nuove imprese (Cavallo et al., 2019). Può trattarsi di imprenditori sociali, gruppi religiosi, governi locali, fondazioni, enti benefici, come anche di aziende private impegnate nello sviluppo dell’imprenditorialità locale o regionale.

Il loro sostegno può presentarsi sotto forma di promozione di creatività e innovazione, messa a punto di servizi di sviluppo commerciale, incubazione o accelerazione per favorire il successo imprenditoriale.

Negli ultimi due decenni, molti di questi attori dell’ecosistema hanno dimostrato che non è tutto perduto per l’Africa. Si stanno verificando cambiamenti significativi che stanno contribuendo all’imprenditorialità e alla gestibilità della popolazione, con lo scopo ultimo di affrontare la disoccupazione giovanile e fornire supporto alle varie sfide sociali di questi Paesi (per esempio acqua, elettricità, ecc.).
Istituzioni terziarie che promuovono le opportunità di lavoro
L’istruzione svolge un ruolo fondamentale nell’occupabilità. Come i Paesi provvisti di forti programmi applicati, l’Africa dovrebbe riconsiderare gli attuali programmi universitari e altri programmi didattici che fino a ora non sono riusciti a far corrispondere la loro formazione alla domanda dei datori di lavoro. L’Africa dovrebbe innanzitutto adottare programmi tecnici e pratici per migliorare determinati ambiti come manifattura, TIC o ingegneria. Infatti, gli aspetti pratici della formazione, come gli stage obbligatori, potrebbero ridurre l’attuale divario tra le conoscenze acquisite all’università e ciò che i datori di lavoro richiedono. Questa necessità così importante ha portato all’espansione di molti TVET terziari, e attraverso di essi l’Africa può migliorare significativamente la capacità delle risorse umane.

 

Questo è il caso, per esempio, della Companionship of Workers Associations (COWA), in Uganda, che mira a dotare i suoi studenti di conoscenze, abilità, valore e atteggiamento positivo per permettere loro di scoprire quanto valgono vivendo appieno il loro potenziale e accedere con competenza al mondo del mercato del lavoro6.

Allo stesso modo, l’African Leadership University7 è un’istituzione terziaria esclusiva, con campus a Mauritius e in Ruanda, con la missione di realizzare 25 campus in tutto il continente e produrre 3 milioni di giovani leader africani nei prossimi cinquant’anni (vedi il box).

 

 


African Leadership University
L’African Leadership University (ALU) è stata avviata dall’investitore sociale ghanese, Fred Swaniker, con l’obiettivo di preparare gli allievi a un approccio esclusivo all’apprendimento individualizzato che sviluppa le giuste competenze di cui i giovani imprenditori avranno bisogno per il futuro. Questa istituzione cerca di sfruttare le caratteristiche essenziali per creare una vita mirata a una missione che abbia un impatto e uno scopo.
Il programma ALU combina l’apprendimento e l’esperienza lavorativa in modo tale che, al momento della laurea, gli studenti avranno un anno intero di esperienza lavorativa in una varietà di organizzazioni a livello locale e internazionale. Si tratta di un’esperienza che permette loro di creare una connessione profonda con i potenziali datori di lavoro e che li dota degli strumenti per risolvere i problemi del mondo reale. Gli studenti sono esposti al mondo del lavoro, dando loro un vantaggio rispetto ai normali laureati nell’ottenere un impiego o nell’avviare una propria impresa.
A differenza delle università tradizionali, il 100% degli iscritti al corso 2019 di ALU è stato collocato in opportunità produttive (impiego, imprenditorialità o studi ulteriori) entro sei mesi dalla laurea. Quelli che hanno scelto di proseguire gli studi sono già entrati nelle migliori università del mondo, tra cui l’Università di Cambridge, la London School of Economics, l’Università di Edimburgo.
L’istituzione riferisce che, per quegli studenti che scelgono di accedere direttamente al mondo del lavoro, oltre il 95% dei collocamenti finora sono in Africa, con posizioni a tempo pieno presso aziende leader mondiali che operano in Africa come KPMG (Kenya), Bain (Nigeria), Dalberg (Etiopia), Pernod Ricard (Sudafrica), Cellulant (Kenya), PWC (Ghana), Enko Education (Marocco), WAVE (un fornitore di istruzione professionale in Nigeria) e molti altri. Il 5% di quelli che hanno accettato lavori internazionali si è trasferito: nel Regno Unito (presso Facebook, Goldman Sachs, Bank of America Merrill Lynch), in Vietnam (presso Sanofi, il gigante della farmaceutica francese); in Francia (Atos), in Estonia (uno dei laureati di ALU vi ha fondato una società focalizzata sui finanziamenti allo studio) e in Libano (laureati in informatica).
Fonte: elaborazione degli autori

 


Gli hub TIC e gli acceleratori d’impresa
Nel 2014 l’Africa aveva poco più di 50 hub tecnologici8 (Kalan, 2014) in tutto il continente, ma nel 2019, il numero era salito a 643 hub9 (Shapshak, 2019). Il capitale di rischio è passato da zero dollari nel 2010 a un massimo di 2 miliardi di dollari10 nel 2019, con la maggior parte dei finanziamenti in Kenya, Nigeria e Sudafrica (Kene-Okafor, 2021). Un interesse maggiore nelle startup creerà più posti di lavoro. E ciò, nonostante il fatto che le forme di digitalizzazione come l’automazione siano criticate per la perdita di posti di lavoro. La rivoluzione emergente creerà nuovi posti di lavoro e sconvolgerà la realtà lavorativa.

Creerà nuovi tipi di occupazione che richiedono una serie di competenze più ampie: sia competenze specializzate di livello superiore per soddisfare i nuovi standard industriali, sia competenze non cognitive nel pensiero critico, nella creatività e nella comunicazione.

Come con l’introduzione di altre tecnologie in periodi precedenti, queste nuove tecnologie sono suscettibili di dislocare alcuni lavoratori, soprattutto quelli coinvolti in lavori di routine che potrebbero essere facilmente automatizzati, a danno di quelli incapaci di riqualificarsi e di migliorare le proprie competenze.
Le tecnologie digitali, in particolare, stanno contribuendo a trasformazioni in molti settori, come quello bancario, agricolo, dei trasporti e commercio al dettaglio. Molti di questi settori attualmente impiegano un gran numero di persone del settore informale; le trasformazioni in atto richiedono una serie di competenze, da quelle digitali di base e di alfabetizzazione per gli utenti, a quelle digitali più avanzate per coloro che possono aiutare a creare nuove applicazioni e business.

 

Dove avviene il cambiamento sociale
Un ultimo importante attore per affrontare la disoccupazione giovanile è rappresentato dai molti imprenditori sociali che puntano a permettere ai giovani di reinventarsi. Le imprese sociali sono organizzazioni che affrontano i problemi della società attraverso un approccio di mercato (Ciambotti & Pedrini, 2021). Specialmente nei Paesi africani, le imprese sociali mirano ad affrontare le grandi sfide come la disoccupazione giovanile fornendo uno sviluppo sostenibile e una crescita inclusiva.
Corec,11 ad esempio, è un’impresa sociale con sede in Kenya che integra i ragazzi di strada per la raccolta dei rifiuti di plastica che vengono trasformati in materiali per l’edilizia.
Wawoto Kacel è un’altra impresa sociale in Uganda che significa “camminare insieme” e ha come scopo di integrare le donne vulnerabili (affette da HIV o disabili) per produrre moda e tessuti.

Questi esempi rappresentano solo alcune delle molte imprese sociali nel continente africano, che costituiscono una realtà potente sia per integrare i giovani nelle loro attività sia per risolvere grandi questioni sociali come l’acqua, l’energia, l’istruzione dei poveri ecc.

Queste imprese sociali hanno riconosciuto la tecnologia come uno strumento per creare lavoro tra i giovani. Molte altre start up come Twiga Foods (Kenya) e Agrocenta (Ghana) stanno creando potenti opportunità di mercato per le comunità locali. Queste start up agritech sfruttano le tecnologie emergenti basate sull’Intelligenza Artificiale per aiutare gli agricoltori a gestire meglio i rischi potenziali e altri problemi legati al clima, come le inondazioni e la siccità, nonché i parassiti e altre malattie che colpiscono le colture, con l’obiettivo di migliorare la produttività. Alcune start up hanno costruito catene di approvvigionamento che hanno ridotto al minimo i rifiuti e hanno migliorato l’efficienza e la redditività dei piccoli agricoltori così da diminuire la povertà. Lentamente, queste innovazioni basate sulla tecnologia stanno catalizzando il cambiamento sociale e, soprattutto, stanno procurando posti di lavoro ai giovani.

 

Conclusioni
Mentre il problema della disoccupazione giovanile in Africa è una sfida importante, c’è un’altra
storia che spesso non viene raccontata: il contributo degli ecosistemi imprenditoriali che stanno crescendo e che sicuramente stanno offrendo opportunità che potrebbero far uscire il continente dalla povertà.

La dimostrazione è chiara: per creare posti di lavoro veramente significativi, l’Africa deve abbracciare le tecnologie emergenti e continuare a costruire un forte ecosistema imprenditoriale in ogni Paese, oltre i Paesi leader, cioè Ghana, Kenya, Nigeria e Ruanda.

Perché questo accada, il continente deve investire nelle infrastrutture TIC, fornire incentivi per abbassare il costo della banda larga e creare un unico mercato digitale a livello continentale per garantire che nessun Paese abusi dell’accesso alla connessione. Inoltre, il sostegno alle imprese sociali sarebbe fondamentale per ampliare i loro sforzi verso un mondo migliore, incoraggiando e formando le persone e offrendo opportunità di sviluppo sostenibile per l’Africa.

Infine, i governi devono mettere in atto le politiche giuste per sostenere la creatività, l’innovazione e l’imprenditorialità. Essi devono anche essere innovativi, correre il rischio di essere proattivi nell’implementazione di nuove soluzioni a problemi già esistenti come la povertà. È stato dimostrato che l’Africa può davvero fare un salto di sviluppo e creare posti di lavoro migliori e benessere. Pertanto, gli imprenditori, i politici e i consumatori devono concentrarsi sul futuro che è guidato dalla tecnologia, prepararsi a esso e collaborare per trarne vantaggio con un atteggiamento positivo.

 

NOTE

1 https://ecdpm.org/wp-content/uploads/ETTG-A-rapier-not-a-blunderbuss-Why-the-EU-must-do-better-in-supporting-African-job-creation-february-2018-.pdf.
2 https://www.brookings.edu/blog/africa-in-focus/2021/04/19/its-easy-to-exaggerate-the-scope-of-the-jobs-problem-in-africa-the-real-story-is-nuanced/.
3 https://www.unfpa.org/resources/population-and-development-africa.
4 https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3739545.
5 L’influenza delle federazioni sindacali nel governo. Alcuni ricercatori sostengono che le richieste di salari più alti portano a una diminuzione dei nuovi posti di lavoro e che le richieste di lavoro rendono il regime del lavoro inflessibile. Una legislazione del lavoro più rigida per proteggere gli interessi degli emarginati ha avuto un impatto indesiderato sulla disponibilità delle aziende ad assorbire più manodopera (IMF 2010).
6 https://cowa-uganda.org/.
7 https://www.alueducation.com/.
8 https://www.bbc.com/future/article/20121018-inside-africas-technology-hubs.
9 https://www.forbes.com/sites/tobyshapshak/2019/10/30/africa-now-has-643-tech-hubs-which-play-pivotal-role-for-business/?sh=4a5872814e15.
10 https://techcrunch.com/2021/02/11/how-african-startups-raised-investments-in-2020/.
11 https://www.corec.co.ke/

Riferimenti bibliografici
Adesina, A. (2018), Jobs for Youth in Africa, p. 16, https://www.afdb.org/fileadmin/uploads/afdb/Documents/Generic-Documents/Brochure_Job_Africa-En.pdf
Cavallo, A., Ghezzi, A., & Balocco, R. (2019), Entrepreneurial ecosystem research: Present debates and future directions, in International Entrepreneurship and Management Journal, 15(4), pp. 1291-1321, https://doi.org/10.1007/s11365-018-0526-3
Ciambotti, G., & Pedrini, M. (2021), Hybrid harvesting strategies to overcome resource constraints: Evidence from social enterprises in Kenya, in Journal of Business Ethics, pp. 1-20.
Coulibaly, B. (2018), Africa’s alternative path to development, in Brookings, 3 maggio, https://www.brookings.edu/opinions/africas-alternative-path-to-development/
Fox, L. (2021), It’s easy to exaggerate the scope of the jobs problem in Africa. The real story is nuanced, in Brookings, 19 aprile, https://www.brookings.edu/blog/africa-in-focus/2021/04/19/its-easy-to-exaggerate-the-scope-of-the-jobs-problem-in-africa-the-real-story-is-nuanced/
Kalan, J. (2014), Inside East Africa’s technology hubs, in BBC Future, 18 novembre, https://www.bbc.com/future/article/20121018-inside-africas-technology-hubs
Kene-Okafor, T. (2021), How African startups raised investments in 2020, in TechCrunch, 11 febbraio, https://social.techcrunch.com/2021/02/11/how-african-startups-raised-investments-in-2020/
Page, J. (2011), Should Africa Industrialize?, Wider Working Paper 2011/047, UNU-WIDER, Helsinki, https://www.wider.unu.edu/publication/should-africa-industrialize
Shapshak, T. (2019), Africa Now Has 643 Tech Hubs Which Play “Pivotal” Role For Business, in Forbes, 30 ottobre, https://www.forbes.com/sites/tobyshapshak/2019/10/30/africa-now-has-643-tech-hubs-which-play-pivotal-role-for-business/
Stiglitz, J., Lin, J., Monga, C., & Patel, E. (2013), Industrial Policy in the African Context, The World Bank, https://doi.org/10.1596/1813-9450-6633
Sumaryoto, Herawati, M., & Hapsari, A.T. (2020), Analysis of Changes in the Unemployment Rate as a Result of the Human Development Index in Indonesia (Case Study 2010-2019), SSRN Scholarly Paper ID 3739545, Social Science Research Network, https://papers.ssrn.com/abstract=3739545

 

Bitange Ndemo è professore di Imprenditorialità presso la Business School dell’Università di Nairobi. È sostenitore delle strategie di sviluppo che sfruttano le tecnologie emergenti e l’impresa sociale in Africa. È consulente senior di tre agenzie delle Nazioni Unite e di altre istituzioni non governative. Giacomo Ciambotti è dottore di ricerca in Management & innovation presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove collabora alla didattica dei corsi di Business strategy e Corporate Strategy delle lauree triennali e magistrali della facoltà di Economia. Inoltre, è Research Fellow presso Alta Scuola Impresa e Società (ALTIS).

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