Trimestrale di cultura civile

L’Europa è un bluff?

  • GIU 2024
  • Lucio Caracciolo

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L’Europa è un bluff dal punto di vista geopolitico perché non è un soggetto geopolitico. E questo ha precise implicazioni nei rapporti con le superpotenze o imperi. Stati Uniti in testa. Ci sono ragioni storiche e interessi dei singoli Paesi europei alla base di un europeismo che, nella sostanza, è fin qui mancato. Un progetto difettoso perché pensato dalle élite per le élite. Dunque, un’Europa che non è fatta dagli europei, ma un’Europa che è fatta per gli europei. L’intervento del direttore del mensile “Limes” alla Scuola di politica della Fondazione per la Sussidiarietà.

Per argomentare il “bluff” parto dalla premessa che il mio, ovviamente, è un punto di vista geopolitico; il che vuol dire che l’Europa, secondo me, è un bluff dal punto di vista geopolitico, perché non è un soggetto geopolitico. Sento sempre dire “l’Europa è, l’Europa fa, l’Europa vuole”, ma di cosa stiamo parlando? Dal mio punto di vista significa apparire ciò che non si è. Ma è necessario ricordare, seppur in breve, il percorso storico di questa parola, Europa.

Un grande Rotary

L’idea geopolitica di Europa nasce quando le potenze europee cominciano ad auto distruggersi dopo la Prima guerra mondiale e finiscono di farlo con la Seconda.

Non è un giudizio di valore, è una constatazione di fatto. Il primo ad articolare in maniera compiuta, e anche brillante, l’idea di un soggetto geopolitico europeo è uno strano personaggio che si chiamava Richard von Coudenhove-Kalergi, figlio di mamma giapponese e di padre aristocratico boemo, che subito dopo la Prima guerra mondiale pubblica il libro Pan Europa in cui sviluppa una tesi che ritroveremo articolata variamente dall’europeismo classico fino ai nostri giorni e cioè quella del mondo che si sta costituendo in grandi imperi regionali o continentali. Le potenze europee hanno perso i loro imperi e per poter contare qualcosa nel mondo devono mettersi insieme e poter difendere gli interessi comuni nella partita diventata intercontinentale. Von Coudenhove-Kalergi sostiene che ci siano un impero americano, un impero russo, parla addirittura di un impero sino giapponese, e così via. Quindi ci deve essere un impero europeo, una pan-Europa e, a differenza di molti, se non quasi tutti, gli europeisti successivi, spiega anche di che spazio deve trattarsi: lo spazio che va dal Portogallo al confine con la Russia, quindi, fino alla Polonia e comprende – questo è importante ricordarlo – quello che residua, e all’epoca ne residuava parecchio, delle colonie europee, soprattutto in Africa ma anche in Asia.

Il progetto di von Coudenhove-Kalergi, come quasi sempre i progetti europeisti, è un progetto di élite, cioè si svolge in un ambito che potremmo chiamare anche massonico, che riguarda una parte non fondamentale, ma comunque importante delle élite europee. Coudenhove organizzò anche una società paneuropea, si tenne un congresso in cui parteciparono grandi intellettuali, ma il problema dell’europeismo è che tende a essere un discorso di élite per élite o, per usare una frase di un contemporaneo, il commissario europeo Barnier, l’Europa non è fatta dagli europei, l’Europa è fatta per gli europei. Questo è l’ideale europeista lanciato dal movimento paneuropeo che però era una specie di grande Rotary, in cui ci si incontrava tra personalità del mondo industriale, culturale, qualche politico, magari si facevano delle petizioni.

In seguito, l’europeismo rinasce in un contesto completamente diverso – parliamo della fine della Seconda guerra mondiale e della fine degli imperi coloniali. Un europeismo che, malgrado le resistenze, in particolare dei francesi, si consuma in un contesto in cui il mondo cambia di paradigma: ci sono adesso solamente due grandi potenze che si affrontano, gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica.

Uno degli aspetti meno indagati della geopolitica è che da parte americana, già durante la Seconda guerra mondiale, esisteva un contrasto non solo con l’Unione Sovietica ma anche con il Regno Unito e in generale con gli imperi europei.

La mia tesi è che esista un forte nesso tra l’affermazione degli Stati Uniti d’America come superpotenza in contrasto, in nome dell’Occidente, con l’Unione Sovietica e il mondo dell’ideologia comunista e la nascita di un europeismo che in qualche modo fruisce di questo contrasto e si pone chiaramente nell’ambito americano-occidentale. Per essere ancora più chiaro: se gli americani non fossero rimasti in Europa nel 1945, se cioè avessero fatto quello che fecero nel 1919, cioè tornarsene a casa, non ci sarebbe stato l’europeismo che c’è stato.

Qual è il nesso tra l’affermazione della potenza americana e la nascita di un nuovo europeismo? Il contesto della sfida tra un Occidente a guida americana e l’Unione Sovietica, in cui l’Europa gioca, dal punto di vista americano, un notevole ruolo. Ancora oggi noi viviamo in uno spazio euro-atlantico e lo vediamo semplicemente da un fatto, molto banale: i Paesi che stanno nell’Unione Europea sono oggi anche quasi tutti Paesi che stanno nella NATO e non è un caso. Il progetto dell’Europa ha come premessa logica e fattuale la decisione americana di restare nel vecchio continente e di organizzarlo come un proprio impero informale ma quantomai cogente, che si concretizza nelle seguenti tappe:

1945, gli americani restano in Europa, si comincia a organizzare il blocco europeo in funzione antisovietica in particolare contro il blocco di Europa controllato dall’URSS;

1947, piano Marshall, cioè teniamo in piedi le economie europee per impedire che il comunismo attecchisca approfittando delle crisi e degli orrori del dopoguerra;

1949, nasce la NATO, e questo è un passo fondamentale, cioè l’organizzazione anche militare della presenza americana in Europa che vige tuttora;

  anni Cinquanta, nascono le cosiddette comunità europee.

C’è un aspetto particolare nella nascita della prima Europa: essa recava una forte impronta francese perché americani e francesi, pur essendo molto diversi, hanno sempre convenuto e tuttora convengono che la Germania vada tenuta sotto controllo. Uno degli aspetti fondamentali della costruzione europea è impedire che la Germania diventi di nuovo dominante in Europa.

Il fatto forse più clamoroso nei tempi più recenti di questa vocazione anti tedesca dell’Europa, che rende paradossale costruire un progetto continentale in cui il problema è quello di impedire che il principale soggetto di questo continente diventi troppo importante, è ovviamente la nascita dell’euro; ovvero, quando i francesi decisero che, allo scopo di punire i tedeschi per essersi riunificati, dovevano cedere il marco contro la loro volontà e il primato della Bundesbank. Questo movimento pro-europeo della Francia si configura come un prolungamento della Francia stessa. Va anche detto che quasi tutti i Paesi che entrano poi gradualmente nello spazio comunitario e poi nell’Unione, lo fanno a partire dai propri interessi. Si tende a negarlo, ma si entra in Europa per migliorare la propria condizione, il proprio rango. Ad esempio, la Polonia quando entra nell’Unione Europea lo fa essenzialmente per avere i fondi europei e, fra l’altro, a differenza nostra, li gestisce anche piuttosto bene. Alcuni Paesi, come la Spagna, vedono nell’Europa un volano economico…

La Francia fu il Paese decisivo per ammettere l’Italia nella NATO perché, dal punto di vista francese, noi siamo una specie di piattaforma logistica che connette l’Europa all’Africa e, quindi, era importante che questa piattaforma logistica italiana potesse servire all’idea di Eurafrica come si chiamava all’epoca.

Questa è la mia interpretazione di come questo sistema europeo che vediamo oggi sotto forma di Unione Europea sia figlio di un progetto geopolitico fondamentalmente americano, in parte francese e poi utilizzato dai tedeschi per riabilitare se stessi dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale.

L’utile ambiguità

Questo progetto europeo ha come caratteristica fondamentale quello di non essere mai stato identificato in modo preciso, non si sa mai bene dove cominci e dove finisca questa Europa, non si sa mai bene se sia uno Stato federale o semplicemente un mercato comune o qualche via di mezzo. E questa ambiguità è fondamentale perché permette a ciascuno di interpretare il progetto secondo il proprio punto di vista, secondo i propri interessi, secondo la propria cultura e, quindi, ne permette teoricamente un allargamento illimitato. Nessuno ha ancora definito quale sia l’Europa, chi può legittimamente ambire a entrare in questo spazio. Vedremo se ci entrerà l’Ucraina, ma non credo che questo, eventualmente, potrà succedere in tempi ravvicinati.

Vedremo che cosa ne sarà dei Balcani, ma la vaghezza è fondamentale. Come diceva Jean Monnet, l’importante non è sapere dove si va, ma è procedere in un modo brillante, svelto, per non dover verificare l’esito delle proprie azioni.

Perché dicevo che è un bluff? Nella parola bluff non c’è semplicemente il tentativo di mostrare come le apparenze e la realtà siano piuttosto diverse, ma c’è il fatto che questo sistema europeo non è mai diventato un soggetto geopolitico. La Francia, la Germania, un po’ meno l’Italia e altri Paesi sono protagonisti della scena internazionale e della competizione geopolitica internazionale per conto loro. Nessuno pensa che esista una politica europea e che il signor Borrell rappresenti qualcosa, però noi continuiamo con questa finzione perché, evidentemente, ci dà il senso di avere una soggettività. Quando si tratta di parlare di questioni concrete di geopolitica non si va a parlare con Borrell o con la signora von der Leyen ma si va a parlare con quelli che contano, che siano Macron, Meloni o Scholz, cioè i titolari di quello che c’è ancora di sovrano in questi Stati.

Il popolo europeo che non c’è

Quello che spicca nel sistema europeo è che, per definizione, non può essere un sistema democratico. Questo è un aspetto che viene considerato quasi normale. Noi definiamo Parlamento qualcosa che in qualsiasi Stato democratico non potrebbe essere mai considerato tale. Il Parlamento europeo non controlla un governo europeo che non c’è o fa delle leggi di propria iniziativa. Quindi non ha, perché non potrebbe averla, una base democratica e una delle ragioni è che non esiste un popolo europeo. Esistono popoli europei, esistono anche popoli che dentro le nazioni europee pretendono di avere un proprio Stato, penso ai catalani, penso ai corsi, ce n’è per tutti i gusti, ma certamente non esiste un popolo europeo e la riprova di questo, se ce ne fosse bisogno, sta nel fatto che non esiste nessun media che sia spendibile ugualmente dall’Irlanda a Cipro, dalla Lettonia al Portogallo. Non si può parlare allo stesso modo a questi popoli europei come se fossero un solo popolo, perché l’Europa è un continente geograficamente piccolo ma molto complesso dal punto di vista storico, in cui anzi oggi ciascun Paese tende sempre di più a enfatizzare la propria storia, a reinventarsela, a ricostruirsela per legittimare il proprio status; e non è evidentemente immaginabile che un polacco pensi di essere come un portoghese o viceversa.

Un’altra evidenza di questa impossibilità di costituire una statualità europea consiste nella impossibilità di avere una difesa europea, a meno di non pensare che la difesa europea non sia un gruppo di mercenari che si mette al servizio della signora von der Leyen. Per avere un esercito si deve avere uno Stato, e non essendoci uno Stato europeo non si capisce come si possa immaginare una difesa europea, a meno di non immaginare un sistema di rotazione nel quale per sei mesi comanda un generale polacco e quindi, magari, attacca la Russia; sei mesi dopo comanda un generale portoghese che si occupa d’altro e un generale italiano, quando gli tocca questa responsabilità, si chiude nella sua caserma. La difesa europea avrebbe senso a due condizioni: la dissoluzione degli Stati Uniti d’America, cioè del collante strategico e militare dell’Europa e, contemporaneamente, la nascita degli Stati Uniti d’Europa.

Un altro paradosso è che, da quando abbiamo costruito le comunità e poi l’Unione Europea, in Europa si sono moltiplicati gli Stati, gli staterelli, i mezzi Stati, nello spazio europeo, così come viene descritto normalmente dai geografi, esistono, a seconda di come si contano, più o meno 55 Stati. Nell’Unione Europea ce ne sono 27, quindi meno della metà. Alcuni Stati esistono sulla carta ma non esistono di fatto, altri esistono di fatto ma non sulla carta, un esempio del primo tipo è la Bosnia, un esempio del secondo tipo potrebbe essere il Kosovo che, secondo noi, è uno Stato indipendente, mentre secondo gli spagnoli non lo è. Questa diversità all’interno dello spazio euroatlantico, sottolineo atlantico, è resa più evidente dalle guerre in corso, in particolare dalla guerra in Ucraina e dalla crisi della superpotenza che, appunto, dal 1945 ha strutturato in gran parte il nostro sistema, l’America. A mio avviso si tratta di una crisi strutturale, identitaria, non semplicemente di un passaggio di fase e questo, evidentemente, complica la nostra situazione perché obbliga i vari Paesi europei, tra cui il nostro che non è abituato, ad assumere le responsabilità che prima delegava e tuttora delega agli Stati Uniti in campo militare o alla Germania in campo di politiche fiscali, monetarie ed economiche.

L’avanguardia antirussa

Le guerre accentuano le divisioni all’interno dell’Europa; accentuano gli egoismi nazionali, ognuno cerca di farsi i fatti propri e di scaricare sugli altri i suoi problemi. In particolare, se guardiamo la guerra in Ucraina e guardiamo lo spazio euroatlantico, vediamo innanzitutto una fascia di Paesi che va dalla Scandinavia fino alla Romania e alla Bulgaria, con la Polonia che funge da perno di questo sistema e che il presidente Biden, in un momento di lucidità, ha definito l’avanguardia antirussa.

Paesi che per ragioni storiche, strategiche e culturali o sono stati invasi o hanno invaso la Russia, hanno una profonda diffidenza nei confronti di questo Paese, qualunque sia il suo regime e il suo sistema e sperano che questa guerra non solo finisca con la ritirata russa dall’Ucraina, ma con la ritirata russa da se stessa, cioè finisca con la dissoluzione dell’impero russo. Non è questa certamente la visione che hanno i francesi, i tedeschi, gli italiani o gli spagnoli, quindi possiamo distinguere un’Europa orientale, del nord-est e un’Europa occidentale. Allargando il discorso, abbiamo sul fronte sud un Paese atlantico non europeo che è la Turchia che, pur essendo e restando membro della NATO, si muove come se fosse un Paese totalmente autonomo e dedito a ricostruire una sua dimensione imperiale a cui non vuole rinunciare.

E, a proposito della guerra in Ucraina, si tratta, sostanzialmente, di una guerra che dura da più di cento anni in varie forme e in diverse fasi. E rischia di continuare ancora per parecchio tempo. Dovremmo occuparci dello spazio ucraino che è più o meno il doppio dell’Italia. Sarà difficile risolvere questo problema, a meno di non accettare l’idea che se ne occupino i russi. La mia personale impressione è che i russi, più di tanto, non solo non possono ma non vogliano occuparsene perché significherebbe dover gestire un Paese che in gran parte è contrario alla Russia e non accetterebbe di buon grado la sua dominazione.

L’articolo è una sintesi dell’intervento a Europa Futuro Presente, sesta edizione della Scuola di formazione politica “Conoscere per decidere”, organizzata da Società Umanitaria, Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine e Fondazione per la Sussidiarietà, Milano, Società Umanitaria, 12 marzo 2024.

Lucio Caracciolo è giornalista e scrittore italiano, dirige la rivista italiana di geopolitica “Limes” e Scuola di Limes; è stato caporedattore di “MicroMega”. Insegna Studi strategici all’Università Luiss di Roma e Geopolitica all’Università San Raffaele di Milano.

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