Trimestrale di cultura civile

Il contributo europeo per un nuovo equilibrio mondiale

  • GIU 2024
  • Enzo Moavero Milanesi

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Si vive a livello globale una situazione di preoccupante disequilibrio. Due i motivi: le guerre e l’evoluzione sociale ed economica nel mondo. Laddove l’Unione Europea appare oggi non certo come un soggetto protagonista di un positivo riequilibrio. Perché la sua architettura è inadeguata, rimanendo forte l’ingerenza degli Stati nazionali. Lo spazio di una operosa centralità ci sarebbe. “Ritengo che l’Unione Europea possa rappresentare ancora una soluzione alle tante questioni che ci circondano, alle tante paure che tutti condividiamo, ma disilludiamoci che l’attuale Unione Europea, così com’è, rappresenti una risposta. È necessaria una svolta costituente, visto che l’UE è l’unica dimensione di riferimento per gli europei che può ancora pesare nel mondo in senso positivo”.

Parlando di equilibrio mondiale, non possiamo non partire dalla considerazione che è un equilibrio instabile, fondamentalmente per due motivi. Uno, purtroppo, è sotto i nostri occhi quotidianamente, oramai già da qualche anno, ed è il ritorno del flagello più terribile che ci sia, la guerra nel continente europeo e il riaccendersi della guerra nella riva sud del Mediterraneo, che è il fianco meridionale del nostro continente. Questo è un motivo di disequilibrio che ci preoccupa, ci scombussola, ci riporta ad anni che credevamo oramai lontani e pensavamo di avere relegato ai libri di storia.

Il secondo motivo per cui il mondo attuale è in disequilibrio è dovuto alla velocissima dinamica che, non da oggi, ma in maniera accentuata negli ultimi 20-25 anni, hanno preso l’evoluzione sociale e quella economica nel mondo. Alla fine degli anni Novanta si cominciò a parlare di qualcosa che era già avvenuto molte volte nella storia, la globalizzazione. Si vedeva la globalizzazione da punti di vista differenti, ma si convergeva nel ritenere che avrebbe portato complessivamente a una crescita nell’ambito dell’equilibrio mondiale: una crescita economica, positiva, che avrebbe tolto da situazioni di fame o di grande arretratezza tante persone che vivevano in aree del mondo meno favorite di altri. A un certo punto si è incominciato a notare che la nuova globalizzazione di fine secolo e inizio nuovo millennio era forse la prima nella storia, da quando la storia è studiata e scritta, che non vedeva l’Europa protagonista attivo.

Se noi pensiamo a un altro esempio di globalizzazione molto evidente e spesso ricordato, è quello a opera di Cristoforo Colombo con la scoperta dell’America, il Nuovo Continente, grazie all’attivarsi dei commerci: allora erano gli stati europei che andavano in America. Se pensiamo alla globalizzazione del periodo coloniale, al di là del giudizio che si può avere sul colonialismo in quanto tale, erano gli Stati europei che si auto definivano potenze, e tali erano sotto il profilo militare ed economico, in quanto in grado di estendere la loro influenza e il loro dominio. La globalizzazione che noi abbiamo vissuto – a partire dal nuovo secolo in maniera più accentuata – è una dinamica che non ha visto l’Europa alla guida. Ha visto altre realtà e, addirittura, potremmo dire con il senno di poi, è una globalizzazione che è entrata in Europa. La grande espansione dell’economia cinese è l’esempio più evidente, ma non si tratta solo di fattori economico-finanziari o di commercio di merci, di beni, di prodotti o di servizi. La globalizzazione va anche guardata nell’ottica delle grandi migrazioni. Quando gli europei – che si chiamassero conquistadores o che si chiamassero in altri modi – si espandevano nel continente americano, era un’Europa in grande crescita demografica che portava le persone nate nel suo spazio continentale altrove. Oggi la realtà è diversa, ci sono grandi spostamenti di popolazioni migranti, tendenzialmente da sud verso nord, ma anche dalle aree economicamente svantaggiate o colpite dal cambiamento climatico verso le aree più avvantaggiate. C’è una migrazione da aree dell’Asia anche verso l’Australia o verso altre zone che hanno economie più funzionanti. Il cambiamento climatico è un altro grande fattore che caratterizza la nostra epoca, che determina i movimenti migratori, che influisce pesantemente sulle sorti economiche degli Stati.

Questo dinamismo e questo disequilibrio ci fanno capire che la dimensione Stato in Europa è diventata ininfluente. Anche gli Stati più importanti del continente europeo, che facciano o non facciano parte dell’Unione Europea, ad esempio la Germania, il Regno Unito, la Francia, anche la nostra Italia, sullo scenario mondiale pesano poco. Non riescono più ad avere una influenza incisiva di fronte ai grandi fenomeni come il cambiamento climatico o le migrazioni. Gli Stati europei non riescono a gestire, a governare, a dare un minimo di organizzazione a fenomeni che li travalicano totalmente. Pensiamo allo sviluppo tecnologico. Le grandi potenze europee dell’Ottocento e della prima parte del Novecento fondavano il loro essere potenza anche grazie al controllo delle grandi tecnologie dell’epoca. Tecnologie industriali e tecnologie purtroppo anche militari, tecnologie nutrite da materie prime, come il carbone, che in Europa abbondavano. Se guardiamo alle tecnologie di oggi, ma anche a quelle di uno ieri successivo alle guerre mondiali, a cominciare dal petrolio, oppure alle nuove tecnologie basate sulle cosiddette terre rare, su minerali come il litio, vediamo che nel nostro continente non ci sono. Sono materiali indispensabili per lo sviluppo delle attuali tecnologie. Si trovano in altre parti del mondo che ne hanno un controllo e uno sfruttamento pressoché totali.

Ben venga l’Unione Europea

Ci stiamo rendendo conto, di fronte alla terribile guerra in Ucraina, che l’Europa non ha nemmeno una capacità di produzione di armamenti che permetta di compensare la capacità della Russia, rispetto a questa guerra che ci preoccupa tutti quanti.

Se gli Stati europei non sono più in grado individualmente di influire perché il periodo della loro potenza è oramai parte di un passato che non tornerà, ben venga allora l’esistenza dell’Unione Europea perché, invece, può dare ancora un peso al nostro continente a livello di economia, a livello di capacità produttiva, a livello di ruolo e capacità commerciale nel mondo. I dati sono estremamente lusinghieri.

Se poi guardiamo ad alcune caratteristiche della nostra realtà socio-economica, ai nostri sistemi previdenziali, a quello che oramai tutti ci siamo abituati a chiamare welfare, lì l’Europa è addirittura all’avanguardia come capacità e garanzia di assistenza previdenziale a chi vive nell’ambito dello spazio dell’Unione Europea e dei nostri spazi nazionali. Ma non basta. Dobbiamo invece chiederci perché anche la dimensione dell’Unione Europea non è tale da rassicurarci.

La dimensione dello Stato nazionale in Europa è legata a elementi molto positivi di democrazia, di partecipazione, di garanzia di libertà, di Stato di diritto, però è dimensionalmente insufficiente di fronte a un mondo in cui si muovono insiemi estremamente più grandi del singolo Stato europeo, per i motivi che abbiamo detto.

Di cosa è fatta la dimensione europea? Non è una realtà di oggi o di appena ieri, è una realtà che si avvicina a compiere 75 anni di vita perché la prima comunità europea, la comunità del carbone e dell’acciaio, nasce nel 1952. La dimensione europea nasce con un’architettura che nei primissimi anni Cinquanta era di grande avanguardia. Era costituita da un esecutivo centrale, un’istituzione con compiti prettamente esecutivi, non esattamente come un governo ma simile; un’assemblea fatta all’inizio di delegati dei parlamenti nazionali, poi a partire dagli anni Settanta direttamente eletta dai cittadini, quindi un Parlamento, e infine un’istituzione rappresentativa degli Stati membri, che ha un nome proprio, si chiama Consiglio.

In seguito, si è aggiunta la grande intuizione della creazione di una Corte di Giustizia che diventava l’interprete ultimo per affermare dal punto di vista giuridico le norme europee. Sono passati molti anni ma se guardiamo all’attuale struttura dell’Unione Europea non è poi così diversa da allora. Si è aggiunta la Banca Centrale Europea, per i più meticolosi si è aggiunta anche una Corte dei Conti Europea, ma la struttura fondamentale, operativa, rappresentativa, è imperniata su un Parlamento che prima si chiamava Assemblea, su una Commissione che brevemente ai tempi della comunità del carbone e dell’acciaio si chiamava Alta Autorità, con compiti esecutivi, su un Consiglio che rappresenta gli Stati, su una capacità di produrre norme giuridiche vincolanti. Nonostante tutto questo non si è mai arrivati a creare quella federazione europea che pure nella dichiarazione fatta nel 1950 da Robert Schumann, l’allora ministro francese che dette inizio a tutto il processo, era già focalizzata come obiettivo. Ne parlavano De Gasperi e Adenauer negli anni Cinquanta. L’idea di questi cosiddetti padri fondatori, era che settant’anni dopo la federazione ci sarebbe stata. Invece l’Europa è rimasta con questa sorta di attesa un po’ messianica di un qualcosa che deve arrivare, di cui però si ha paura a parlare, di cui quando si parla si finisce con litigare.

L’inadeguata architettura

E allora che architettura abbiamo oggi? Abbiamo un’architettura inadeguata. L’Unione Europea non è riuscita a sostituire gli Stati nazionali, né politicamente, né istituzionalmente, né nel peso politico complessivo sullo scenario mondiale, perché è rimasta in mezzo al guado. Cos’è che in particolare rende l’Unione Europea anchilosata? Lo si legge quasi quotidianamente: decisioni che in un sistema autoritario si prendono nello spazio di ore, decisioni che in un sistema democratico, ma ben strutturato, si prendono magari nello spazio di qualche giorno, in Europa richiedono mesi. E a volte neanche arrivano. Ci si scaglia contro quello che viene giudicato immobilismo, causa del quale sarebbe il voto all’unanimità. Ma non è vero. È vero in certi settori, anche delicati, non è vero in altri.

Osserviamo il caso di uno di questi settori definiti delicati, quello dell’immigrazione. Il trattato europeo è molto chiaro, non parla solo di norme sull’asilo o sulla difesa delle frontiere, parla di una politica per le migrazioni, che è qualcosa di molto più complesso, parla di solidarietà che deve guidare questa politica, parla di meccanismi condivisi, il che vuol dire non solo aiutare queste persone quando stanno affogando in mare. Parla anche della presa di coscienza che l’Europa si trova in un triste calo demografico e che per continuare a funzionare, per reggere nei sistemi di welfare, nelle capacità produttive, ha anche bisogno, oltre che di figli propri, anche di persone che arrivano da fuori. L’evoluzione degli Stati Uniti non è avvenuta solo perché avevano una capacità di proliferazione particolarmente elevata, è avvenuta anche perché arrivavano grandi ondate di migranti.

In materia di politica delle migrazioni si decide a maggioranza, non all’unanimità. Eppure, in tanti anni, si contano sulle dita di una mano le norme europee che sono state adottate e decise. Il vero punto è che l’Europa non riesce a darsi quella trasformazione di cui ci sarebbe indubbiamente bisogno perché rimane legata a egoismi ombelico-centrici degli Stati e dei governi che ne fanno parte. Non è nemmeno corretto dare la colpa agli Stati, entità astratta. Andiamo a focalizzare i veri colpevoli. I veri colpevoli sono i governi degli Stati perché gli Stati sono governati da governi e negli Stati europei dove vige democrazia e libertà sono governati da governi democraticamente eletti. Quindi siamo noi alla fine che li esprimiamo. Allora sono i governi dei vari Stati che non trovano le maggioranze, sono i governi dei vari Stati che non riescono a trovare un accordo per esprimere determinate linee politiche, sono i governi dei vari Stati che laddove è prescritta l’unanimità non convergono all’unanimità.

Il Parlamento europeo non esprime il governo dell’UE

Abbiamo visto che i singoli Stati non hanno più il peso che avevano negli anni Sessanta e Settanta e siamo coscienti che l’Europa manca di una struttura. Abbiamo il Parlamento europeo, del quale spesso sentiamo dire che non fa nulla, ma non è vero. Il Parlamento europeo è legislatore, per giunta legislatore di norme delicatissime in materia di salute, di ambiente, di industria, di svolte verdi, di sanità. Decisioni che ci toccano da vicino. Ogni vestito che noi portiamo ha un’etichetta con indicazioni che dipendono da normative europee. Quello che mangiamo sta scritto sulle confezioni. È tutto disciplinato dalle normative europee. Senza la politica agricola comune non ci sarebbe agricoltura in Europa. È sovvenzionata, costa a tutti quanti noi come contribuenti, però abbiamo un’autosufficienza alimentare e anche qualcosa di più. Il Parlamento europeo prende decisioni importanti, ma questa istituzione esprime con una sua maggioranza politica un governo politico dell’Unione Europea? La risposta è no. Perché il Parlamento europeo indubbiamente voterà, dopo la designazione fatta dai capi di Stato e di governo, il presidente o la presidente della Commissione. Il Parlamento europeo darà un voto di investitura all’insieme dei commissari, quindi a tutta la compagine della Commissione, anche dopo delle audizioni severe. Però, alla fine, i nomi di chi farà parte della Commissione – che è l’esecutivo dell’Unione Europea – usciranno dai governi nazionali, perché anche se il Parlamento Europeo potrà bocciarne qualcuno, però poi il governo nazionale ne indicherà un altro che più o meno farà parte della famiglia politica che esprime l’equilibrio di governo di ciascuno Stato. Difficile immaginare che un governo in carica di un Paese segnali un candidato per la Commissione che faccia parte dell’opposizione. Quindi, in realtà, il Parlamento europeo, con tutti i suoi importanti compiti legislativi, non esprime, come avviene normalmente in democrazia, il governo dell’Unione Europea. Per giunta il ruolo legislativo del Parlamento europeo è amputato di alcune decisioni delicate che il Consiglio – e dunque gli Stati – hanno tenuto per loro: materia tributaria, materia di bilancio, certe materie economiche precise, materia di difesa, materia di politica estera. Andiamo a vedere la Commissione. La Commissione è l’esecutivo. Peccato che in due materie super delicate, come la politica estera e la politica di difesa, sia completamente tagliata fuori. La Commissione non entra in queste due materie. Sono riservate al Consiglio che rappresenta gli Stati.

La Commissione, inoltre, è l’unica istituzione che può fare proposte legislative a livello europeo, quindi le normative europee nascono da una proposta che può essere fatta solo dalla Commissione. I parlamentari europei non possono. E poi ha dei poteri in più che, in ultima analisi, in un meccanismo più collaudatamente conosciuto, non dovrebbe avere.

Il Consiglio ha la funzione di rappresentare gli Stati. Ha funzione anche esecutiva in materie come esteri e difesa, ma anche legislativa, in alcuni casi condivisa col Parlamento e in altri esclusivo. Il punto è allora capire i poteri che singoli Stati si sono tenuti per loro.

Né federazione, né confederazione

L’Unione Europea vive di competenze che gli Stati le hanno attribuito, ma gli Stati hanno tenuto per loro una serie di questioni e, in alcune, si sono riservati completamente mano libera e l’intero potere decisionale. Questa Unione Europea, che è una sorta di complesso ircocervo con caratteristiche indubbiamente democratiche ma incomplete, imperfezioni, lentezze, presenta un ruolo ancora molto preponderante degli Stati rispetto all’idea di un peso maggiore e determinante delle istituzioni europee. Oggi non è né la federazione a cui pensavano De Gasperi e Adenauer, a cui perfino incoraggiava, anche se se ne chiamava fuori come britannico, Winston Churchill alla fine degli anni Quaranta. No, non è diventata quella federazione, ne ha qualche carattere, ma non lo è nell’architettura funzionale. Ma non è neppure una confederazione. Perché la confederazione detiene le deleghe come elementi centrali del sistema di alcune competenze – di solito proprio in materia di esteri e difesa. Dunque, l’Unione Europea non è diventata né una federazione né una confederazione. Non è più un’organizzazione internazionale classica, perché ovviamente è molto di più, però in questo essere di più e non essere ancora, sta la sua grande debolezza. Che è poi la nostra.

Personalmente ritengo che l’Unione Europea possa rappresentare ancora una soluzione alle tante questioni che ci circondano, alle tante paure che tutti condividiamo, ma disilludiamoci che l’attuale Unione Europea, così com’è, rappresenti una risposta. È necessaria una svolta costituente, visto che l’Unione Europea è l’unica dimensione di riferimento per gli europei che può ancora pesare nel mondo in senso positivo. Bisogna avere il coraggio di mettere al centro la questione costituzionale dell’Unione Europea. Procediamo verso un modello collaudato, conosciuto, non rimaniamo in questo sistema che tra lacci, lacciuoli, blocchi e possibilità di piccole fughe in avanti e di grandi marce indietro rischia di non portarci da nessuna parte.

L’articolo è una sintesi dell’intervento a Europa Futuro Presente, sesta edizione della Scuola di formazione politica “Conoscere per decidere”, organizzata da Società Umanitaria, Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine e Fondazione per la Sussidiarietà, Milano, Società Umanitaria, 6 aprile 2024.

Enzo Moavero Milanesi è professore di Diritto dell’Unione Europea al College of Europe di Bruges e all’Università Luiss-Guido Carli di Roma; è stato ministro degli Affari esteri e degli Affari europei.

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