Trimestrale di cultura civile

Editoriale. Lavoro: centro di dignità permanente

A livello globale, soprattutto in un tempo segnato dalla pandemia, urgono politiche comuni e condivise non assistenzialistiche. Iniziative di prospettiva volte a educare, favorire e facilitare il formarsi di una mentalità innervata da una cultura attenta al proprio e al bene dell’altro. Una rivoluzione di pensiero che non ritiene esista un nesso negativo fra innovazione e lavoro.

Gli effetti del Covid sul sistema economico-sociale e sul lavoro Il Covid ha costituito uno shock impressionante sia sul versante sanitario e della salute, sia quanto alle modalità di vita sociale, alle opportunità di frequenza scolastica, al livello di benessere, provocando forti diminuzioni del Prodotto Interno Lordo e delle opportunità di lavoro in pressoché tutti i Paesi. Per quanto riguarda, in particolare, le conseguenze economiche relative all’Italia, nel 2020 il PIL è diminuito del 9% rispetto all’anno precedente, gli investimenti sono scesi del 12% – siamo sotto il livello di inizio millennio – il commercio internazionale è sceso di oltre il 15%. Infine, il nostro investimento all’estero (FDI) è diminuito di quasi il 30%. Per quanto concerne il mercato del lavoro, le ore lavorate sono diminuite sia per problemi di controllo sanitario legati al Covid, sia soprattutto per sospensione di attività (in particolare nelle piccole imprese di servizi), per licenziamento o per cassa integrazione, interessando anche grandi imprese. A livello globale, secondo l’ILO (International Labour Organization), la diminuzione nelle ore effettivamente lavorate nel 2020 rispetto a quelle che vi sarebbero state in uno scenario senza pandemia, è risultata pari alla cancellazione di 255 milioni di posti di lavoro. In molti Paesi a sviluppo medio-basso si è avuto un forte spostamento verso il lavoro informale. Secondo dati della Banca d’Italia, nel nostro Paese l’occupazione è scesa di quasi il 10%. Un ulteriore problema legato al lavoro riguarda le classi di età giovanile. Causa la pandemia, il livello dei NEET (giovani che non studiano né cercano lavoro), già elevatissimo in Italia, ha conosciuto un ulteriore aumento. Il 23%-24% dei giovani della classe di età 15-29 anni fa parte dei NEET (oltre due milioni di giovani); allargando la classe di età a 15-34 anni, il numero dei NEET sale a tre milioni di giovani. Infine, il periodo di lockdown ha causato anche una sostanziale diminuzione delle attività educative e scolastiche, che le forme di apprendimento a distanza hanno solo molto parzialmente corretto. Che fare? È ragionevole pensare che con la fine della pandemia i problemi descritti trovino soluzione? Riteniamo di no. Molti dei fatti descritti – i problemi economici citati, il complicarsi dei problemi del rapporto tra educazione e mercato del lavoro – non potranno essere risolti “ritornando a prima”. Si tratta – riteniamo – di fenomeni che non solo hanno radici di più lungo periodo ma che mettono anche in evidenza veloci cambiamenti, il che impedisce di pensare che sia sufficiente a risolverli il ritorno a modalità operative del passato. Dinamiche di cambiamento… Le annotazioni fatte sui cambiamenti in atto negli anni recenti nel mercato del lavoro hanno una storia assai più lunga, sono collegati a fenomeni come la globalizzazione, la tecnologia, il cambiamento nelle dimensioni delle imprese, la forte crescita del potere oligopolistico delle grandi imprese. La divaricazione fra retribuzioni di lavoratori skilled e unskilled era in atto da tempo. Negli ultimi quarant’anni, la differenza nelle retribuzioni tra occupati laureati e non laureati è raddoppiata. L’evoluzione tecnologica e le innovazioni nelle attività manifatturiere, hanno tolto valore e marginalizzato le occupazioni low-skilled. Negli Stati Uniti, dal 1985 al 2020, l’occupazione nella manifattura è quasi dimezzata, cancellando le mansioni di bassa qualità1. Ciò ha portato anche a una diversificazione delle dinamiche di sviluppo nei diversi territori, con alcune aree urbane in crescita e altre in forte declino2. Nelle aree urbane in sviluppo molte attività terziarie, di servizio, hanno potuto trovare un mercato locale dinamico che ne ha permesso la sopravvivenza o la crescita; nelle aree urbane in declino anche le attività terziarie sono state fortemente penalizzate. …ed effetti sulla dimensione del lavoro I cambiamenti che il mondo del lavoro sta conoscendo sono legati anche all’evoluzione di altre dimensioni e dinamiche della vita economica e sociale3. Certamente la dimensione più importante, per certi aspetti generativa anche delle altre, è quella legata alla nuova rapida ondata di innovazioni; l’ulteriore e accelerato sviluppo tecnologico non solo ha fatto diminuire fortemente le attività lavorative nel settore manifatturiero, ma anche una gran parte delle attività terziarie, quelle routinarie, vengono sostituite da processi legati all’Intelligenza Artificiale e alla gestione informatica di dati e procedure. Lo sviluppo delle tecnologie informatiche fa aumentare il lavoro a distanza – una dinamica che la pandemia ha accelerato –. Il lavoro a distanza può avere dei vantaggi (no al pendolarismo, più equilibrata vita in famiglia, meno costi aziendali), ma ha anche dei rischi: se legato a lavori routinari verrà anch’esso cancellato dall’informatizzazione e dal machine learning; se legato a lavori innovativi e creativi può perdere necessarie e utili forme di dialogo e di cooperazione che la distanza complica o impedisce. Una seconda dimensione dei cambiamenti in atto, che incide con forza sul mercato del lavoro, è legata al rapido mutamento nella composizione del commercio internazionale: l’insorgente concorrenza di beni, materie prime e manufatti provenienti da Paesi con costi e prezzi più bassi, cancella le opportunità di occupazione, anche e soprattutto nei Paesi sviluppati, e aumenta la conflittualità sociale fra le diverse classi sociali e le diverse etnie presenti. Spesso, per evitare simili conseguenze, forme di protezionismo verso l’esterno sono la risposta che molti Paesi sembrano dare. Occorre tuttavia considerare che il protezionismo è un modo fortemente distorsivo di compensare i perdenti e nel lungo periodo ha normalmente costi più elevati dei benefici. In terzo luogo, i cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo del lavoro sono fortemente legati al comportamento delle imprese, in particolare delle grandi imprese. Spesso queste gestiscono cambiamenti tecnologici e nelle specializzazioni produttive senza una reale preoccupazione delle conseguenze quanto al lavoro, come documentano le condizioni di lavoro dei dipendenti di Amazon (1,2 milioni, il terzo colosso al mondo in termini di occupazione). Questa mancata preoccupazione per la situazione del mondo del lavoro si appoggia su una cultura neo-liberal, che ritiene che i mercati giungano a un equilibrio efficiente anche in un’era dominata – come accennato – da pesanti oligopoli che spesso “orientano” anche le politiche di settore. “Labour is more than just a commodity” L’esperienza negativa quanto al lavoro ha condotto a un giudizio negativo sul valore della vita4 con le conseguenze di comportamento, verso sé e verso gli altri, che vediamo in atto. Che direzione prendere? Crescente innovazione, robotica e machine learning non sono elementi negativi; non è nella loro originale natura generare i fenomeni descritti di immiserimento e frantumazione sul mercato del lavoro. Sono anzi l’opportunità di reale crescita, e lo sono quanto più il lavoro, cui l’innovazione si accompagna, è creativo, impegnato, cosciente del bene comune. La stessa capacità di innovazione, infatti, viene sia dall’investimento in R&S sia dal dialogo costante con la creatività che nasce da un lavoro impegnato, individuando opportunità e strade che altrimenti non si potrebbero avere. “Innovation, after all, begins with people”5. Perché questo avvenga, occorre che i lavoratori e il loro operare non siano considerati pura merce, oggetto, ma coinvolti e co-protagonisti della creazione di un bene comune nella vita umana, individuale e sociale. Un padre o una madre che accudiscono i propri figli lavorano: per nutrirli, vestirli, educarli; per loro lo scopo del lavoro “sorpassa” ciò che fanno, nasce dall’esigenza e giunge all’esperienza del bene di coloro per cui operano. È possibile una cultura che ha – quanto al lavoro – una concezione simile, strettamente legata al desiderio del bene proprio e altrui? Sarebbe la rivoluzione necessaria per cancellare la posizione che ritiene esista un nesso negativo fra innovazione e lavoro; e per non abbandonare all’emarginazione i lavori oggi meno connessi all’innovazione tecnica. È evidente che ciò implica un sistema scolastico che educhi a questa apertura, che favorisca una formazione capace di stare collaborativamente di fronte a una realtà lavorativa e produttiva definita da dinamiche innovative e di cambiamento (anche nel settore dei servizi). Perché tale approccio inizi a diventare esperienza è necessario, grazie a un profondo dialogo tra mondo dell’educazione e imprese, favorire nei giovani la capacità di imparare, perché durante il percorso della vita lavorativa siano in grado di stare di fronte ai cambiamenti di lavoro e di contenuto dei lavori che dovranno affrontare. “If innovation is to be subsidized, a natural place to start is to increase the quantity and quality of human capital. […] Simply stimulating the ‘demand side’ through R&D subsidies and tax breaks may only drive up the price, rather than the volume of research activity”6. La battaglia per la dignità del lavoro si interfaccia coi comportamenti dei diversi attori e richiede, a livello nazionale ed europeo, politiche comuni e condivise non assistenzialistiche ma, potremmo dire, volte a educare, favorire e facilitare il formarsi di una mentalità come quella descritta. È possibile? Esempi ve ne sono.

 

NOTE

1 Private sector manufacturing employment U.S. 1985-2020; Statista Research Department, May 17, 2021.

2 Moretti E. (2013), La nuova geografia del lavoro, Mondadori, Milano.

3 Di Tella R., & Rodrik D. (2020), Labour market shocks and the demand for trade protection: evidence from online surveys, The Economic Journal, 130(628), pp. 1008-1030.

4 Case A., & Deaton A. (2015), Rising morbidity and mortality in midlife among white non-Hispanic Americans in the 21st century, in Proceedings of the National Academy of Sciences, 112(49).

5 Van Reenen, John (2020). “Innovation and Human Capital Policy,” in A. Goolsbee and B. F. Jones (eds.), Innovation and Public Policy, University of Chicago Press

6 Ibidem.

 

Giuseppe Folloni è Senior Professor in Economia applicata presso l’Università di Trento. Le tematiche di ricerca che ha affrontato nel corso della carriera riguardano l’Economia urbana e regionale, i problemi dello sviluppo urbano e regionale e dal 2000 i temi dello sviluppo economico, dello sviluppo umano e della formazione del capitale umano.

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