La storia di questi mesi e il presente che stiamo vivendo rivelano l’inefficienza e l’inefficacia di architravi innervate da pensieri deboli. Il cambiamento può avvenire solo dalla reazione virtuosa di tutto il sistema. È decisivo mettersi al lavoro adesso. Urgono lucide analisi e visioni di prospettiva.
Laddove finiscano le incongruenze e tutti i soggetti recuperino centralità. E con un rapporto finalmente fiduciario tra politica e scienza. L’esperienza di questi mesi dimostra che trascurare le evidenze scientifiche non è la strada da prendere per costruire un percorso solido che possa contrastare adeguatamente le future emergenze epidemiche. Passaggi chiave, questioni globali. Uscire rafforzati dall’emergenza è possibile, ma occorre scrivere un’altra storia. Perché senza sicurezza sanitaria non vi può essere sviluppo economico.
Il 3 febbraio 2020 è il giorno in cui i membri del consiglio esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – di cui facevo parte come rappresentante dell’Italia – incontravano il direttore generale di ritorno da Pechino. Tedros Adhanom Ghebreyesus (direttore generale OMS, ndr) ci disse che qualcosa di preoccupante stava succedendo laggiù. A quel punto iniziammo una discussione serrata che occupò tutto il giorno. Quasi non ce ne accorgemmo. D’altronde la circostanza non ammetteva distrazioni. Si trattava di tarare decisioni da prendere sulla base di prove scientifiche. Non ci volle molto a capire che l’epidemia non sarebbe rimasta circoscritta alla Cina e quindi nella discussione manifestammo la preoccupazione che il Coronavirus si diffondesse in tutto il mondo e che dunque occorresse muoversi con celerità ed efficacia per contrastarne l’impatto. La decisione presa quel giorno dal consiglio esecutivo fu la raccomandazione a tutti gli Stati membri di assumere tempestivamente impegni a carattere preventivo e di contrasto, in modo equilibrato, sulla base di evidenze scientifiche. Parallelamente si rivelò molto importante l’incoraggiamento alla Cina a essere totalmente trasparente nel fornire informazioni.
Già nella fase iniziale della crisi diveniva centrale il tema della proporzionalità. Un numero significativo di nazioni prese misure sproporzionate rispetto alla rilevanza della minaccia. Altre la ignorarono completamente. Il resto è storia nota: da un caso in Cina si è passati prima a un allarme globale e in seguito a una pandemia.
Ciò che abbiamo imparato in questi mesi è che il virus è sostanzialmente lo stesso in tutto il mondo, vi sono leggere modificazioni che non incidono sulla sua patogenicità e virulenza; semmai – ed è qui il punto – la differenza risiede nelle azioni intraprese da governi e istituzioni di sanità pubblica. Infatti, chi ha attuato misure di contenimento, tenendo in considerazione i dati scientifici, ha potuto avviare un percorso, certo complesso e drammatico, ma con un impatto meno deflagrante di morti e con effetti sullo stato dell’economia reale forse meno traumatici (anche se a tale proposito un riscontro più definito lo avremo nei prossimi mesi). Dunque, una situazione ben gestita pur in presenza di un virus sconosciuto. Al contrario, quando i segnali sono stati ignorati e le decisioni assunte in un contesto polarizzato e politicizzato, è successo che l’epidemia permanesse fuori controllo e il virus continuasse a impattare tragicamente come avvenuto in Italia nel mese di marzo. Se non di più.
Un virus che ha colpito in modo più significativo nei Paesi più ricchi, quelli maggiormente dotati dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria. Come è potuto succedere? La lezione da trarre è che quando la politica ignora le raccomandazioni della scienza, per i cittadini sono guai, sia dal punto di vista sanitario che economico. E, prima o poi, i responsabili di tali mancanze verranno puniti perché ritenuti responsabili, in primis dal popolo che li ha eletti e in seguito a livello internazionale.
Quanto successo – e che continuiamo a vivere – è destinato a cambiare la storia del mondo per mesi, se non per anni. Tuttavia, questo fatto è stato compreso in misura del tutto insufficiente. In diversi Paesi la corsa al ritorno alla normalità in condizioni che oggettivamente ancora non avrebbero dovuto permetterlo indica la precarietà di una strategia realistica. Eppure si dovrebbe comprendere che in un mondo globalizzato e mobile è impossibile il ritorno a un’economia solida senza aver risolto il problema di questa pandemia. L’unica possibilità per fermare in tutte le nazioni il Coronavirus risiede in una matura collaborazione fra le stesse.
Come consigliere per il Ministero della salute ho potuto positivamente constatare la decisione del ministro competente di portare la scienza al cuore della decisione politica e di rafforzare la collaborazione internazionale.
Non è stato facile per il ministro Speranza, specie agli inizi, convincere il presidente del Consiglio e il resto del Gabinetto della sopraggiunta necessità di mettere in lockdown l’intera nazione e dell’utilità di ridurre la mobilità e la libertà dei nostri concittadini in una modalità mai utilizzata da uno Stato democratico prima di allora. A distanza di mesi si può dire che quell’intervento si è rivelato l’unica modalità efficace per salvare il Paese e migliaia di vite umane.
L’importanza degli investimenti
Come ricercatore ho avuto l’opportunità di promuovere il primo programma di ricerca sui servizi e sui sistemi sanitari finanziato dalla Commissione Europea in Horizon 2020. Un programma avviato nel 2015 da tutti i 28 Stati dell’Unione europea, ma che coinvolge anche Canada, Israele e Stati Uniti. È stata la prima volta di un programma finanziato allo scopo di rendere i ricercatori in grado di fornire indicazioni utili allo scambio di dati e informazioni per supportare decisioni politiche, manageriali e anche cliniche. La novità di questo intervento ha fatto comprendere che nessuna nazione può pensare di risolvere eventi come la pandemia senza l’apporto di investimenti importanti nel sistema sanitario per garantire un servizio alla comunità ben organizzato, costruito nel rispetto dei bisogni, insomma virtuoso.
I Paesi che terranno conto di esperienze come questa e della necessità di un cambio di passo fatto emergere con il programma finanziato dalla Commissione europea saranno quelli che potranno garantire in futuro una copertura sanitaria adeguata ai propri cittadini. La si può attuare sia attraverso un servizio nazionale con un approccio tipo Beveridge o con un sistema assicurativo sociale di tipo bismarkiano. Lo scopo rimane quello di una copertura sanitaria di tipo universalistico perché si tratta dell’unico modo per garantire un accesso più rapido ai test, al tracking e ai trattamenti; e, inoltre, si tratta di una modalità di gestione dei costi più razionale.
I Paesi che proseguiranno nel basare la propria strategia solo sulla cura del paziente in ospedale, anziché investire su una rete sanitaria diffusa che eserciti forme di prevenzione e contrasto già nei territori, andranno incontro a continue difficoltà soprattutto in tempi di pandemia causata da un virus a trasmissione respiratoria, perché si dovrebbe tenere conto che le strutture ospedaliere possono diventare luoghi di contagio piuttosto che di cura.
Oggi ci troviamo davanti all’urgenza di dover reagire e affrontare sfide di questo tipo adoperandoci per costruire un team multi professionale e multi istituzionale dove ciascuno – il politico, lo scienziato, il professionista sanitario, il cittadino – è chiamato a dimostrare competenze e responsabilità in uno spirito di collaborazione. L’Italia non è rimasta insensibile a questo approccio metodologico. E qualche risultato apprezzabile lo si è visto. Anche se, alla prova dei fatti, si è resa palese l’esigenza di rendere più armonico il rapporto tra scienza e politica, troppo spesso conflittuale e autoreferenziale. La risposta efficace ai problemi richiede il superamento di mentalità conservative e non dialogiche e, vista la complessità della situazione globale, ormai del tutto antistoriche. Occorre una serietà e un’urgenza condivisa a livello internazionale, specialmente da quei colleghi che si trovano a operare in Paesi (ad esempio Brasile e Stati Uniti) dove il deficit di collaborazione si è mostrato più evidente.
L’Italia esempio di spirito collaborativo
Questa pandemia dice quanto sia fondamentale intensificare la collaborazione; è doveroso che gli addetti ai lavori escano con maggiore autorevolezza dal proprio ambito, allo scopo di permeare in modo reale le decisioni dei governi. In questo contesto, abbiamo potuto vedere l’esempio straordinario di una società civile (accademia delle scienze, Chiesa cattolica, organizzazioni non governative) che si è aggregata per attenuare l’atteggiamento negazionistico del governo in Brasile o quello che è successo in Gran Bretagna dove gli scienziati hanno dovuto costituire un Comitato scientifico alternativo a quello del governo, troppo timido e compiacente. Con esiti che dovrebbero far riflettere.
La sfida che noi abbiamo davanti è questa e riguarda la leadership in tutti i settori: quello clinico, della sanità pubblica, della politica, dell’industria e, ovviamente, della società civile.
La collaborazione con alcuni Paesi europei, in primis proprio la Germania, è stata importantissima per l’intera Europa, perché il rapporto personale che si è attivato tra il ministro Speranza e il ministro Spahn e la mia personale amicizia con Lothar Wieler, presidente dell’Istituto Robert Koch di Berlino, ha fatto sì che la Germania si sia mossa molto presto e molto bene nell’evitare le conseguenze che vi erano state da noi e che si mettessero le premesse per una più efficace azione della Commissione europea. Non è successo lo stesso con altri Paesi che hanno ignorato i nostri avvertimenti trovandosi poi nei guai.
La riapertura delle scuole nelle condizioni sopraggiunte è stata opportuna. Pur tra molte difficoltà il segnale è stato importante. Sempre e comunque mantenendo alta la guardia. Confidando sulla responsabilità collettiva per provare a limitare la circolazione del virus fuori dalle scuole con comportamenti semplici ma fondamentali. E, insieme a questo, attraverso protocolli assai rigorosi all’interno delle scuole.
La strada per vincere i virus è questa. Continuare a basare le decisioni sulle evidenze scientifiche e non sulle emozioni e su prese di posizione ideologiche. Per questo vi è profondo rammarico per come poi l’Italia non abbia saputo prevenire adeguatamente la seconda fase epidemica, quella che stiamo attualmente vivendo.
La lentezza di alcune regioni, la frammentazione decisionale, l’infodemia, l’inadeguatezza di molti politici, sia a livello nazionale che regionale, ci hanno indotto a commettere errori evitabili, peraltro condivisi dalla maggior parte dei Paesi occidentali, e a farci capire che ogni cedimento all’evidenza scientifica verrà pagato ora e nel futuro con continue riemergenze epidemiche.
Salute e modello di sviluppo
Questa fase storica di cambiamento epocale conferma le preoccupazioni che da più parti venivano da anni sollevate e per lo più sono rimaste inascoltate. Il modello di sfruttamento del pianeta con la distruzione delle risorse e l’eliminazione di qualsiasi limite di ragionevolezza ha determinato il fatto – ed è quello che stiamo vivendo – che oggi gli animali trasmettono i virus all’uomo. E siccome il nostro modo di viaggiare è sempre più rapido, ecco che l’uomo porta i virus da una parte all’altra del pianeta.
Le pandemie del passato sono stati eventi rari, tali da essere ricordati nei libri di storia per le loro drammatiche conseguenze. Con l’ingresso nel XXI secolo ne abbiamo già avute numerose e questa attuale è quella sicuramente più dirompente, anche se poteva andare peggio.
Questo Coronavirus non ha una elevatissima letalità, il problema è il contemporaneo impatto sulla salute, sull’economia e sul nostro modello di sviluppo.
La sfida è però – e lo ribadisco – che le decisioni vengano sempre prese sull’evidenza, sui dati e non sulle emozioni. Tom Frieden – l’ex direttore dei Centers for Diseases Control degli USA – ha pubblicato un dato sulla perdita economica legata alle pandemie di questo secolo.
La SARS è costata 5 miliardi, la MERS poco meno, l’attuale pandemia da Covid-19 solo negli USA è costata trilioni di dollari, precipitando il Paese in una crisi economica senza precedenti.
La realtà ineludibile è che non ci può essere sviluppo economico se non vi è sicurezza sanitaria e perché questa sia garantita è necessario cambiare il modello di sviluppo nel rispetto della sostenibilità.
Rispetto a questa fase drammatica che il mondo sta vivendo Papa Francesco ha detto: “è una grande opportunità, non perdiamola”. Perderla adesso significherebbe pagarne le conseguenze in futuro e sarebbe gravissimo se, quando si ripresenterà la prossima pandemia, non fossimo preparati a contrastarla in modo rapido ed efficace.