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VIDEO | Primi spunti dagli operatori impegnati nella lotta al Covid

Riforma della sanità lombarda: al centro qualità e competenza

Che cosa sta cambiando nei sistemi sanitari per via della pandemia? Il mondo degli operatori sanitari (direttori di ATS, ASST e ospedali, medici, infermieri ed esperti di settore) si è interrogato su come far tornare qualità e competenza al centro del sistema, e su come farlo senza lasciare indietro nessuno.

La presentazione online del documento “Per una riforma della sanità lombarda”, stilato da un gruppo di professionisti del settore impegnati nella lotta al Covid e proposto come spunto iniziale di discussione, è stata occasione per un vero e proprio brain-storming. Nell’introduzione, Felice Achilli, presidente Medicina e Persona, ripercorrendo i punti chiave del documento, ha posto l’accento innanzitutto sul problema della governance regionale della sanità. Essa deve sostituire il modello verticistico-aziendalista che si è configurato negli ultimi anni, a una governance più flessibile, attenta all’esperienza sul campo e capace di coinvolgere il mondo professionale. Achilli ha indicato i principali limiti dell’organizzazione sanitaria messi in evidenza dalla pandemia: la fragilità delle cure ospedaliere, la scarsità di infermieri, la mancanza di un adeguato sistema di valutazione della qualità ed efficacia della cura.

Per una governance ospedaliera meno dirigistica si è espresso anche Antonio Pesenti, professore di Anestesiologia e Rianimazione, Università degli Studi di Milano, il quale ha segnalato tra le urgenze da affrontare l’insufficienza di posti letto per acuti e il conseguente sovraccarico delle rianimazioni.

Anche Filippo Anelli, presidente FNOMCeO – Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri sottolinea la necessità che le competenze dei professionisti siano rappresentate nella governance; sbagliato anche tagliare fuori le comunità locali. Circa l’organizzazione della medicina sul territorio, Anelli prospetta un passaggio del sistema dei distretti allo sviluppo di reti utilizzabili addirittura a livello nazionale - che consentano di avvalersi di tutte le professionalità e le specialità disponibili. Questo potrebbe favorire il superamento delle diseguaglianze nei sistemi assistenziali attuali.

Rosella Levaggi, professore di Economia pubblica, Università degli Studi di Brescia, ha indicato la necessità di sviluppare indicatori di qualità e di renderli disponibili per avere una base cognitiva adeguata.

Di riforma sanitaria come “problema di civiltà e di vita sociale” ha parlato Giancarlo Cesana, professore di Igiene Generale e Applicata, Università degli Studi Milano-Bicocca.  La programmazione sanitaria si fa sull’offerta, cioè sulle risorse disponibili (scarse) e non sulla domanda. Alla sanità è destinato solo un quarto della spesa socio-assistenziale, e scelte come quota 100 e reddito di cittadinanza sono negative da questo punto di vista. Oltre al tema delle risorse economiche va ripensato l’uso delle professionalità (servono più infermieri; i medici di base sono ridotti a burocrati), il controllo delle prestazioni, la disponibilità dei dati.

Federico Lega, professore di Management Sanitario, Università degli Studi di Milano, ha messo in guardia dalle pretese astratte di grandi rivolgimenti; occorre un continuo aggiustamento; occorre anche una valida gerarchia e una valida catena di comando, sola garanzia di buon dialogo con i professionisti. Sulla mancanza di infermieri, ha proposto l’apertura di un tavolo nazionale. Sulla governance, ha chiesto un ministero forte che interagisca con Regioni forti.

Nino Cartabellotta, presidente Fondazione GIMBE, ha approfondito il tema dei finanziamenti e quindi del Recovery Plan. A questo proposito ha giudicato assai carente il Piano di ripresa e resilienza, che a riguardo della sanità non calcola l’impatto sulla spesa pubblica, non affronta il tema del riparto delle risorse, riserva solo briciole alla ricerca e all’innovazione. 

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