Per lunghi decenni nel nostro Paese la sussidiarietà è stata talmente dimenticata da non essere nemmeno menzionata non solo nei dizionari di lingua italiana, ma anche nelle più accreditate enciclopedie relative
alle scienze giuridiche, politiche e sociali.
La questione è diventata di attualità solo recentemente, quando dapprima il Trattato europeo di Maastricht e poi la Costituzione della Repubblica Italiana vi hanno fatto esplicito riferimento, sia pure in modo parziale e discutibile.
Peraltro, a tutt’oggi, non si può certamente dire che intorno ai contenuti essenziali della sussidiarietà vi sia sufficiente chiarezza. In questa situazione un importante contributo di riflessione e chiarificazione è offerto dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa, pubblicato lo scorso anno dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace1. Un voluminoso documento che dedica ampia e specifica attenzione alla sussidiarietà2, considerata un vero e proprio cardine dell’insegnamento sociale cattolico, una tra «tra le più costanti e caratteristiche direttive della dottrina sociale della Chiesa».
A questo proposito si ricorda come la sussidiarietà fosse già presente nella prima grande enciclica sociale, la Rerum novarum pubblicata nel 1891 da Leone XIII, ma abbia trovato esplicita enunciazione solo nel 1931, nell’enciclica di Pio XI Quadragesimo anno, con una formulazione ancor oggi considerata come “classica”, e che, quindi, nonostante il lungo tempo trascorso, merita ancora particolare attenzione. Il Pontefice constata, innanzitutto, come, a causa dei mutamenti intervenuti nella società moderna, molte iniziative possono ormai essere realizzate solo ad opera di quelle che definisce come “grandi associazioni”, vale a dire, in pratica, dallo Stato e dagli enti pubblici.
Afferma, poi, con forza che, anche in questa nuova situazione, deve comunque «restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale» secondo il quale «siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare». Ne deriverebbe, infatti, «un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società», poiché «oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di portare aiuto alle assemblee del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle». Gli immediati successori di Pio XI ribadiscono l’importanza del principio, ne propongono concrete applicazioni nei più svariati campi, dall’economia alle relazioni internazionali, ma non offrono significativi apporti alla sua formulazione teorica.
Lo stesso Vaticano II non dedica ampia attenzione alla sussidiarietà, menzionandola espressamente solo tre volte e sempre in riferimento a questioni di indubbia rilevanza, ma di carattere specifico. Ancora più rari i riferimenti al principio nel magistero di Paolo VI. Invece con Giovanni Paolo II la sussidiarietà diventa, per così dire, un motivo ricorrente sia nei documenti della Santa Sede, sia nel suo personale magistero, con enunciazioni che, pur mantenendosi nel solco delle precedenti pronunce, non sono prive di una certa novità di accenti. In particolare l’enciclica Centesimus annus avverte che «la socialità dell’uomo non si esaurisce nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno - sempre dentro il bene comune - la loro propria autonomia».
Di conseguenza in tutti gli ambiti si impone il rispetto del «principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune».
Da questo rapido excursus risulta evidente che il magistero ha affermato espressamente e continuamente il principio di sussidiarietà, ma non si è sufficientemente preoccupato di svilupparlo in una dimensione dottrinale di carattere completo ed organico, che tenga anche adeguatamente conto dei profondi mutamenti in corso nel mondo e della crisi degli assetti tradizionali delle società e delle istituzioni. Non sorprende, quindi, che «tra i commentatori e gli studiosi» vi sia «una grande diversità di opinioni» al punto che «qualche autore ha trovato più di venti differenti interpretazioni al principio3». I contenuti essenziali della sussidiarietà vengono per lo più così identificati: il primato della persona umana, unitamente alla natura sociale della stessa, esige che le comunità abbiano come unico scopo il dare aiuto, subsidium, ai singoli individui nell’assunzione di personali responsabilità per la propria autorealizzazione, assicurandone le condizioni necessarie. Anche le società cosiddette “maggiori” o “superiori” esistono per assolvere analoghi ruoli nei confronti delle comunità cosiddette “minori” o “inferiori”.
Il principio è valido per qualsiasi società, ma richiede di essere più precisamente determinato e specificato in funzione della natura di ogni comunità e delle circostanze storiche in cui essa si trova a vivere. A quest’ultimo proposito c’è però da chiedersi se ormai non sia auspicabile una revisione della stessa formulazione “classica” del principio stesso, che si riferisce a un ordine sociale strutturato secondo una sola linea gerarchica, mentre attualmente i centri di potere sono diversi e differenziati (si pensi ad esempio ai partiti politici, alla finanza, alle multinazionali, agli stessi mass media). Si aggiunga che non manca chi ritiene lo stesso termine di “sussidiarietà” decisamente infelice, in quanto desueto e suscettibile di fraintendimenti.
Una risposta, parziale ma significativa, a queste esigenze è ora offerta dal sopra ricordato Compendio della dottrina sociale. Infatti esso da un lato ha cura di sintetizzare ed esporre in modo organico le molteplici proposizioni del magistero pontificio che, a questo riguardo, sono venute succedendosi nel corso del secolo XX, facilitandone così la conoscenza e la comprensione. Dall’altro ricorre a un linguaggio meno datato e più attento alle problematiche della società contemporanea.
Il Compendio avverte, innanzitutto, che la promozione della «dignità della persona» esige la valorizzazione di tutte «quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico» che nascono dalla spontanea iniziativa delle persone e ne rendono possibile «una effettiva crescita sociale». Un complesso di realtà, dunque, quanto mai vasto e articolato che costituisce «l’ambito della società civile, intesa come l’insieme dei rapporti tra individui e tra società intermedie che si realizzano in forma originaria e grazie alla soggettività creativa del cittadino».
Si richiama quindi il principio secondo una formulazione non dissimile da quella tradizionale, ma, al contempo, se ne precisa il contenuto. Si fa, infatti, presente che la sussidiarietà deve essere ovviamente intesa «in senso positivo» come assicurazione di «aiuto economico, istituzionale, legislativo», ma comporta anche una serie di «implicazioni in negativo», che impediscono allo Stato di restringere “lo spazio vitale” che spetta alla libera iniziativa delle persone e alle loro aggregazioni. A queste essenziali proposizioni fanno seguito numerose “indicazioni concrete” sia di carattere generale, sia circa materie specifiche come la famiglia, l’economia, la comunità politica, le relazioni internazionali. Non mancherà certo occasione di dedicarvi adeguata attenzione.
Riferimenti: Per ulteriori approfondimenti e indicazioni bibliografiche vedi G. Feliciani, Sussidiarietà, Dizionario di dottrina sociale della Chiesa, Milano, Vita e pensiero, 2004, 87 ss.
NOTE
1 Cfr. R.R. Martino, Il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Atlantide, 1, 2005, 96 ss.
2 Cfr. in particolare nn. 185-188.
3 R.J. Castillo Lara, La sussidiarietà nella dottrina della Chiesa, Salesianum, 57, 1995, 455.