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PAPER | Un metodo statistico per calcolare l’impatto complessivo del Covid

I veri numeri dei decessi
per effetto della pandemia

Sono 128.000 tra il 1 gennaio 2020 e il 30 giugno 2021. È quanto risulta dal confronto tra la mortalità attesa e il numero totale dei decessi osservati. In questo studio i dati sono anche dettagliati in base al genere (maschi e femmine: rispettivamente 74.000 e 54.000 morti) e per classi di età: l’eccesso di mortalità si registra a partire da 35 anni e cresce proporzionalmente con l’anzianità

Anche per quelli che dubitano di tutto, l’evento morte è un fatto certo: almeno fin qui crediamo non ci siano dubbi. La situazione diventa invece molto più incerta se all’evento morte aggiungiamo la specificazione “per Covid”, come dimostra il florilegio continuo di lavori che cercano di capire quanti decessi possono essere effettivamente attribuiti alla presenza del virus o, più in generale, sono conseguenza diretta e indiretta della pandemia.

La scelta più importante riguarda il significato da dare al quesito che riguarda quanti decessi possono essere effettivamente attribuiti alla pandemia. Bisogna ricordare che siamo di fronte a soggetti che sono deceduti senza essere stati sottoposti a un tampone o senza essere sintomatici (condizioni necessarie per attribuire quel decesso all’effetto del virus), ad altri deceduti “per” il (cioè a causa del) Covid, ad altri ancora deceduti “con” il Covid (cioè casi in cui il virus era solo uno dei fattori partecipanti al complesso di patologie che può aver portato una persona al decesso); senza contare che l’elevata attenzione che ha richiesto la gestione dei soggetti infettati ha inevitabilmente portato il servizio sanitario a trascurare altre patologie (ad esempio, ma non solo, quelle oncologiche), ha creato tensione nei soggetti più fragili e generato patologie collaterali che possono quindi avere portato a un incremento di decessi che possiamo ritenere “indirettamente” attribuibili al Covid.

Per questo insieme di fattori riteniamo che per una corretta e completa valutazione dell’effetto della pandemia (e quindi non solo ciò che è stato causato direttamente dal virus) si debba innanzitutto prendere in esame la mortalità generale (e non solo quella emergente dalla rilevazione Covid): da qui la necessità di fare riferimento (vedi oltre) alla rilevazione dell’ISTAT e non a quella della Protezione Civile. Per i motivi appena indicati, nel seguito non parleremo di “effetto Covid” ma parleremo di effetto pandemia, cioè di quel complesso di fattori che (per via di tutto ciò che è conseguito alla presenza del virus) ha portato a un aumento rilevante della mortalità generale.

A scanso di equivoci conviene subito osservare che questa impostazione si discosta sia dal numero di decessi che vengono quotidianamente segnalati dalla Protezione Civile, sia dalle scelte di registrazione e conteggio centrate più restrittivamente sugli effetti “diretti” del virus che sono state adottate in altri Paesi, scelte che rendono spesso poco (o nulla) confrontabili le statistiche che vengono prodotte.

I dati rilevati dalla Protezione Civile sono solo (si fa per dire) un pezzo della questione. Negli obiettivi di raccolta, si dovrebbero conteggiare in questo modo i morti di Covid, o con Covid, ma non è noto il grado di completezza di questa rilevazione. Analizzando, invece, la mortalità totale, si valuta l’impatto complessivo della pandemia, che include sia i morti attribuibili al Covid sia i morti indiretti. Se ad esempio il sistema ospedaliero si satura e questo causa un aumento dei decessi oncologici, anche questa è mortalità dovuta alla pandemia e riguarda una valutazione del sistema sanitario.

Se l’operazione che ci apprestiamo a compiere fosse semplice (ma il solo contare i morti già di per sé non è semplice e richiede il realizzarsi di alcune condizioni, delle quali quella fondamentale è, almeno, l’esistenza di un adeguato sistema informativo) non saremmo qui a discuterne continuamente, ma proprio perché semplice non è (al di là di quello che ciascuno pensi a proposito degli effetti avversi della pandemia) c’è bisogno di tornare ancora una volta sull’argomento, sperando di poter mettere qualche “mattone” più sicuro.

Conviene cominciare dall’inizio, cioè proprio dal sistema informativo sulla mortalità: ufficiale, stabilito per legge, uniforme e ritenuto valido su tutto il territorio nazionale, oltre che internazionalmente riconosciuto, è quello istituito e gestito da ISTAT. Ciò non significa che sia un sistema informativo perfetto (non è questo il luogo per descriverne pregi e difetti) ma è quello che da moltissimi anni produce le statistiche di mortalità utilizzate con grande beneficio da tutti. Recentemente, il 21 ottobre 2021 (https://www.istat.it/it/archivio/240401), l’Istituto ha messo a disposizione in formato elettronico un dataset con i decessi giornalieri avvenuti in ogni singolo comune di residenza (per sesso e classi di età quinquennali) per il periodo che va dall’1 gennaio 2011 al 31 agosto 2021 per tutti i 7.903 Comuni italiani. È questa la base di dati che abbiamo utilizzato per i calcoli che seguono, dove, per prudenza e per evitare eventuali problemi di incompletezza dei dati più recenti, abbiamo limitato la valutazione ai deceduti entro il 30 giugno 2021.

La seconda scelta riguarda il problema del confronto. Per affermare che la pandemia ha (o non ha) causato un aggravio numerico di decessi totali, occorre instaurare un confronto tra il numero di decessi totali osservati e il numero di decessi totali che sarebbe ragionevole attendersi se la pandemia non ci fosse stata. Cioè a dire: cosa prendiamo come riferimento per valutare se i decessi totali osservati durante il periodo della pandemia sono di più o di meno di quanto sarebbe ragionevole attendersi in assenza della pandemia?

La pandemia è un esperimento naturale per il quale non si può effettuare la controprova: ci dobbiamo pertanto accontentare di ragionare attorno a qualche ipotesi, cercando di trovare degli spunti di validazione a supporto o confutazione delle ipotesi stesse. In questo esercizio abbiamo preso quattro riferimenti (ipotesi): i tassi di mortalità del 2019 (cioè l’ipotesi che senza pandemia i tassi del 2020 e del 2021 sarebbero stati uguali ai tassi del 2019), i tassi medi del 2018-2019, i dati medi del periodo 2015-2019, l’andamento dei tassi nel periodo 2011-2019 (proiettati in seguito al 2020 e 2021).

Oltre a queste scelte occorre poi adottare alcuni tecnicismi per garantire che il confronto produca risultati corretti. Il più importante di tali tecnicismi, come discusso in precedenza dagli statistici Gori e Marin (E. Gori, R. Marin, Il tasso di mortalità tra i vaccinati è del tutto normale, e non dipende dai vaccini: i dati, TPI, 22 marzo 2021), indica che l’utilizzo dei soli casi di decesso del totale della popolazione trascura l’evoluzione in termini di età della popolazione stessa e che, per una analisi corretta, bisogna fare ricorso ai tassi di decesso specifici per età. Nel presente contributo i tassi, oltre che per età, sono stati calcolati anche specifici per genere (maschi, femmine), e tutte le popolazioni sono riferite all’1 gennaio di ogni anno (www.demo.istat.it).
Da ultimo, in termini di metodologia, è bene specificare che per calcolare quanto sarebbe stata la mortalità nel periodo della pandemia nell’ipotesi che la pandemia non ci fosse stata si chiamano “casi attesi”) sono stati moltiplicati i tassi specifici (per età e sesso) dei periodi di riferimento per la popolazione (per età e sesso) degli anni 2000 e 2001 (quest’ultimo fino al 30 giugno). Fatto ciò, l’effetto attribuibile alla pandemia si misura con la differenza tra il numero di decessi totali osservati e il numero di decessi totali attesi (secondo le quattro diverse ipotesi che abbiamo specificato).

Ci rendiamo conto che per il non addetto ai lavori tutta questa introduzione metodologica possa risultare pesante e noiosa, e ce ne scusiamo: in realtà essa risulta necessaria, da una parte per comprendere le insidie e le difficoltà (e le arbitrarietà, ovviamente) che sono insite nell’operazione di stima che ci apprestiamo a compiere, e dall’altra per capire l’origine delle differenze che emergeranno dalla analisi e saperle correttamente interpretare.

Il totale dei decessi attribuibile alla pandemia (vedi tabella), cioè la differenza tra i decessi totali osservati e quelli attesi nelle quattro ipotesi esplorate, varia molto in funzione del riferimento (ipotesi) che si sceglie: si passa dai circa 71.000 casi (se si considera come riferimento il tasso medio del periodo 2015-2019) ai circa 104.000 casi (se si considera come riferimento il tasso medio del periodo 2018-2019), ai poco più di 104.000 casi (se si considera come riferimento il tasso del periodo 2019) fino ai circa 128.000 casi (se si considera come riferimento l’andamento del tasso nel periodo 2011-2019 proiettato al 2020 e 2021). Quale sarà il numero giusto?

Tabella 1. Effetto della pandemia sulla mortalità totale nel periodo 1.1.2020-30.06.2021: differenza tra il numero di decessi osservati e il numero di decessi attesi secondo quattro diverse ipotesi.

Nota Bene. Se anziché i tassi specifici per età avessimo usato per il calcolo dei decessi attesi i tassi totali grezzi, mentre per la stima che tiene conto dell’andamento 2011-2019 avremmo ottenuto un valore simile (127.000), per le altre tre ipotesi avremmo ottenuto valori decisamente più alti (rispettivamente: 132.000, 144.000 e 147.000).

Avere usato nella analisi i tassi specifici per età e genere ci garantisce che, per ciascuna delle ipotesi esaminate, il risultato emergente non può trovare spiegazione in queste due variabili (e quindi nell’invecchiamento, differenziale per genere, della popolazione): la differenza tra osservato e atteso è pertanto l’effetto complessivo della pandemia. Le prime tre ipotesi (tassi 2019, tassi medi 2018-2019, tassi medi 2015-2019), però – per come sono state formulate – non tengono conto dell’andamento temporale della mortalità, perché ipotizzano che i tassi del 2020-2021 siano uguali ai rispettivi tassi degli anni presi come riferimento; la quarta ipotesi invece (andamento dei tassi nel periodo 2011-2019 e loro successiva proiezione al 2020 e 2021) tiene conto dell’andamento temporale dei tassi, andamento che per tutte le classi di età (a esclusione della classe 95-99) è in netta discesa col passare del tempo (si veda il valore negativo della correlazione riportato nell’ultima colonna della tabella).

Anche alla luce di quest’ultima considerazione chi scrive ritiene che l’ultima ipotesi sia la più ragionevole e che pertanto si debba indicare in circa 128.000 decessi l’effetto potenziale complessivo della pandemia sulla mortalità totale. Dovrebbe risultare chiaro da quanto fin qui esposto che si tratta di “ effetto complessivo della pandemia ” e non di “ morti per Covid ”:quando saranno disponibili i dati ISTAT specifici per patologia potremo risolvere anche questo quesito; effetto potenziale: perché è conseguenza delle ipotesi (ragionevoli ma pur sempre ipotesi) a partire dalle quali abbiamo effettuato i confronti.

L’osservazione della tabella suggerisce anche che la pandemia non ha provocato un eccesso di mortalità nelle classi più giovani: fino a circa 35 anni di età (in tutte le ipotesi esaminate) la mortalità osservata è risultata inferiore alla attesa, e solo a partire da questa età si cominciano a contare decessi che possono essere attribuiti alla pandemia, con una crescita significativa dei tassi per età (vedi figura seguente).

Dei circa 128.000 decessi in più, circa 96.000 (tasso 16,1 x 10.000) sono avvenuti nel 2020 e circa 32.000 (tasso 10,3 x 10.000) sono riferiti ai primi sei mesi del 2021; circa 74.000 (tasso 16,8 x 10.000) hanno interessato gli uomini e circa 54.000 (tasso 11,6 x 10.000) hanno riguardato invece le donne.

Certo in questi numeri che hanno valutato la mortalità generale c’è molto di più dei morti “per” Covid o di quelli “con” Covid, effetti che possiamo considerare diretti del virus: nella nostra analisi ci sono anche i deceduti “senza” Covid (cioè per altre patologie) perché riteniamo che sia necessario valutare l’effetto complessivo della pandemia, che (come abbiamo detto in precedenza) non è riconducibile solo ai morti “per” o “con” Covid.

Fin qui i dati ufficiali dell’ISTAT sottomessi alle elaborazioni e alle ipotesi che abbiamo specificato: giusto per ragioni di completezza, diamo uno sguardo anche ai dati sui decessi così come comunicati giorno per giorno dalla Protezione Civile. Alla data del 30 giugno 2021 – momento di termine anche della nostra analisi – secondo la rilevazione della Protezione Civile risultavano 127.566 soggetti deceduti “Covid”, una cifra molto vicina a quella da noi stimata: ma sono confrontabili i due numeri? Mentre è chiaro il contenuto del sistema informativo di ISTAT, e cioè l’insieme dei decessi per qualsiasi patologia, non è altrettanto definito il criterio con cui sono rilevati i deceduti segnalati dalla Protezione Civile, anche se è ragionevole ritenere che contengano sia morti “per” Covid, sia morti “con” Covid, sia morti “senza” Covid, con un grado di completezza (o incompletezza) che non è possibile stabilire. Se ne deve dedurre che, considerate le ipotesi e le analisi che occorre fare per calcolare i decessi potenzialmente attribuibili alla pandemia, la sostanziale coincidenza tra le nostre stime e i dati forniti dalla Protezione Civile è da considerare puramente casuale.

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