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VIDEO I La ricerca Randstad-Fondazione per la Sussidiarietà presentata a Rimini

Dall’università all’azienda:
come valorizzare i talenti

  • 24 AGO 2023

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I disallineamenti da sanare tra professionalità formate e competenze richieste. La necessità del dialogo e della co-progettazione di alcuni corsi tra corpo accademico e manager

Nell’“Anno europeo delle competenze”, indetto dalla Commissione europea per il 2023, lo studio presentato nel ciclo di incontri in collaborazione con la Fondazione per la Sussidiarietà, analizza il bagaglio formativo dei laureati in uscita dal sistema universitario nazionale, in termini di conoscenze professionali, digitali e soft skill. L’obiettivo è comprendere la potenzialità di capitale umano presente nel Paese ma poco conosciuta dalle imprese, perché queste sappiano meglio ingaggiare e trattenere i talenti.

Sono intervenuti all’incontro:

Marco Ceresa, Group Chief Executive Officer Randstad Italia

Giorgio De Rita, Segretario Generale Censis

Mario Mezzanzanica, Professore di Computer Science and Engineering, Università Milano Bicocca, Dipartimento Lavoro Fondazione per la Sussidiarietà

Anna Castelli, Direttore Risorse Umane di Beta 80 Group

Federico Visconti, Rettore LIUC

Ha moderato Massimo Ferlini, Presidente Fondazione Welfare Ambrosiano, Dipartimento Lavoro Fondazione per la Sussidiarietà

MEZZANZANICA – Il confronto fra le professioni in uscita dall’università e il mercato del lavoro rivela una velocità di cambiamento impressionante. C’è una difficoltà da parte delle imprese a trovare professionalità adeguate. Siamo partiti da una considerazione: sotto il profilo la laurea è la miglior opportunità per inserirsi nel mercato del lavoro. Oltre il 75% dei laureati a un anno dalla laurea trova lavoro e dopo 5 anni il 90%. Ma nella popolazione lavorativa di 35-45 anni solo il 21% sono i laureati: siamo  tra gli ultimi paesi dell’Ocse. Mancano i laureati nel mondo del lavoro.

La ricerca analizza in un panel di atenei del paese alcune professioni verificando negli annunci quali sono ricercate. Abbiamo identificato circa 120 professioni che trovano riscontro negli annunci e che appartengono a 5 aree: professionale; economia e statistica; giuridica-umanistica delle scienze sociali; architettura e ingegneria; scientifica e informatica. Le aziende faticano a trovare competenze all’interno delle professionalità. Abbiamo provato a dividere le competenze in competenze professionali, digitali e trasversali e abbiamo visto che le competenze digitali diventano sempre più pervasive in ogni tipo di occupazione. In particolare nelle professioni degli statistici il 50% delle competenze richieste sono le competenze digitali; nel marketing il 20%; per chi si occupa di scienze umani e giuridiche il 15%. Significative sono anche le competenze trasversali, le soft skills: una su cinque competenze richieste sono trasversali cioè che richiedono una professionalità dal lavorare in gruppo a essere creativo ad avere autonomia.

Abbiamo rilevato, sondando un panel di aziende, che hanno comportamenti comuni: sulla fase di ingresso cercano laureati in discipline economiche, statistiche, scientifiche ma la scarsità degli stessi li spinge anche sulle lauree umanistiche. La ricerca avviene attraverso i social e il web e il passaparola ma tutti dicono che la cosa più importante è la relazione con l’università.

Come trattenere i talenti? Oggi i ragazzi in alcune aree hanno grandi opportunità e questo significa turn over: vado dove sono più richiesto, dove guadagno meglio e posso fare carriera. L’aspetto che emerge di più è l’attenzione al benessere delle persone nel contesto organizzativo, creare le migliori condizioni per essere attenti ai loro bisogni.

VISCONTI - È necessario mettere mano ai metodi didattici, ricordiamo che non si può abdicare all’apprendimento in aula. Per avvicinare università e aziende, invitiamo i manager nelle aule, facciamo degli stage che funzionino davvero, ma c’è bisogno di nuove frontiere: progettiamo dei corsi specifici pensati insieme da manager aziendali e docenti universitari (purtroppo il ministero dell’istruzione si lamenterà perché usciamo dai loro schemi consolidati). E’ vero che i nostri giovani vanno all’estero quando si sono laureati, ma impariamo a farne anche arrivare dall’estero. Come le aziende insegnano, ci vogliono investimenti.

CASTELLI - Le soft skills che analizziamo sono la capacità di risolvere problemi, le capacità relazionali e la propensione all’apprendimento continuo. Le capacità relazionali sono quelle che fanno in un giovane la differenza, quando un giovane ha propensione alla relazione: il tema del team working, la gestione del cliente e la capacità di gestione dell’errore, sono facilitate. Oggi si parla di costruire in azienda la sicurezza psicologica, relazioni consapevoli e di valore, costruire fiducia, saper ammettere la vulnerabilità della persona che possa sbagliare.

DE RITA - Noi abbiamo di fronte fenomeni strutturali che la ricerca mette bene in evidenza: la prima dinamica strutturale è la crisi demografica, 60mila banchi vuoti nelle scuole elementari nell’ultimo anno. Fra vent’anni avremmo un terzo di ventenni meno di oggi. Abbiamo la migliore generazione di sempre rispetto a quelle precedenti: conoscono le lingue, viaggiano, hanno un livello culturale più alto. Sta cambiando anche il modo con cui i giovani guardano al lavoro: la mappatura delle competenze, la difficoltà di far incontrare la domanda e l’offerta dei giovani. Più della metà dei giovani laureati sono sotto utilizzati con competenze fuori del loro bagaglio personale. Tutti i processi di reclutamento, di selezione e di aiuto all’ingresso nel lavoro sono incoerenti rispetto ai processi formativi. È un sistema che è disallineato, come dice Giorgio Vittadini. O ne abbiamo la consapevolezza o faremo fatica con i vecchi schemi a capire quello che sta accadendo.

CERESA - La ricerca ci dice che c’è del lavoro da fare. Come agenzia del lavoro siamo colpiti da certi mini master che costano tantissimo fatti per far entrare le persone nel mercato del lavoro. Noi come agenzia facciamo corsi di formazione di vario tipo e  formiamo le persone in linea con quello che vogliono le aziende. Uno dei riconoscimenti che ci danno le aziende è che al termine di questi percorsi formativi le persone non hanno solo ricevuto competenze hard ma li abbiamo preparati a capire come si entra in azienda e come si dialoga in una azienda.

VISCONTI - Bisogna inventarsi corsi di team building, il pensiero critico può far parte di alcune materie, come ci dicono gli imprenditori bisogna saper mettere le mani in pasta e inventarsi delle modalità diverse. Con la preoccupazione che c’è qualcosa che non funziona: fino a quando non ne prenderemo le distanze avremo sempre la matassa ingarbugliata. Inevitabilmente ci vogliono dei trade - off, quasi il 20% dei corsi di laurea in Italia hanno meno di 20 iscritti, vuol dire che qualcuno di questi che non è ottimizzato può liberare delle risorse per far crescere altre opportunità. I giovani oggi non rifiutano il lavoro, ma chiedono un lavoro diverso.

CASTELLI - Bisogna conoscere i giovani. Non è sempre vero che li conosciamo  partiamo spesso dai nostri criteri. La capacità relazionale non è un tema dei giovani e basta è un tema di tutti. La contrapposizione boomer-non boomer è una contrapposizione che sta facendo del male. Bisogna ripartire da un dialogo e dalla conoscenza.

DE RITA - Il lavoro sta cambiando per tante ragioni. Ce lo dice questa ricerca. Dobbiamo cominciare a ragionare su un nuovo modello di lavoro. Lo sforzo da fare tutti è capire che abbiamo investito troppo poco sulla qualità delle persone, dobbiamo recuperare.

MEZZANZANICA - Dialogando con molti studenti emerge che il livello di  insoddisfazione che hanno quando cominciano a lavorare è quando non sanno cosa vogliono e quando non incontrano qualcuno che sta con loro ed è capace di valorizzarli. Il senso del lavoro diventa fondamentale per creare le condizioni di una prospettiva di sviluppo per il nostro paese. Non basta più solo cercare il posto di lavoro in sé ma  qualcosa che è connesso alla nostra vita e che ci permetta di costruire un pezzo della nostra vita.

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