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Editoriale de ilSussidiario.net

A scuola di sussidiarietà
(anche per evitare equivoci)

Non si tratta di far arretrare il potere pubblico. Ma di seguire il metodo dell'"amministrazione condivisa" per una miglior risposta ai bisogni della comunità. L'esperienza pilota di Macerata

La parola sussidiarietà sembra essere diventata il passpartout per aprire molte porte, da quella identitaria di una certa parte politica, a quella autonomista, a quella populista. Come si è visto anche di recente, viene utilizzata per lo più secondo l’ideologia neoliberista, come mero principio di libertà di iniziativa e di scelta.

Ma la cultura della sussidiarietà è ben più di questo. È come la benzina che muove il motore di tutto il sistema democratico, non di una parte sola, avendo come stella polare il bene dei cittadini. E stabilendo, a questo scopo, una relazione stabile e virtuosa tra diversi livelli di governo e tra questi e la società civile, variamente organizzata.

Quello che si trascura, in particolare, è che tale principio non implica un arretramento del potere pubblico, ma un suo salto di qualità perché venga garantita la migliore risposta possibile ai bisogni delle persone, da qualunque ente derivi.

Un importante strumento per realizzare questo salto è rappresentato dalle recenti normative sull’amministrazione condivisa che apre a una politica sui servizi di pubblica utilità alla persona (socio-assistenza, marginalità, povertà, formazione e altro) in cui la Pa e gli enti del Terzo settore co-programmano e co-progettano insieme le risposte ai bisogni.

L’introduzione dell’amministrazione condivisa, impone, da una parte, un principio di non contrapposizione tra pubblico e privato non profit; dall’altra, una chiarezza dei ruoli: all’ente pubblico spetta la responsabilità di farsi garante di un insieme di servizi che rispondano ai bisogni fondamentali delle persone presenti sul territorio; la società civile, invece, è chiamata a maturare la sua capacità di identificare i bisogni in tutta la loro ampiezza, in quella  prossimità che rileva le necessità non solo materiali, e a rendersi protagonista delle risposte.

Il rapporto tra Pa ed enti del Terzo settore che viene a delinearsi non è la competizione, ma il dialogo e la “convergenza” verso gli obiettivi d’interesse generale per la costruzione di una rete di co-progettazione che rinforzi la struttura del welfare.

È una novità importante che richiede un cambio di mentalità e, soprattutto, momenti di formazione e di incontro tra amministratori e responsabili della progettazione e dell’attuazione delle politiche pubbliche, territoriali e settoriali, operatori della vasta galassia del Terzo settore, professionisti, ma anche tutti i cittadini interessati, come partecipanti e volontari.

È quello che sta accadendo a Macerata, prima tappa della nuova edizione della Scuola di Sussidiarietà, che sta offrendo importanti spunti di approfondimento per interpretare norme, prassi e implicazioni cultuali. E da cui emerge che senza uno sguardo d’insieme sul Paese, senza una visione di lungo termine, senza risorse pubbliche, senza una Pubblica amministrazione efficiente, l’azione sussidiaria non può dare un frutto duraturo a tutto il sistema, restando in questo modo un principio di breve respiro.

In un momento in cui il rischio di disgregazione è forte, la cultura della sussidiarietà può aiutare la relazione e la fiducia. Senza fiducia infatti non si riparte, non ci si muove, si resta solamente fermi e passivi.

Oltre agli aspetti organizzativi, gestionali e giuridici, sarà quindi importante reinterpretare la parte più propositiva della sussidiarietà, quella che risponde al bisogno delle persone di essere protagoniste, di poter costruire, di plasmare le forme della convivenza civile secondo l’ideale di giustizia e solidarietà che le anima.

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