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Editoriale de ilSussidiario.net

Il Terzo settore diventa partner
della Pubblica amministrazione

Il nuovo Codice degli appalti applica la storica sentenza n. 131 della Corte costituzionale all'insegna della sussidiarietà. Finisce la lunga penalizzazione subita dagli Enti non profit nelle gare

È ormai convinzione diffusa che gli enti non lucrativi e del Terzo settore svolgano importanti attività di pubblica utilità soprattutto in ambiti quali l’educazione, l’assistenza e in certi casi la sanità, la difesa dell’ambiente e del patrimonio artistico, la promozione di attività culturali e per il tempo libero, la gestione di luoghi di aggregazione e tanti altri. Tuttavia, la rigida normativa sugli appalti ha impedito che l’attività di questi enti fosse adeguatamente valorizzata dalla Pubblica amministrazione per l’interesse generale.

Il principio dell’uguaglianza tra realtà che concorrono all’appalto, in un regime di libera concorrenza, ha fatto sì che enti non lucrativi soccombessero nella competizione rispetto alle molto più attrezzate imprese profit. Oppure che vincessero appalti al massimo ribasso compromettendo la qualità del servizio o la possibilità di offrire contratti a dipendenti e collaboratori non precari e minimamente retribuiti.

L’articolo 6 del nuovo Codice dei contratti pubblici (in attesa del parere della Conferenza Unificata, prima dell’invio al Parlamento) prevede invece che le realtà non lucrative non siano solo entità a cui appaltare servizi in regime di concorrenza, ma partner della Pubblica amministrazione nel perseguimento del bene comune. Si legge: “In attuazione dei principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale, la pubblica amministrazione può apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di co-amministrazione […], fondati sulla condivisione della funzione amministrativa con i privati, sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano al perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato. Gli affidamenti di tali attività agli enti non lucrativi avvengono nel rispetto delle disposizioni previste dal decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, e non rientrano nel campo di applicazione del codice”.

L’articolo recepisce la sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, che ha sancito la coesistenza di due modelli organizzativi alternativi per l’affidamento dei servizi sociali, l’uno fondato sulla concorrenza, l’altro sulla solidarietà e sulla sussidiarietà orizzontale. Il secondo tipo di affidamenti (diretti) riguarda in particolare i servizi sociali di interesse generale erogati dagli enti del Terzo settore (ETS) e non rappresenta una deroga, da interpretare restrittivamente, al modello generale basato sulla concorrenza, bensì uno schema a sua volta generale da coordinare con il primo.

Il fondamento costituzionale di un tale modello si ritrova nell’art. 118, comma 4 Cost., in quanto costituisce attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale coinvolgendo la società civile nello svolgimento di funzioni amministrative, e nell’art. 2 Cost., configurando uno strumento di attuazione dei doveri di solidarietà sociale necessari a realizzare il principio personalista su cui si fonda la nostra Costituzione.

Ciò che è importante sottolineare è che la nuova norma, recepisce e fa propri i contenuti degli articoli 55 e 57 del codice del Terzo settore (d.lgs. n. 117 del 2017), individuando uno spazio distinto dal mercato e basato sulla sussidiarietà. Più precisamente, viene introdotto un bilanciamento tra concorrenza e sussidiarietà orizzontale, superando la tendenza a far prevalere la prima sugli altri valori ugualmente protetti dalla Costituzione.

Il modello proposto intende quindi apportare benefici alla collettività in termini di efficacia, efficienza e qualità dei servizi, promuovendo la capacità di intervento di quei soggetti che meglio esprimono queste caratteristiche.

La co-amministrazione pubblico-privato proposta non si basa infatti sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico.

Molto innovativo è anche il criterio suggerito per la scelta degli enti affidatari dei servizi. Si prevede che debbano essere scelti nel rispetto dei principi di non discriminazione, trasparenza ed effettività e sempre in base al principio del risultato. In altre parole, si esce da una logica puramente burocratica, ma spesso solo falsamente imparziale, per accettare il principio che si debba osservare la realtà e scegliere con motivazioni esplicite, chiare e trasparenti, quegli enti che hanno dimostrato e dimostrano di essere più capaci di svolgere i servizi.

Qualche preoccupazione si è levata sull’indicazione di “attività a spiccata valenza sociale” che potrebbe essere interpretata limitando l’applicazione alla sola tipologia dei servizi sociali.

L’espressione in questione deve riferirsi alle finalità perseguite dall’attività (quello che l’art. 5 del CTS rende con “una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”), non all’oggetto dell’attività. Mentre l’enfasi dell’aggettivo “spiccata” va collegata alla scelta della Pubblica amministrazione di avviare le forme di co-programmazione, di co-progettazione e di accreditamento nel cui ambito poi si realizza il coinvolgimento degli enti di Terzo settore. Questo perché l’interpretazione della norma sia coerente con il suo spirito.

È chiaro inoltre che l’applicazione della norma dipenderà dalla effettiva volontà dell’ente pubblico di investire energie nell’amministrazione condivisa (la sentenza 131/2020 infatti parla di un “procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico”, ovvero di obbligo reciproco).

E dipenderà molto anche dal fatto che gli enti non lucrativi sappiano dimostrare sul campo la loro particolare utilità al bene delle persone e al bene collettivo.

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