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Editoriale de ilSussidiario.net

Non c'è finanza sostenibile
se non per l'economia reale

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Urge recuperare la sua funzione di sostegno al lavoro e alla produzione. Con il Next Generation EU l'Europa stanzia 750 miliardi: l'Italia sarà in grado di utilizzare in modo proficuo quelle risorse? 

Lo shock economico generato dalla pandemia da Covid-19 rende molto incerti gli scenari che si configureranno nel settore finanziario. L’attuale Commissione europea ha posto esplicitamente lo sviluppo sostenibile al centro del proprio mandato, obiettivo confermato con il recente piano Next Generation EU che prevede uno stanziamento complessivo di 750 miliardi di euro, ed è finalizzato a costruire “un’Europa più sostenibile, resiliente e giusta per la prossima generazione”.

La scelta mette in luce due domande di fondo. La prima riguarda il predominio della finanza sull’economia reale: questa nuova crisi riuscirà a far recuperare al mondo finanziario la sua funzione originaria di sostegno al lavoro e alla produzione di beni e servizi? La seconda: il nostro Paese è in grado di utilizzare in modo proficuo quelle risorse? La risposta a entrambe le domande mette al centro la cultura sussidiaria, grazie alla quale viene valorizzata la progettualità che nasce dai territori per il benessere degli stessi.

La cosiddetta “finanziarizzazione” dell’economia, cominciata per cercare di rispondere al rallentamento della crescita rispetto all’epoca dei “magnifici trenta” del secolo scorso, consiste nel tentativo di aumentare i profitti senza passare dalla strada più impegnativa della produzione. È importante tenere presente questo dato quando si parla di sostenibilità perché senza il ritorno a obiettivi di piena occupazione e di sviluppo dell’economia reale, difficilmente un sistema può essere sostenibile, essere cioè orientato al bene del più ampio strato possibile della popolazione, presente e futura, ed essere rispettoso dell’ambiente.

Come sottolinea il Rapporto “Sussidiarietà e… finanza sostenibile”, curato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, tali fondi prevedono una “biodiversità” di attori finanziari in grado di operare con soggetti pubblici e privati quali reti di imprese, realtà di Terzo settore, enti locali, università, strutture di progettazione. Rafforzare la linea ferroviaria, estendere il digitale, riforestare, non può avvenire se non sono chiari gli obiettivi con cui si gestiscono, realizzano e misurano gli effetti di tali interventi, e questo non può che avvenire “dal basso”.

Il Rapporto mette in luce che lo shock economico causato dalla pandemia ha rafforzato la consapevolezza che la sostenibilità non è un “greenwashing” (marketing ecologico di facciata) o la nuova invenzione della haute finance, ma piuttosto il vero fulcro su cui costruire un nuovo modello di sviluppo.

Rispetto a questo scenario, l’Italia deve fare ancora molto per adeguare gli strumenti di impact investing alla grande sfida del momento. Occorre innanzitutto un quadro normativo chiaro, che non è ancora stato predisposto; un sistema di garanzie pubbliche, sulla scia delle esperienze maturate con il Piano Investimenti per l’Europa e dalla governance multilivello realizzata tra attori comunitari; un pacchetto di benefici fiscali finalizzati a incentivare la formazione di imprese in grado di generare un impatto positivo, quindi, la creazione di incentivi dal lato della domanda. Il sistema finanziario deve aprirsi a tali novità: finora appaiono pronte solo la Cassa depositi e prestiti e le Fondazioni ex bancarie, mentre le grandi banche si mostrano a geometria variabile, immerse nel dibattito tra stakeholder e gestori su come aprirsi a queste diversità finanziarie.

Le istituzioni finanziarie più legate alle esigenze dei territori, quali banche popolari, casse rurali, confidi appaiono spesso sfiancate da crisi finanziarie ricorrenti e riforme attuate non sempre lineari e quindi in netto ritardo all’appuntamento.

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