"L'umana dimora nella transizione ecologica". Su questo tema si è svolto lo scorso 10 ottobre un importante convegno presso il Senato, a Palazzo Giustiniani, su iniziativa del senatore Alessandro Alfieri, aperto dal ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e concluso dal presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Giorgio Vittadini, nel quale sono intervenuti:
Andrea Ferrazzi, Presidente Persone Ecologia Reti Ets
Enrico Giovannini - Direttore scientifico Asvis - La situazione europea
Luca Antonini, Giudice Costituzionale – Le nostre fragili democrazie e la sfida della tutela costituzionale dell’ambiente
Giuseppe Argiró, Vicepresidente Elettricità futura - La politica energetica necessaria
Laura Lega, Capo del Dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione - Stato e cittadino a confronto nella transizione
Giuseppe Tripoli, Segretario Generale Unioncamere – Imprese, sostenibilità e politiche industriali
Simone Morandini, Vicedirettore Istituto di Studi ecumenici Venezia – Ecologia integrale per la cura della casa comune
Simonetta Iarlori, Chief Prople & Governance Alia/Estra - Oltre il muro del brutto
Ecco una traccia di alcuni interventi che si possono seguire, come gli altri, integralmente nel video.
ALFIERI – Sottolinea che alla luce delle dinamiche della transizione ecologica e digitale la politica deve contribuire a costruire un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Dentro questi cambiamenti, bisogna mettere al centro il tema della persona. Occorre un approccio molto pragmatico, concreto, non ideologico, che rischia di ridursi a uno scontro tra chi nega i cambiamenti climatici e chi fa delle energie rinnovabili un culto messianico. Con il risultato che si recherebbero solo danni alle persone.
PICHETTO FRATTIN – [8’27”] – Dopo aver espresso apprezzamento per la lungimiranza dell'enciclica "Laudato si'" di papa Francesco, che invoca un'azione mondiale, il ministro ha preso le mosse dai lavori del recente G20 in Brasile, cui ha partecipato. Il tema era la sostenibilità, cioè come riusciamo a rendere compatibile questo cambiamento epocale con la nostra vita, la vita economica, la vita sociale. Sul fronte energetico, serve un'azione specifica che deve portarci a ridurre le emissioni di CO2 laddove sono riducibili, laddove non sono riducibili bisogna trovare l'altra soluzione, indirizzarsi verso il Carbon Capture. Non posso fermare le cartiere, le accierie, la ceramica, allora la soluzione è catturare la CO2 e di stoccarla da qualche parte.
La sfida di uno step importante entro il 2030 significa un primo sforzo sulle rinnovabili ordinarie che abbiamo a disposizione come il fotovoltaico, l’eolico, un incremento dell'idroelettrico (sapendo i grossi problemi giuridici e eamministrativi da risolvere rispetto ai meccanismi di concessione). Appunto dobbiamo agire fortemente su un mix energetico che contempli tutte le possibilità di energia pulita, perseguire tutte le strade che devono portarci a bloccare l'emissione di CO2.
Questo obiettivo costituisce anche una sfida della consapevolezza, a partire dai giovani, ma che riguarda tutti.
La transizione ecologica obbliga a cambiare modello di sviluppo
FERRAZZI [21’50”] – Constatiamo che il mondo ha accelerato in settori del tutto innovativi e l'Italia è rimasta ancorata ad alcuni settori della manifattura. Ci siamo accorti che nel green siamo indietro, la Cina è avanti di decenni: sui pannelli, sulle batterie, sulle turbine elettriche, sulle eoliche, sulle pompe di calore. La Cina ha investito è diventata leader mondiale nel campo, per esempio, dell'elettrificazione. Dal canto loro gli Stati Uniti nel campo del digitale sono i primi al mondo e anche di gran lunga sull'infrastruttura della fibra, sulla produzione di semiconduttori in collaborazione con altri paesi e sull'intelligenza artificiale. Tutte le prime cinque imprese che investono in intelligenza artificiale sono statunitensi e l'Europa non c'è per nulla: Open AI, Google, Meta, Amazon, Microsoft.
Consideriamo il delta Pil Europa-Usa: in vent'anni l'Europa è passats da un -17%, rispetto agli Stati Unitial -30% . Rispetto alla Cina, vent'anni fa eravamo più 400% di Pil, oggi siamo meno 8-9%.
Quindi: la transizione ecologica è necessaria anche dal punto di vista della competitività, perché volenti o nolenti i paesi che guideranno i processi nella transizione green sono i paesi che creeranno e creano posti di lavoro, qualità della vita, sicurezza, autonomia, autonomia anche geopolitica.
Nella seconda parte della sua relazione, Ferrazzi ha puntato l'attenzione sul cambiamento climatico. Secondo l'ultimo rapporto Onu il 2023 è stato l'anno più caldo mai registrato nella storia dell'umanità, più 1°,45' rispetto all'era preindustriale. Alluvioni, siccità, incendi, trombe d'aria. Il decennio 2013-2022 ha visto un aumento rispetto al decennio precedente di questi maxifenomeni del 69%. L’Europa si sta riscaldando al doppio della velocità mondiale, con un impatto ancora più marcato sul bacino del Mediterraneo. La transizione ecologica non sarà una passeggiata tranquilla. C'è bisogno che sia guidata dal punto di vista politico istituzionale da statisti, da uomini che guardano avanti, che non guardano al facile consenso immediato, ma che abbiano la capacità di immaginare e guidare una trasformazione necessaria che ha bisogno di essere giusta .
Serve poi a livello europeo, la modifica dei processi decisionali, il potere di veto è antistorico, soprattutto sulle grandi questioni. E poi bisogna anche ampliare il mandato della Banca Centrale Europea perché non c'è al centro solamente il tema dell'inflazione, ma c'è anche il tema della crescita e del cambiamento climatico che deve essere al centro della strategia.
GIOVANNINI [37’50”] - Tutta la questione della transizione ecologica ha a che fare con la sopravvivenza dell'uomo, non del pianeta. Le vittime sono soprattutto i poveri.
La transizione ecologica è avversata dai grandi player del settore, mentre quella digitale è spinta dagli stessi grandi player del settore. Purtroppo il negazionismo esiste ancora. Ma la transizione ecologica è un dovere assoluto verso le persone ancora più della transizione digitale.
Tutti gli studi ci dimostrano che conviene accelerare e non ritardare, compresi quelli che come Asvis abbiamo pubblicato a maggio. E la ragione è economica.
Anche rinviare solo di 5 anni certe scelte, poiché le imprese non possono stare ferme, implica il fatto che le imprese rischiano di fare investimenti sbagliati che devono smantellare, quindi il costo del capitale sale. Tutte le analisi ci dicono che sul piano economico è un vantaggio macro. Poi ovviamente ci sarà qualcuno che perde il posto di lavoro e dobbiamo porci subito il problema di come aiutarli. Ma non è che la transizione digitale sia diversa. Quindi sul piano economico conviene, e vi assicuro non ho trovato uno pragmatico e non ideologico che sia riuscito a tirar fuori modelli seri, risultati che contestano questa cosa. Quelli che dicono rallentiamo, non riescono a usare nessun modello per sostenere le proprie posizioni.
Possiamo fare una marea di cose, certo, se cambiamo la prospettiva in cui ragioniamo. La Corte Costituzionale il 26 giugno di quest'anno, nel totale disinteresse della politica, dei media, della cultura, ha adottato la prima sentenza basata sul cambio di Costituzione che, grazie ad Andrea e ad altri e all'ASVIS, che l’ha proposta dal 2016, è avvenuta il 22 febbraio del 2022 in cui abbiamo cambiato l'articolo 9 dicendo che la Repubblica, non lo Stato, tutela l'ambiente, l'economia, la biodiversità anche nell'interesse delle future generazioni:. L'articolo 41 dice che l'attività economica è libera ma non può essere svolta contro la salute e l'ambiente.
ANTONINI [57’ 10”] - Ho messo il titolo al mio intervento “Le nostre fragili democrazie, una questione di metodo”. Certo, la terra ha la febbre, l’immagine che ha detto Papa Francesco è emblematica e scolpisce il problema.
Lo Stato liberale democratico si basa su premesse che non è in grado di garantire: , il grande rischio che si è assunto per amore della libertà. E’ fondato sulla libertà, non è l'autocrazia.
C'è la sentenza importantissima della Corte olandese del 2019, che condanna l'Olanda a ridurre di almeno il 25% le emissioni di CO2 entro la fine del 2020. Poi abbiamo la Corte tedesca che più recentemente dopo quattro ricorsi di alcuni ragazzi assistiti da professori dichiara l’incostituzionalità della legge tedesca sulla protezione del clima perché sposta sul futuro la riduzione di gas serra del 55% al 2030. Troppo poco dice la Corte perché alle generazioni presenti non dovrebbe essere consentito di consumare gran parte del budget di CO2 con un onere di riduzione relativamente lieve se ciò lascia alle generazioni successive un onere di riduzione radicale e quindi dice questo incide sulla libertà delle generazioni future.
Praticamente ogni tipo di libertà potrebbe essere condizionata da queste future riduzioni obbligatorie, perché quasi tutti gli aspetti della vita umana sono ancora associati all'emissione di gas serra, quindi sono minacciati dalle restrizioni drastiche che si dovranno fare dopo il 2030. I diritti delle future generazioni: questa è una sentenza molto importante.
Più recentemente invece c'è un'altra sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo. Qui quattro donne non più giovani, le nonne svizzere, e un'associazione ambientalista chiedono che la Svizzera sia condannata all'adozione di misure necessarie per ridurre le emissioni di CO2, perché la politica attuale del governo svizzero è contro l'accordo di Parigi nel 2014. Quindi la sentenza pone queste domande.
Gli Stati sono obbligati ad adottare misure di contrasto al cambiamento climatico? Qual è il contenuto di questa obbligazione? Qual è il ruolo della Corte europea e delle corti in genere per controllare l'adempimento?. Ora la Convenzione europea non contiene una disposizione dedicata all'ambiente, c’erano stati tentativi, ma sono tutti stati rifiutati. Però, nonostante questo, loro dicono che c'è l'obbligazione climatica, introduce cioè un criterio nuovo, non è necessario che il ricorrente sia direttamente personalmente colpito, come invece serve per andare alla Corte europea.
Le critiche: la Corte ha trasformato gli impegni non vincolanti assunti dagli Stati nell'ambito dell'Accordo di Parigi in un contenuto vincolante. Ora questa decisione avrà un impatto molto forte anche sulla giurisdizione nazionale perché i giudici, come sapete, possono fare interpretazioni convenzionalmente orientate e se l'articolo 8 della convenzione europea implica allora questo obbligo degli Stati di intervenire i riflessi saranno molto forti.
Il tribunale di Roma il 26 febbraio 2024 ha detto l'esatto contrario. Quindi cosa succederà adesso? È chiaro che questo determinerà una crescita esponenziale del contenzioso climatico.
E allora bisogna riflettere. Per le nostre fragili democrazie, qual è il metodo per rispondere a questo problema davvero reale? È il metodo giudiziario? Francamente la Corte Costituzionale non ha rinnegato, qui devo prendere le distanze da quello che ha detto Giovannini, la sentenza Ilva. La Corte dice che non c'è nessun valore che può diventare tiranno, che tutti i valori devono convivere, quindi non puoi tutelare l'ambiente e massacrare l'occupazione, perché tutti i valori nella Costituzione si devono integrare e vivere insieme.
Cosa serve allora? Collaborazione e consapevolezza.
L’economista Rifkin parla di cooperazione con gli enti territoriali, cooperazione con gli stati, sicuramente le guerre non aiutano la transizione ecologica, per questo è un motivo in più che abbiamo per invocare la pace, perché le guerre non aiutano, serve la collaborazione. Io penso che dal punto di vista del metodo per le nostre fragili democrazie, ma che hanno a cuore la libertà, la chiave di volta è nella collaborazione,
TRIPOLI [1 h 43’42”] - La realtà economica già registra una transizione che probabilmente non ha i passi giusti, non ha la velocità che tutti auspicheremo, ma che è in atto. Draghi nel suo rapporto per l'UE sottolinea che la competizione del futuro si giocherà sulle nuove tecnologie, quelle digitali e quelle ambientalei. E l'Europa non è messa così male come talvolta si racconta. Perché per esempio il 70 per cento dei brevetti di alto valore a livello mondiale nelle clean technologies è detenuto da aziende europee, il 40 per cento delle aziende che operano nel settore eolico sono europee, il 30 per cento di quelle che operano nelle elettrolisi necessarie per fare l'idrogeno sono europee. Allora si può dire la transizione ecologica, la decarbonizzazione è il nuovo nome della politica industriale.
Nella transizione ci sono settori che vengono avvantaggiati rispetto ad altri che sono svantaggiati. Qui intervengono le politiche industriali e commerciali di allocazione delle risorse. Uno dei limiti che le aziende, soprattutto le piccole, le piccolissime aziende incontrano è che non trovano le competenze adeguate per poter fare il percorso; è un problema di capitale umano.
VITTADINI [2h11’18”] – Per prima cosa noto che pur convergendo tutti sull'idea del titolo del convegno, su molti aspetti – economici, politici, giuridici – sono emerse posizioni differenti. Quindi c'è molto lavoro da fare.
Traggo tre conclusioni.
1) L’idea di umana dimora dice che la transizione non è semplicemente utilitaristica e al fine di evitare il cambiamento climatico, è invece ripristinare un rapporto tra l'uomo e l'ambiente che gli permetta di vivere bene, perché l'uomo ha bisogno di un ambiente umano che non sia brutto, che non sia distruttivo, soprattutto i poveri che vivono molte volte nelle periferie delle grandi. E’ un aspetto degradante, è un aspetto che distrugge la personalità, perché la personalità si realizza in un ambiente che è favorevole.
La "Laudato si'", sottolinea questo aspetto. Occorre che la persona possa godere del fatto che c'è una biodiversità, perché magari uno non vedrà mai un animale selvatico in vita sua, ma che ci sia è fondamentale, pensiamo ai bambini che hanno bisogno di percepire questa diversità nella realtà. Questa è l'ottica dell'umana dimora.
2) Occorre dare a questa transizione ecologica tutto lo spazio che hanno i 17 punti dell'ONU. Non è solo una questione di cambiamento climatico, ma i 17 punti dell'ONU parlano del lavoro per tutti, parlano della parità di genere, parlano delle città abitabili, parlano del partenariato dal punto di vista politico, cioè configurano un'idea antropologica e filosofica che non è quella con cui abbiamo vissuto per 300 anni. Cioè dire che l'egoismo dei singoli attraverso la mano invisibile porta al benessere collettivo oggi non ha rilievo scientifico, è stato smentito dai fatti.
E allora vuol dire che noi dobbiamo superare il neoliberismo e lo statalismo che hanno distrutto la vita economica: la transizione non è solamente di tipo tecnologico o digitale o ambientale, ma riguarda un altro tipo di economia, quella che rimette al centro l’uomo, ha un carattere relazionale e prevede un tipo di concorrenza non darwiniana in cui l'idea non è di distruggere l'altro. D'altra parte da questo punto di vista la tradizione italiana industriale insegna molto perché è fatta di gente che prima di pensare al profitto pensa al prodotto: vedi per esempio Ferrari, Ferrero, Luxottica, pensiamo al Mattei dell'Eni.
Che Stato occorre? Non lo Stato autocratico, ma uno Stato veramente democratico. Che quindi ha all'interno di sé luoghi di sussidiarietà anche perché, come abbiamo sentito oggi, se non c'è un'educazione all'ambiente non ci sarà politica che tenga.
Bisogna educare la gente a questa collaborazione, se no la battaglia è persa.
3) Dal punto di vista strettamente ambientale, abbiamo capito oggi che occorre un percorso condiviso. Devi costruire un sistema di sviluppo, come è stato detto, che permette e può permettere nel cambiamento tecnologico più lavoro, più capacità di intervento anche in temi diversi, perché evidentemente abbiamo capito che la transizione ecologica nell'energia ma anche in altro può servire per conservare foreste, per pulire i fiumi, pensate il dissesto idrogeologico dell'Italia, quanti soldi possono essere investiti per rendere i fiumi più praticabili senza mettergli il cemento intorno che poi dopo periodicamente porta alle alluvioni .
Queste cose non si governano, come avviene in Italia o in Europa, a colpi di maggioranze e di minoranze, ci vuole una cultura che porti al consenso. Non si può in nome dei voti dire tutto e il contrario di tutto nelle aule di parlamento, nelle decisioni dei governi . Il nostro convegno vuole essere un piccolo punto che apre questo dialogo.