Trimestrale di cultura civile

La rosa dei venti della sussidiarietà politica

  • MAG 2021
  • Francesco Occhetta

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Non è più sufficiente dirci che la democrazia è la migliore forma di governo. È un vaso di cristallo, perciò fragile, che ha bisogno di essere continuamente rigenerato dalla responsabilità individuale e della comunità civile. Un modello ancora molto giovane, non ancora compiuto, sempre in divenire e sempre sotto attacco. Ma è l’unico che assicura o dovrebbe assicurare l’espressione e la cura dei diritti della persona. Non per principio, non sulla carta. Ma grazie a una cultura vivace, spesso nascosta, ma dalle solide radici. Il contributo storico della Chiesa in favore di una società aperta e inclusiva.

Il ventesimo secolo sarà ricordato come il secolo della democrazia e dei diritti. Le conseguenze devastanti delle due guerre mondiali, la paura dei totalitarismi e il fallimento delle grandi ideologie hanno fatto nascere nella coscienza civile collettiva la consapevolezza che la democrazia è la migliore forma di governo, perché capace di tutelare le libertà e i diritti dei cittadini. Tuttavia la democrazia è un modello ancora molto giovane e fragile, perché, prima di essere una forma di governo, è un modo di vivere basato sulla responsabilità sia individuale sia della comunità civile. Nel 1980 il 46% della popolazione mondiale viveva in Stati fondati su standard democratici minimi (Stato di diritto, pluralismo, elezioni libere, libertà di espressione); nel 2010 la popolazione mondiale sotto regimi democratici era salita al 70%, in 130 Stati dei 193 che sono membri dell’Onu. Basta però un’epidemia imprevista a screpolare il vaso di cristallo di cui è composta e farla regredire come l’onda del mare quando un’idea di sicurezza ideologica comprime le libertà conquistate.

Le contraddizioni presenti

Anche la Chiesa, attraverso i due radiomessaggi di Pio XII del 1942 e 1944, ha ribadito l’orizzonte della democrazia: difendere la dignità della persona umana e ricostruire nel tempo il suo significato. Nel radiomessaggio natalizio del 1942 Pio XII ha indicato un programma basato su cinque punti da realizzare “alla luce della fede e della ragione” per custodire la democrazia: promozione della dignità e dei diritti della persona umana; difesa dell’unità sociale e in particolare della famiglia; dignità e prerogative del lavoro; reintegrazione dell’ordinamento giuridico; concezione dello Stato nutrito dall’antropologia evangelica. Mentre nel radiomessaggio del 1944 Pio XII chiede che la democrazia riconosca a ogni cittadino il diritto di esprimere “il proprio parere sui doveri e i sacrifici che gli vengono imposti” senza costringerlo “a ubbidire senza essere prima ascoltato”. Sono ancora questi, a livello filosofico, punti di non ritorno per le scienze della politica e i fondamenti su cui ribilanciare il rapporto fra democrazia e diritti.

Un Paese può essere definito democratico se rispetta alcune condizioni fondamentali: il principio dello Stato di diritto; i diritti umani; la rinuncia alla violenza; la libertà di stampa; la possibilità di accedere alla guida delle istituzioni attraverso i partiti politici; la trasparenza dei processi decisionali; l’impegno di tutti ad attenersi alle regole della legalità; la formazione dell’interesse generale della società (il bene comune) in strutture sociali sussidiarie e solidali.

Purtroppo, però, tra l’ideale perfetto di democrazia e le applicazioni storiche esistono forti contraddizioni, tutte presenti nel nostro tempo. Ne indichiamo alcune: il conflitto tra i poteri costituiti (legislativo, esecutivo e giudiziario); la crisi del fondamento dei diritti sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), messa in discussione dalla cultura asiatica o da religioni come l’Islam e il buddismo; l’infiltrazione dei poteri criminali (le mafie, il narcotraffico, il traffico della prostituzione e altri); la scarsa credibilità della stampa spesso poco indipendente e trasparente; la crisi dei partiti che hanno occupato le istituzioni; la tecnicizzazione, la mediatizzazione e la verticalizzazione del potere; la delocalizzazione delle decisioni e la difficoltà di attribuzione delle responsabilità concrete da parte di coloro che governano i processi finanziari; le pressioni dei gruppi lobbistici non regolati dalla legge; la carica politica intesa come professione e non come servizio disinteressato alla comunità; l’evasione fiscale; il conflitto di competenza tra Stato e Regioni. Ma anche l’esasperazione dei diritti soggettivi che portano a concepire l’aborto un diritto soggettivo della donna senza tenere conto della responsabilità alla vita dell’altro e della comunità in cui si vive.

Insomma, basterebbe questo schematico elenco di “fattori antidemocratici” per affermare che la democrazia è un processo ancora incompiuto, che richiede una cura costante per “democraticizzare la democrazia stessa”. Anzi, queste cause di tensioni del modello democratico, che nascono dalla crisi della rappresentanza e, in particolare, “dei rappresentati” spingono alcuni analisti ad affermare che la democrazia sta vivendo una crisi che potrebbe essere irreversibile.

La nostra riflessione inizia dalle seguenti domande: la crisi in cui versa la democrazia è davvero irreversibile? Su quali presupposti può rinascere la democrazia? La Chiesa quale aiuto sta fornendo?

La Costituzione, norma fondamentale di garanzia

È noto, la forma di democrazia occidentale affonda le sue radici nei princìpi delle Costituzioni che rimangono un vero e proprio “evento di coscienza”. Sono tutte nate dopo eventi traumatici come le guerre o eventi che cambiano la storia come le pandemie.

La storia lo insegna, la democrazia è anzitutto la generazione e la rigenerazione di parole che ci rendono umani. Nel 1919, durante la pandemia della spagnola che aveva causato 50 milioni di morti nel mondo, Mussolini aveva come strategia quella di trasformare le paure sociali in parole d’odio. Sturzo ha invece voluto convertire le paure in parole di speranza. L’analisi sociale era la stessa, cambiavano le parole per gestire il consenso del popolo. Pochi anni dopo lo stesso Goebbels, il genio del male della propaganda nazista, avrebbe ripetuto al suo staff: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa verità”. La corruzione, l’illegalità e la negazione dei diritti in politica iniziano da parole corrotte. Quando Liliana Segre ha ricevuto insulti e minacce, il Presidente Mattarella ha dovuto ammettere: “L’odio è concreto se è stata messa sotto scorta” 1 .

Ma c’è di più. I diritti possono eclissarsi se la cultura democratica non li riconosce e non ripete quello sforzo che è stato possibile dall’incontro dei costituenti che parteciparono alla Sottocommissione della Costituente (1946-1947). I costituenti hanno il merito di aver concepito la democrazia non solamente come una procedura in cui il governo è “del popolo”, ma anche come valore in cui si governa per il “popolo”. La cultura cattolica dell’epoca fece convergere tutti i princìpi costituzionali su un “valore guida”, quello della dignità della persona umana.
Tutto questo non senza generare conflitti anche all’interno della Chiesa come ad esempio quello tra i costituenti cattolici e i gesuiti della Civiltà Cattolica di allora le cui posizioni erano quelle di Pio XII 2 .

Dopo più di settant’anni dalla sua approvazione è utile chiederci se in uno scenario politico, economico, sociale, cambiato sul piano interno e internazionale, la Costituzione debba essere revisionata o cambiata, e in che modo i princìpi fondamentali possano contribuire a farlo.

I nove princìpi elaborati nella Sottocommissione – democratico, personalista, pluralista, lavorista, di solidarietà, di uguaglianza, di autonomia, di libertà religiosa, pacifista – definiscono la “dignità della persona umana” solamente se si è in grado di rispettare il delicato equilibrio di pesi e di contrappesi su cui si basano.

Per ristabilire l’equilibrio tra democrazia e diritto servono revisioni le quali, oltre a intendere la Costituzione come “indirizzo fondamentale”, come fino a oggi si è fatto, la ritengano una “norma fondamentale di garanzia”, in grado di essere “ispiratrice” e “limite” alle scelte politiche e “apertura” alle nuove regole sociali.

In questi ultimi anni la degenerazione del concetto di popolo e la strumentalizzazione di chi lo guida – fisiologica negli organismi politici – hanno complicato la natura della democrazia mettendo in questione suo il fondamento. Le cellule del populismo, infatti, possono rinnovare o deteriorare un organismo democratico. Molto dipende dalle risposte che la coscienza del popolo sceglie di dare alle conseguenze dei populismi, che negano il pluralismo e le minoranze interne; venerano i leader come padri e padroni; smentiscono i dati scientifici, esaltano il nazionalismo e il sovranismo; ignorano gli enti intermedi nella società, come le associazioni, la Chiesa, i sindacati; privilegiano forme di democrazia diretta su quella rappresentativa e così via. Anche i segni cristiani vengono utilizzati nella costruzione politica di un’identità religiosa etnico-nazionale, basata sulla contrapposizione tra un “noi” ideale contro un “loro” da respingere. Il linguaggio religioso dei politici esclude chi rimane fuori; riveste di sacro il potere; porta a credere che per dire il significato della fede basti il medium, l’oggetto, e non la testimonianza di vita. Insomma, è l’antico schema: Dio, patria, famiglia, utile per “rifugiarsi” dal mondo. È il segno della scissione tra demos (popolo) e kratos (potere) che ha screpolato il cristallo della democrazia.

La riforma della democrazia e il bilanciamento dei diritti non passano più purtroppo dalla classe politica che insegue le voci istintive del popolo e si è rinchiusa nei propri privilegi. Roma non riforma Roma, solo una spinta di local-umanesimo e di costruzione dell’Europa possono rigenerare la democrazia e ribilanciare i diritti.

La bussola di un nuovo percorso culturale

La cultura sussidiaria diventa la bussola di un nuovo processo culturale basato sulla “centralità” e l’equilibrio di politiche che generano democrazia e diritti. Si tratta di un metodo, un processo antropologico ed etico, si qualifica dal gradualismo delle riforme, dalla moderazione dei linguaggi e dalla cultura della mediazione, tesa a cercare punti di equilibrio validi per tutte le parti. L’interclassismo che la sussidiarietà permette riduce le disuguaglianze tra le classi sociali ed è l’equilibrio per una società aperta e inclusiva in grado di assorbire le tensioni sociali. Se il Paese è cresciuto lo si deve a questa radice culturale nascosta, ma ancora vivente, che permette alla giustizia di essere riparativa e non vendicativa, al lavoro di essere pagato, alla dignità rispettata, all’accoglienza di essere una rinascita sociale invece di una minaccia. Se si vuole far nascere una stagione costituente, con visione e competenze nuove, governance e regole, occorre ritrovarsi in questo meta-luogo culturale come fecero i costituenti per riprogettarsi e riprogettare. Altrimenti senza ricostituzione il Parlamento svuoterebbe la sua legittimità e credibilità.

La sussidiarietà politica che genera centralità è come la rosa dei venti: tutte le grandi riforme sono partite da questa meta categoria culturale. È questo il punto di intersezione per rifondare “politiche di fiducia”, altrimenti la sfiducia, le paure e le differenze aumentano i consensi, mentre nel frattempo le tensioni sociali rendono ingovernabile il Paese.

Nella prefazione al nostro volume, Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo dei populismi, Marta Cartabia spiega l’idea di centrismo così: “L’idea di un ‘centro’ allude, più che a una specifica collocazione dei credenti nell’agone politico, a una attitudine graduale, compositiva, incompiuta, riconciliativa, temperata e mai estrema. Allude a un luogo – che è allo stesso tempo un cammino – di intersezione, dialogo, mediazione, convergenza, relazione, incontro. Un luogo che sorge da un rapporto con l’altro (qualunque altro!) valorizzato sempre come bene, piuttosto che come ostacolo” 3 .

Investire in cultura sussidiaria significa determinare nella società e in buona parte dell’elettorato una spinta culturale che obbligherà i partiti a riformulare le loro proposte. Il credente ha un dovere in più perché è chiamato a sognare nella notte, a immaginare il giorno che verrà per prepararlo con parole e legami nuovi.

Da anni la Chiesa sta proponendo una “conversione ecologica” che tocca stili, comportamenti e scelte dal punto di vista etico-sociale ed educativo per arginare il paradigma tecno-economico-finanziario che ha fallito.

Come in ogni sfida occorre lasciare il vecchio per il nuovo e farlo con la forza della “spiritualità ambientale”: un modo di vivere e di stare nel mondo in cui, prima di essere competitori, siamo prossimi. Per la Chiesa creare lavoro e lottare contro la povertà significa conciliare sostenibilità ambientale e valore economico.

Vecchi e nuovi diritti si nutriranno della “transizione ecologica” che inizia dai nostri comportamenti come l’essere attenti agli sprechi di acqua, all’uso della plastica, agli investimenti sostenibili e così via. Ma anche sull’investimento nelle relazioni per impedire che il distanziamento fisico diventi lontananza sociale e spirituale e nella formazione di comunità dove la cooperazione prevalga sulla competizione 4 .

C’è bisogno di gesti, di testimonianze sobrie e di sostanza, ma anche di coerenza. È da qui che nascono “politiche sostenibili” basate su quattro pilastri: 1. l’economia circolare e la bioeconomia; 2. la digitalizzazione e la dematerializzazione; 3. le politiche che favoriscono l’efficientamento energetico di aspetti fondamentali del nostro vivere sociale come la mobilità urbana e l’edilizia; 4. l’investimento sulle persone e sulla qualità del capitale sociale come i beni comuni 5 .

Mario Draghi questi testi li conosce e li ha commentati in più sedi. Questa circolarità di sogni, di speranza, di nuove parole e visione porterà a rifondare lo Stato sociale, oggi provato dall’emergenza sanitaria, educativa e del lavoro. Lo chiede anche la Costituzione attraverso i principi di solidarietà e di uguaglianza. Ritrovarsi intorno a questi valori che fondano l’Europa può aiutare a fare scelte radicali e per tutti. Un esempio è l’iniziativa di liberalizzare il vaccino senza rimanere intrappolati nella legge sui brevetti, attraverso la quale poche case farmaceutiche, dopo aver già ricevuto i soldi pubblici per la ricerca e la produzione, si arricchiscono ulteriormente. Solo forti spinte ideali e di valore cambiano la realtà: “Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità” 6 .

Crisi dei diritti umani e processi di globalizzazione

Attualmente la democrazia viene influenzata da due dimensioni: dalla crisi dei diritti umani e dai processi di globalizzazione. L’attenzione da porre è sui diritti di terza generazione – i diritti di solidarietà diritto all’autodeterminazione dei popoli, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla difesa ambientale – e di quarta generazione – i nuovi diritti relativi al campo delle manipolazioni genetiche, della bioetica e delle nuove tecnologie di comunicazione –.

Se gli Stati non avranno il coraggio di cedere sovranità in favore di una governance sovrastatale, saranno allora i nuovi Imperi a governare il mondo, umiliare la democrazia e ridurre i diritti acquisiti. Le forti privatizzazioni dei diritti stanno già rimodellando la cittadinanza e umiliando i più deboli economicamente.

Solo una istituzione cosmopolita, che la Chiesa nell’Ottocento con il gesuita Taparelli d’Azeglio chiamava Etnarchia, potrebbe curare la relazione tra democrazia e diritti umani, salvaguardare i diritti economici e sociali in primis, fronteggiare i processi di globalizzazione.

I diritti economici e sociali vanno rivisti insieme ai diritti civili e politici, in quanto ne costituiscono una base minima di uguaglianza. Se vengono meno la sicurezza sociale e l’esclusione dalla cittadinanza – che non sono però le forme di sussidio distribuite a pioggia – le democrazie rischiano di essere nominali. Lo indica lo status giuridico dei nuovi migranti di seconde generazioni che faticano ad avere una cittadinanza e di conseguenza soffrono di una minore tutela sociale.

Sono l’uguaglianza, la mobilità sociale, e l’ospitalità le radici su cui si ricostruiranno o si sfalderanno le nuove democrazie e si fonderanno i (nuovi) diritti e doveri sociali.

 

NOTE

1. F. Occhetta, Le politiche del popolo. Volti, competenze e metodo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2020.

2. Per approfondire si veda F. Occhetta, Le radici della democrazia, I principi della Costituzione nel dibattito tra gesuiti e costituenti cattolici, Jaca Book-La Civiltà Cattolica, Milano- Roma 2012.

3. In F. Occhetta, Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo dei populismi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2019, p. 15.

4. F. Occhetta, Nell’oggi il nostro domani. Senso e visione della transizione ecologica di Draghi, in https://comunitadiconnessioni.org

5. Per approfondire si veda l’esperienza della Settimana sociale. “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”, in https://www. settimanesociali.it/

6. Fratelli tutti, Lettera enciclica del Santo Padre Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale, n.222.

Francesco Occhetta è gesuita, giornalista e scrittore, insegna alla Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale, Sezione San Luigi. Membro del Collegio degli scrittori della rivista “La Civiltà Cattolica”, si occupa di questioni sociali e di diritto.

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