Trimestrale di cultura civile

Un’oasi chiamata Terra

  • DIC 2022
  • Marco Bersanelli

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Davanti alla bellezza di un’opera d’arte è l’oggetto stesso a imporre un comportamento responsabile. La situazione è analoga a quella che viviamo nel presente rispetto all’ambiente naturale in cui siamo immersi. Doveroso, perciò, che vengano stabilite regole e obiettivi da raggiungere per promuovere uno sviluppo sostenibile. Ma ciò non basta. Più urgente è il prendere piena coscienza dell’eccezionalità del nostro pianeta quale luogo di straordinaria unicità in tutto il cosmo. Per l’Homo Sapiens, comparso sulla Terra circa 250.000 anni fa, le risorse disponibili sono state sovrabbondanti per molto e molto tempo, in rapporto alle necessità. Ora la situazione è radicalmente cambiata. E, non essendo realistico ipotizzare in tempi perlomeno ragionevoli, la “fuga” verso altri pianeti, verso mondi lontanissimi, conviene rimanere con i “piedi per terra” e riconsiderare il nostro rapporto con il pianeta. Facendo nostro, ad esempio, il metodo utilizzato da chi vive nelle oasi del deserto: rispettoso e fruttuoso al tempo stesso.

Entrando in un edificio meraviglioso come la basilica di San Marco a Venezia o il Louvre a Parigi, ci ritroviamo spontaneamente in un atteggiamento di ammirazione verso tutto ciò che ci circonda. Se fino a poco prima potevamo essere distratti, una volta varcata la soglia l’eccezionalità dell’ambiente trasforma il nostro sguardo e induce in noi uno stato di attenzione e di istintiva responsabilità. Sarebbe ridicolo o surreale entrando in San Marco trovare un cartello con su scritto “vietato rimuovere le tessere di questo mosaico”, oppure al Louvre “vietato scarabocchiare la Gioconda”. È l’oggetto stesso a richiedere, quasi a imporre, un comportamento responsabile. Naturalmente, ciò presuppone una minimale consapevolezza da parte nostra del valore di ciò che abbiamo davanti agli occhi. L’impatto della bellezza viene moltiplicato dalla nostra consapevolezza del valore dell’oggetto, della sua storia, del suo significato. Se nella basilica fosse entrato un folle, o se lasciassimo un bimbo di tre anni da solo davanti alla Gioconda con un pennarello in mano, tutto sarebbe possibile…

La situazione è analoga a quella che viviamo oggi nei confronti del nostro ambiente naturale. È sacrosanto stabilire leggi e divieti per assicurare il rispetto della natura e per promuovere uno sviluppo sostenibile; ma è ancora più urgente prendere piena coscienza dell’assoluta eccezionalità del nostro pianeta: un luogo straordinario, se non unico, a livello cosmico.

Uno scenario naturale, come un lago di montagna o una foresta tropicale, ci colpisce come qualcosa che non abbiamo fatto noi e ci comunica un valore estetico immediato.

Come nel caso di San Marco o del Louvre, quel contraccolpo dovrebbe bastare a farci trattare la natura con rispetto e responsabilità. In effetti, se siamo equilibrati, non ci viene in mente di imbrattare l’acqua del lago o di dar fuoco alla foresta. Ma in questo caso la questione è più complessa: a differenza dell’opera d’arte, la realtà naturale coincide anche con l’ambito dal quale noi esseri umani traiamo le risorse che ci consentono di vivere e di migliorare la nostra esistenza.
Il lago, oltre a essere bello, può servire per irrigare la terra; la foresta, oltre al suo fascino misterioso, offre all’uomo la legna per produrre energia o per costruire case.

L’Homo Sapiens è comparso sulla Terra circa 250 mila anni fa. Per oltre il 99,9 per cento di questo tempo le risorse del pianeta sono state assolutamente sovrabbondanti rispetto alle necessità dei diversi gruppi umani. Per millenni la Terra è stata concepita come una distesa pianeggiante di dimensioni illimitate e con potenzialità inesauribili. I nostri antenati hanno così sviluppato una forte motivazione per esplorare nuovi territori e una straordinaria capacità di adattamento. Solo in tempi recentissimi, sulla scala della presenza umana, quasi improvvisamente ci siamo resi conto di abitare un pianeta sferico – e dunque finito – la cui superficie era in buona parte già sfruttata, spesso con conseguenze negative per molti esseri umani e per l’ambiente. Negli ultimi decenni tale trasformazione ha raggiunto ritmi esponenziali. Papa Francesco nella Laudato si’, sottolinea che questo “cambiamento veloce e costante” è da una parte “auspicabile, ma diventa preoccupante quando si muta in deterioramento del mondo e della qualità della vita di gran parte dell’umanità”. Di fronte a questa situazione difficilmente potrà bastare qualche buona legge ecologica. Un aiuto può venire dalla nuova consapevolezza che le più recenti conoscenze scientifiche ci offrono a riguardo del pianeta che abitiamo, inserito nel suo contesto cosmico, e dell’inedita “profondità di bellezza” che da tali conoscenze scaturisce.

 

Natura come storia

Un criterio per valutare il valore di una cosa è considerare la quantità di storia che l’ha resa possibile. La nostra Terra viene da una storia di miliardi di anni, alla quale tutti gli elementi e tutte le forze della natura hanno contribuito con ruoli da protagonista.

Esistono in natura quattro forze fondamentali: gravitazionale, elettromagnetica e due tipi di forze nucleari. È grazie a una elegante combinazione delle intensità relative di queste forze che l’esistenza di un pianeta come la Terra, e della vita stessa, è possibile nell’universo.

La gravità, a partire da lievi fluttuazioni nell’universo primordiale, ha condotto alla formazione delle prime stelle. Queste si sono accese circa 13 miliardi di anni fa, in un universo ancora giovane (di “appena” 800 milioni di anni) nel quale gli unici elementi erano l’idrogeno e l’elio. Nel cuore rovente di successive generazioni di stelle le reazioni di fusione, regolate dalle forze nucleari e dalla forza elettromagnetica, portavano alla produzione di elementi via via più pesanti. Non esiste un altro modo in cui si sono formati l’ossigeno che fa l’acqua dei nostri mari, il silicio che fa le rocce delle nostre montagne, o il carbonio che fa le cellule del nostro corpo. Tutti questi elementi si sono formati nel cuore di stelle che hanno brillato prima della formazione del sistema solare. Il nostro mondo terrestre, e il nostro stesso corpo, è fatto di polvere di stelle.

 

E quegli elementi, come sono finiti qui? Se la massa di una stella supera un certo valore critico, alla fine della sua vita questa esplode, rilasciando nello spazio interstellare la materia arricchita dei nuovi elementi che ha generato. È da quelle ceneri che si è formata la nube di gas e polvere da cui 4,6 miliardi di anni fa ha avuto origine la Terra insieme al resto del sistema solare.

Più conosciamo la storia naturale che ha realizzato le premesse per l’esistenza di un pianeta come il nostro, e insieme a esso la possibilità della vita, e più rimaniamo stupiti della unità e della raffinatezza con cui la creazione nel suo insieme si offre a noi come ambiente vitale.

Terra rara

Il nostro pianeta è un luogo a risorse limitate. Che fare in futuro? Proseguendo la tradizione migratoria dei nostri antenati potremmo pensare che la soluzione sia lasciarci alle spalle la nostra piccola Terra e dirigerci sui territori vergini di altri pianeti, proseguendo lì il processo di sfruttamento. È realistico? Nei prossimi anni torneremo sulla Luna, e forse nell’arco di una quindicina d’anni ci sarà una prima incursione su Marte. Tutti gli altri pianeti sono proibitivi per le visite umane, anche sporadiche. Dobbiamo escludere Venere, dove l’effetto serra porta la temperatura a 470°C, e Mercurio, rovente e bombardato dai raggi cosmici. I pianeti giganti – Giove, Saturno, Urano, Nettuno – sono quasi interamente gassosi e non offrono neppure una superficie su cui posarsi. Ma al di là di qualche avamposto umano, anche per Luna e Marte è da escludere in tempi prevedibili una migrazione di frazioni significative di popolazione terrestre. Soprattutto perché entrambi sono privi di campo magnetico, il che rende difficilissima la loro abitabilità a lungo termine. Il peggior angolo della Terra è incomparabilmente più ospitale per l’uomo del miglior angolo extraterrestre nel sistema solare.

Quello che spesso non si apprezza sono le molteplici e finissime caratteristiche che rendono il nostro pianeta accogliente per la vita di organismi complessi, quali noi siamo. La sua posizione rispetto al Sole, nel bel mezzo della cosiddetta “zona di abitabilità” in cui l’acqua si mantiene allo stato liquido per miliardi di anni; la presenza di un campo magnetico intenso, caso unico tra i pianeti rocciosi del sistema solare; l’atmosfera ricca di ossigeno atomico, molecolare e ozono, che ci ripara dalla radiazione ultravioletta e dai raggi X; la presenza della Luna, il cui effetto gravitazionale mantiene stabile l’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre nel lungo periodo; le caratteristiche geologiche della Terra, in particolare la tettonica a placche e l’attività vulcanica, che regolano la concentrazione di CO2 in atmosfera mitigando l’effetto serra: sono tutte caratteristiche cruciali di cui solo la Terra gode nel sistema solare.

Mondi lontani

Possiamo andare oltre? Oggi sappiamo che la maggior parte delle stelle della nostra galassia (e per estensione anche delle galassie esterne) ha almeno un pianeta che le orbita attorno. Ciò significa che, solo nella Via Lattea, ci sono centinaia di miliardi di pianeti del tutto inesplorati. I dati mostrano che la maggior parte di essi sono profondamente diversi non solo dalla Terra, ma anche dagli altri pianeti del sistema solare, e solo uno su mille ha qualche caratteristica genericamente analoga a quelle della Terra. Ma dato il loro numero esorbitante è plausibile che nella nostra galassia vi sia qualche pianeta davvero molto simile al nostro, orbitante attorno a una stella simile al Sole. Ammettendo che ciò sia vero, potremo un giorno migrare su qualcuna di quelle Terre extrasolari?

Qui ci dobbiamo confrontare con l’abisso delle distanze che ci separano. Se anche un tale gemello della Terra si trovasse presso una delle stelle più vicine, con la più veloce sonda spaziale attualmente disponibile impiegheremmo 18.000 anni per raggiungerlo (viaggio di sola andata, naturalmente). Progetti futuristici mirano a sfruttare la pressione dei fotoni solari per accelerare grandi vele spaziali; ma le più ottimistiche previsioni indicano che potremmo trasportare su Alpha Centauri (la stella più vicina) al massimo una decina di grammi di materiale (non certo un essere umano) dopo un viaggio di 200 anni. Non è escluso che fra qualche secolo ciò si possa realizzare, e che in tempi ancora più lunghi si possano fare altri progressi nel trasporto interstellare. Ma per il futuro prevedibile siamo inesorabilmente destinati a rimanere “con i piedi per terra”.

Mentre scrivo sono in aereo, sto tornando da Sharjah, negli Emirati Arabi, dove sono stato per un meeting. Ieri ho avuto la fortuna di partecipare con alcuni amici a una splendida escursione nel deserto guidata da persone locali. Per un attimo ho provato a immedesimarmi in chi, per generazioni, ha vissuto in quella sconfinata distesa di dune sabbiose, a perdita d’occhio. Possiamo immaginare con quale cura gli abitanti di un’oasi trattavano la vegetazione e il terreno fertilissimo di quei minuscoli angoli verdeggianti, con quale attenzione rifornivano se stessi e i loro animali di acqua e di cibo. Quel rispetto non impediva loro di trarre il massimo beneficio da quella terra, anzi lo facevano con grande ingegno: ogni singolo albero, ogni minuscolo corso d’acqua appariva ai loro occhi come un dono prezioso da custodire e da far fruttare, come un regalo di un valore inestimabile.

La Terra è letteralmente un’oasi nell’universo. La sua bellezza, che tutte le generazioni precedenti hanno conosciuto, oggi per noi si arricchisce della nostra consapevolezza della sua rarità nell’universo e, al tempo stesso, della profondità della storia cosmica in cui la sua genesi affonda le radici. Tutto questo ci riempie di stupore, di rispetto e di gratitudine e questi sono gli atteggiamenti dai quali può nascere una nuova responsabilità creativa e duratura.

Marco Bersanelli è professore ordinario di Astrofisica presso l’Università degli Studi di Milano. Si occupa di cosmologia osservativa e in particolare di misure del fondo cosmico di microonde, la prima luce dell’universo.

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