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ARTICOLO | Primo Piano di "Atlantide" n. 19 (2010)

La formazione degli insegnanti: una sfida

La vocazione dell’insegnante è aiutare lo studente a “sbloccare” il proprio potenziale. Ma occorre una formazione che la supporti. L’autore analizza sotto questo profilo la politica scolastica degli Usa.

Nel campo dell’istruzione l’America deve affrontare tre grandi sfide che impongono un miglioramento dei programmi di formazione didattica più che mai urgente

Primo, l’istruzione che milioni di americani hanno ricevuto in passato non è più al passo con i tempi. Nell’era informatica è impossibile abbandonare la scuola e trovare un buon lavoro. In un’economia globale competitiva, persino chi possiede un diploma delle superiori se non si iscrive all’università si ritrova con una gamma limitata di possibilità. Come ha detto il presidente Obama: «L’istruzione non rappresenta più un mezzo per garantirsi opportunità e successo, ma un prerequisito per il successo». Secondo, l’istruzione – come affermò due secoli fa Horace Mann – è stata per lungo tempo il grande parificatore d’America. A tutti i bambini, a prescindere da razza, nazionalità, disabilità o codice di avviamento postale, è stato garantito il diritto a un’istruzione pubblica di qualità. In America, oggi più che mai, dobbiamo riconoscere la necessità – e il dovere per una scuola pubblica – che tutti gli studenti possano trarre dall’insegnamento tutto il potenziale possibile. Allo stato delle cose, tuttavia, ci troviamo ben lungi dall’avere conseguito l’agognato obiettivo di pari opportunità educative. Attualmente quasi il 30% dei nostri studenti abbandona la scuola o non riesce a terminare gli studi superiori nei tempi previsti. Si tratta di un milione e duecentomila ragazzi all’anno. A malapena il 60% degli studenti afro-americani e ispanici riesce a diplomarsi entro i regolari anni di corso, e in molte città, metà o più della metà degli adolescenti provenienti da famiglie a basso reddito abbandona la scuola.

La priorità dell’istruzione 

Ritengo che per la nostra generazione l’istruzione rappresenti la priorità numero uno nell’ambito dei diritti civili. Se abbiamo a cuore il desiderio di offrire possibilità, di ridurre le disuguaglianze, di promuovere la coscienza civica e la partecipazione, è l’aula scolastica il punto da cui partire. Oggigiorno sono proprio gli alunni delle scuole con maggiori esigenze ad avere gli insegnanti meno qualificati. Per questo motivo l’elevata qualità dell’insegnamento non riguarda soltanto l’istruzione, ma la quotidiana lotta per un’equa giustizia sociale. Le richieste sempre più pressanti da parte del Paese in materia di istruzione rappre- 22 sentano solo una faccia della medaglia. Il terzo motivo per cui si invoca da più parti un maggior numero e una maggiore qualità degli insegnanti è l’esodo di massa dal corpo insegnanti da parte delle persone nate negli anni del baby boom (fra il 1945 e il 1964, ndt) previsto per il prossimo decennio. Attualmente contiamo 3,2 milioni di insegnanti che lavorano in circa 95.000 scuole. Più della metà di questi insegnanti e presidi, tuttavia, sono baby boomers. Nei prossimi quattro anni potremmo perdere un terzo dei nostri insegnanti e funzionari scolastici più esperti, causa pensionamento e logoramento. Entro il 2014, il Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti calcola che fino a un milione di posti di lavoro verranno occupati da nuovi insegnanti. Questi imponenti avvicendamenti demografici ci fanno comprendere come l’insegnamento sia destinato a diventare una professione in grande espansione negli anni a venire: fino a 200.000 assunzioni all’anno come primo impiego nei distretti scolastici di tutta la nazione. La nostra capacità di attrarre, ma, ancor di più, di trattenere i grandi talenti nei prossimi cinque anni lascerà un’impronta profonda sull’istruzione pubblica dei prossimi trent’anni. È davvero un’opportunità che capita una sola volta nell’arco di una generazione. È importante sottolineare come per il nostro sistema scolastico la sfida non si esaurisca nell’affrontare lo spettro minaccioso della scarsità di insegnanti, quanto piuttosto la scarsità di docenti validi nelle scuole e nelle realtà dove essi sono maggiormente richiesti. Come aveva previsto Lyndon Johnson nel 1965: «Gli insegnanti di domani non solo dovranno essere in numero sufficiente, ma anche sufficientemente preparati. Dovranno possedere antiche virtù quali energia e dedizione, ma anche nuove conoscenze e nuove competenze». In questa nuova era di responsabilizzazione, a un insegnante non basta più dire: «Io l’ho spiegato, ma gli studenti non l’hanno imparato». Come ha sottolineato Linda Darling-Hammond (una delle specialiste americane più note della formazione degli insegnanti, personalità di primo piano della ricerca pedagogica negli Stati Uniti, professore di educazione all’Università di Stanford, ndr), ciò equivarrebbe a dire: «L’operazione è stata un successo, ma il paziente è morto».

Una nuova generazione di insegnanti

A più di quarant’anni dalle parole di Lyndon Johnson, situazioni di grave indigenza e scuole con serie esigenze faticano ad attrarre e trattenere buoni insegnanti. Le cattedre di scienze e matematica – materie di vitale importanza per il futuro – sono spesso difficili da assegnare a persone veramente competenti. Tuttora non ci si occupa in modo adeguato degli studenti con disabilità gravi e di quelli che non conoscono la lingua inglese. Nelle campagne, le classi devono affrontare una diffusa carenza di personale, senza contare che abbiamo ancora troppo pochi insegnanti di colore. In tutto il Paese più del 35% degli studenti delle scuole pubbliche sono neri o ispanici, contro l’equivalente di meno del 15% per quanto riguarda i nostri insegnanti. È un problema che non si corregge da solo e dobbiamo lavorarci fattivamente. È particolarmente preoccupante che, a livello nazionale, si registri una percentuale inferiore al 2% di insegnanti afro-americani di sesso maschile.
Per mantenere competitiva l’America, e per trasformare in realtà il sogno americano di un’uguale istruzione garantita a tutti, è nostro dovere reclutare, retribuire, formare, ascoltare e rispettare una nuova generazione di insegnanti di talento. Per ottenere questo è tuttavia essenziale elevare lo standard dei programmi di formazione didattica poiché agli insegnanti di oggi, rispetto anche a soli dieci anni fa, chiediamo molto di più. Agli insegnanti oggi si richiede di preparare gli studenti affinché tutti siano in grado di affrontare l’università e, contestualmente, di ottenere un tale risultato a fronte di scolaresche con esigenze sempre più disparate. Insegnare non è mai stato così difficile e così importante, e il disperato bisogno di un maggior numero di buoni studenti non è mai stato tanto urgente. Stiamo preparando adeguatamente i nostri futuri insegnanti per vincere questa battaglia cruciale?

Studenti preparati: una sfida

Attualmente sto lavorando sui programmi di formazione didattica perché la missione principale che li ispira sia l’ottenere migliori risultati dagli studenti. Le grandi sfide che l’America è chiamata ad affrontare nel settore dell’istruzione richiedono che questa nuova generazione di insegnanti dalla buona preparazione stimoli in modo determinante l’apprendimento degli studenti, affinché essi escano sempre più preparati per entrare all’università. Il presidente Obama si è posto l’ambizioso obiettivo di far riguadagnare all’America, entro il 2020, il primato della nazione che vanta, in proporzione, il più alto numero di laureati al mondo. Per raggiungere tale obiettivo, tuttavia, sia il nostro sistema scolastico sia i programmi di formazione didattica devono migliorare sensibilmente. La posta in gioco è immensa e il tempo di aggrapparsi al passato è finito.

C’è una ragione per cui molti di noi ricordano per sempre il proprio insegnante preferito. Un grande insegnante può letteralmente cambiare il corso della vita di uno studente. Gli insegnanti accendono una curiosità che dura tutta la vita, destano il desiderio di partecipare alla democrazia e instillano la sete di conoscenza. Non sorprende che tutti gli studi affermino ripetutamente come sia la qualità dell’insegnante responsabile della classe il fattore decisivo per la crescita scolastica di uno studente, e non le condizioni socio-economiche o l’ambiente familiare.

Presso la famosa Rotunda di Thomas Jefferson alla University of Virginia, ho richiamato l’importanza dell’insegnamento come missione nazionale fondamentale della nostra epoca. Reclutare e addestrare questo esercito di nuovi, grandi insegnanti dipende fortemente dalle nostre facoltà di Scienze dell’educazione. Esse avranno il compito di formare più della metà dei nostri futuri docenti. Il Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti stima che le facoltà e i dipartimenti di Scienze dell’educazione creano 220.000 insegnanti certificati all’anno. Ora, io sono totalmente favorevole all’allargamento a programmi certificati di formazione didattica alternativi di elevata qualità, come “High Tech High”, “New Teacher Project”, “Teach for America” e i programmi di internato per aspiranti insegnanti. Questi promettenti programmi alternativi, tuttavia, creano meno di 10.000 insegnanti all’anno.

[…] Nell’anno scolastico 2007-2008, quasi il 30% degli studenti iscritti ai primi anni di corso della facoltà di Scienze dell’educazione ha ottenuto contributi da parte del Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti, pari a una cifra intorno al miliardo di dollari. Nello stesso anno, circa il 40% degli studenti iscritti ai primi anni di corso della facoltà di Scienze dell’educazione ha potuto godere di tre miliardi di dollari di finanziamenti federali. In totale il governo federale stanzia quattro miliardi di dollari all’anno tra contributi e finanziamenti per sostenere gli studenti e i programmi di formazione didattica delle facoltà di Scienze dell’educazione.

Parallelamente l’iscrizione al master in Scienze dell’educazione ha un’enorme incidenza sulla media delle iscrizioni ai corsi post-laurea di primo livello: quasi il 30% sul totale di tutti i corsi di specializzazione. A differenza dei programmi di formazione certificati alternativi e indipendenti, i programmi di formazione didattica delle facoltà di Scienze dell’educazione presentano vantaggi esclusivi: sono autofinanziati, dispongono di dipartimenti di matematica e scienze all’interno del campus per assistenza a corsi di specializzazione, garantiscono un ampio supporto nelle materie umanistiche e offrono la possibilità di selezionare e testare le metodologie più adeguate per migliorare il processo di apprendimento degli studenti.

Insegnanti si nasce o si diventa?

Ora, non è possibile parlare onestamente dei radicali miglioramenti apportati ai programmi di formazione didattica senza fare cenno alla travagliata storia delle facoltà di Scienze dell’educazione e delle ostinate resistenze che è necessario superare. Per dare voce a un sentimento espresso dai presidi delle facoltà di Scienze dell’educazione, sin dalla loro creazione esse sono state trattate come il Rodney Dangerfield (pseudonimo dell’attore statunitense Jacob Cohen ben conosciuto per la sua frase: «Non ottengo rispetto» e il suo monologo su questo tema, ndt) dell’istruzione superiore. Le facoltà di Scienze dell’educazione sono sempre state storicamente istituzioni poco rispettate: dallo Studio Ovale all’ufficio del preside, dai rettori delle università ai segretari di Stato all’Educazione.

Sulla scorta della convinzione che insegnanti si nasce e non si diventa, le facoltà di Scienze dell’educazione sono state circondate da un alone di scetticismo sin dai tempi della loro istituzione, un secolo fa. Nelle sue celebri lezioni intitolate Talks to Teachers on Psychology1 pubblicate nel 1899, William James mise in guardia gli educa»potesse servire a fornire «metodi didattici per un immediato uso scolastico».

James riteneva che l’insegnamento fosse un’arte istintiva – e molti suoi colleghi accademici convenivano che l’insegnamento fosse più un’arte che una professione. Nel libro The Uncertain Profession Arthur Powell, ex direttore di facoltà di Scienze dell’educazione, ha sostenuto che «nessuna delle scienze sociali istituite dall’università americana alla fine del XIX secolo ha avuto una storia tanto discontinua e travagliata come le Scienze dell’educazione».

[…] A questo punto emerge l’ovvia domanda: perché è storicamente difficoltoso attuare la riforma dei programmi di Scienze dell’educazione? E come mai, a dispetto di tutto ciò, mi considero molto ottimista sui grandi cambiamenti che, peraltro, sono già in atto? Innanzitutto, consentitemi di rispondere alla domanda sugli ostacoli alla riforma. È troppo semplice incolpare le facoltà di Scienze dell’educazione per la lentezza con cui procede la riforma. Le università, gli Stati membri e il governo federale hanno tutti impedito la riforma in vari modi.

Per decenni le facoltà di Scienze dell’educazione sono state considerate dalle università alla stregua di vacche da mungere. L’elevato numero di iscritti e i costi di gestione relativamente bassi ne hanno fatto dei centri di profitto. Molte università, tuttavia, hanno dirottato questi profitti verso dipartimenti più prestigiosi ma con meno iscritti come Fisica, facendo poco o nulla per investire in una rigorosa ricerca nel settore della formazione e dell’addestramento pratico all’insegnamento.

Questa politica del togliere a uno per dare all’altro è una politica miope. Se l’insegnamento è – come dovrebbe essere – una delle nostre professioni più rispettate, i programmi di formazione didattica dovrebbero essere una delle responsabilità primarie dell’università. Sfortunatamente questa è l’eccezione e non la regola.

Università per gli insegnanti

Ci vuole un’università per preparare un insegnante. Le facoltà umanistiche e scientifiche rivestono un ruolo assolutamente essenziale nel consolidare il bagaglio culturale di un futuro insegnante. Fatico a capire i rettori e i presidi delle facoltà umanistiche e scientifiche che trascurano i programmi di Scienze dell’educazione delle loro università – salvo poi lamentarsi del costo dei corsi di recupero per le matricole. Per dirla in poche parole, le matricole lamentano delle lacune perché in troppi casi hanno ricevuto un’istruzione inadeguata, impartita da insegnanti con le medesime carenze. Secondo il mio punto di vista, Donald Kennedy, l’ex rettore della Stanford University, diceva il vero quando affermava che «… solo se le migliori istituzioni avranno a cuore le scuole [pubbliche] e le proprie facoltà di Scienze dell’educazione la gente riterrà che valga la pena prendersene cura; e niente al mondo potrebbe rivelarsi più redditizio di questo per i dirigenti delle università americane».

Il fatto è che Stati, distretti, e governo federale sono altrettanto responsabili della costante debolezza dei programmi di formazione didattica delle facoltà di Scienze dell’educazione. Gran parte degli Stati membri approvano d’ufficio i programmi delle facoltà che, solitamente, si basano su criteri di valutazione degli studenti affidati a test scritti senza una reale valutazione della loro effettiva preparazione all’insegnamento in una classe. I programmi locali di formazione didattica per i nuovi insegnanti sono scarsamente finanziati e spesso male organizzati a livello distrettuale.

Pochissimi Stati e pochissimi distretti monitorano attentamente il lavoro degli insegnanti, valutando se e quali programmi di formazione didattica hanno creato insegnanti ben preparati e quali invece insegnanti dal rendimento scarso. Dovremmo, da un lato, studiare e riprodurre le pratiche rivelatesi efficaci e, dall’altro, esortare gli insegnanti meno efficienti a rivedere il proprio modo di lavorare o a rinunciare a questa professione.

Anche l’incapacità di alcune facoltà di Scienze dell’educazione di sviluppare programmi di studio scientificamente rigorosi non può essere loro imputata in via esclusiva. […]

Tutti questi ostacoli alla riforma che ho appena menzionato iniziano lentamente a dissolversi, e questa è una delle ragioni per cui resto ottimista circa gli autentici miglioramenti e i cambiamenti in atto nell’ambito dei programmi di formazione didattica delle facoltà di Scienze dell’educazione.

Per la prima volta, 48 Stati membri si sono riuniti per procedere alla definizione di comuni standard di idoneità per gli studenti delle scuole superiori ai fini dell’accesso all’università e alla professione – mentre il governo federale sta stanziando generosi incentivi attraverso il fondo “Race to the Top” per incoraggiare la definizione di standard rigorosi, ivi compreso l’accantonamento di 350 milioni di dollari per finanziare lo sviluppo competitivo di migliori definizioni degli standard. Solo un anno fa numerosi esperti in Scienze dell’educazione erano scettici su un accordo tra Stati membri in materia di comuni standard di idoneità per l’accesso all’università.

[…] Come sapete, i programmi di internato per aspiranti insegnanti sono concepiti sulla falsariga del modello di formazione in medicina e prevedono un anno di tirocinio in una scuola, coadiuvati da un costante supporto di affiancamento. A Chicago ho avuto la fortuna di potere lavorare con l’“Academy for Urban School Leadership Program”, uno dei migliori programmi di internato per aspiranti insegnanti di tutto il Paese. Il Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti ha recentemente annunciato lo stanziamento di un sussidio di 43 milioni di dollari per 28 programmi di “Teacher Quality Partnership” destinati alle facoltà di Scienze dell’educazione e a distretti scolastici con esigenze gravi. Oltre metà di questi finanziamenti quinquennali sostengono programmi di internato per aspiranti insegnanti. Un supplemento di 100 milioni di dollari inclusi nell’“American Recovery and Reinvestment Act” sarà stanziato all’inizio dell’anno prossimo. In materia di sistemi di raccolta di dati trasversali, che consentono agli Stati di monitorare e confrontare il rendimento dei nuovi insegnanti usciti dalle facoltà di Scienze dell’educazione con il rendimento degli studenti su scala pluriennale, la Louisiana si distingue tra gli Stati più all’avanguardia. Il sistema messo a punto in questo Stato è già operativo: esso collega i programmi di formazione didattica delle facoltà di Scienze dell’educazione statali al rendimento degli studenti e ai progressi compiuti in materie come matematica, inglese, lettura, scienze e scienze sociali.

Tutti gli studenti della Louisiana dal quarto al nono anno scolastico che si sono sottoposti a una delle valutazioni hanno i requisiti necessari per rientrare nel sistema di valutazione statale del rendimento degli insegnanti – e di fatto lo Stato della Louisiana dispone di una banca dati triennale riguardante centinaia di migliaia di studenti e decine di migliaia di insegnanti. La Louisiana sta facendo per la prima volta uso di queste informazioni per individuare i programmi efficaci e quelli inefficaci – e le varie facoltà di Scienze dell’educazione utilizzano i dati risultanti per aggiornare e migliorare i propri programmi. I dirigenti della University of Louisiana di Lafayette hanno deciso di incrementare i requisiti di ammissione, hanno aggiunto un programma di orientamento professionale per preparare gli insegnanti al passaggio al lavoro in classe, e hanno appesantito i programmi d’esame dei corsi di lingua inglese. Un vero cambiamento basato sul reale rendimento dei ragazzi – rivoluzionario, no?

Gli investimenti nell’istruzione

[…] Diversi distretti stanno optando per la verifica dell’efficacia dei programmi di formazione didattica in funzione del rendimento degli studenti. Nello Stato di New York il “Teacher Policy Research Project”, patrocinato dalla University of Albany e L a f orm a zio n e d e gli inse g n a nti: u n a sfid a 27 dalla Stanford University, ha recentemente valutato l’efficacia di 31 programmi di formazione didattica per la scuola elementare sul rendimento degli studenti in inglese e matematica nella città di New York. È emerso che la differenza tra il rendimento medio dei 31 programmi di formazione didattica elementare e l’istituto con il più alto valore aggiunto per gli insegnanti al primo anno era pressappoco la stessa differenza tra l’apprendimento medio di una classe composta da studenti a basso reddito familiare e studenti benestanti. Lo studio di New York testimonia ancora una volta come finalmente stiamo cominciando a ottenere quei dati comparati sugli investimenti nel settore dell’istruzione che il presidente Kennedy auspicava tanto tempo fa Gli investimenti nell’istruzione […] Diversi distretti stanno optando per la verifica dell’efficacia dei programmi di formazione didattica in funzione del rendimento degli studenti. Nello Stato di New York il “Teacher Policy Research Project”, patrocinato dalla University of Albany e L a f orm a zio n e d e gli inse g n a nti: u n a sfid a 27 dalla Stanford University, ha recentemente valutato l’efficacia di 31 programmi di formazione didattica per la scuola elementare sul rendimento degli studenti in inglese e matematica nella città di New York. È emerso che la differenza tra il rendimento medio dei 31 programmi di formazione didattica elementare e l’istituto con il più alto valore aggiunto per gli insegnanti al primo anno era pressappoco la stessa differenza tra l’apprendimento medio di una classe composta da studenti a basso reddito familiare e studenti benestanti. Lo studio di New York testimonia ancora una volta come finalmente stiamo cominciando a ottenere quei dati comparati sugli investimenti nel settore dell’istruzione che il presidente Kennedy auspicava tanto tempo fa.

Mentre Stati e distretti cominciano a mettere in relazione programmi di formazione didattica e rendimento degli studenti, anche le università cominciano ad assumersi le proprie responsabilità per migliorare la preparazione degli insegnanti in modo più serio. Negli ultimi nove mesi sono stato coinvolto in un lungo tour di dibattiti che mi ha portato in più di trenta Stati. Ovunque sia andato ho visto le università collaborare con i distretti scolastici, ho assistito all’apertura di scuole sperimentali, scuole con bacino di utenza interfederale e scuole private sovvenzionate dallo Stato e inaugurare scuole di formazione professionale per studenti di Scienze dell’educazione al fine di ottenere maggiore esperienza sul campo. Le università hanno aperto in massa le loro porte a programmi alternativi certificati e stanno prestando maggiore attenzione a qualità e supervisione degli insegnanti tirocinanti.

Come sapete, l’accreditamento delle facoltà di Scienze dell’educazione è un’operazione facoltativa e, storicamente, a questo riguardo, i programmi dei corsi hanno sempre avuto più spazio rispetto alla pratica sul campo da parte degli aspiranti insegnanti. Ci sono però anche dei segnali incoraggianti che testimoniano la volontà da parte delle facoltà di Scienze dell’educazione di dotarsi di politiche più incisive, dove è la pratica sul campo a far da traino al lavoro in classe e non viceversa. Sia lo “NCATE” (National Council for Accreditation of Teacher Education) che l’“AACTE” (American Association of Colleges for Teacher Education) appoggiano pienamente il nuovo indirizzo orientato a collegare i programmi di formazione didattica al rendimento degli studenti.

In giugno, lo “NCATE”, nella persona del suo presidente Jim Cibulka, ha annunciato una grande procedura di revisione dei requisiti per la formazione didattica, la prima dopo dieci anni. Essa include nuovi requisiti per l’accreditamento che obbligheranno le istituzioni a potenziare la pratica sul campo dei loro programmi e a dimostrare di avere ottenuto sensibili miglioramenti nell’apprendimento da parte degli studenti. Il nuovo sistema di accreditamento dello “NCATE” sarà in parte modellato sulla falsariga dell’esperimento già in via di sviluppo nello Stato del Tennessee, dove il Consiglio d’Amministrazione ha deciso che tutti gli studenti iscritti alla facoltà di Scienze dell’educazione che aspirano all’insegnamento dovranno trascorrere il loro ultimo anno prima del diploma di laurea in un internato per futuri insegnanti in scuole elementari o medie. Mi auguro che altri Stati e altre facoltà di Scienze dell’educazione si orientino verso il modello di formazione che adotta l’istituto dell’internato per futuri insegnanti

Sotto la guida di Sharon Robinson, l’“AACTE” e le ottocento università associate 28 hanno fatto del tirocinio in classe un pilastro fondamentale dei loro programmi per ottenere sostanziali miglioramenti nel rendimento dei futuri insegnanti. Recentemente l’“AACTE” ha anche varato una serie di nuovi programmi e iniziative per migliorare il rendimento degli insegnanti. Una delle iniziative più promettenti è lo sviluppo del primo sistema di valutazione di idoneità all’insegnamento accessibile su base nazionale. Secondo questo criterio basato sul rendimento, gli insegnanti con compiti di supervisione e le facoltà valutano gli insegnanti tirocinanti in classe. Agli insegnanti tirocinanti e agli interni viene richiesto di elaborare e mettere in pratica un programma di insegnamento della durata di una settimana in linea con gli standard definiti dallo Stato, e di fornire i propri commenti su videocassette in merito alle loro lezioni e alla gestione della classe.

Linee fondamentali per un buon insegnamento

[…] In conclusione, non credo che gli ingredienti per la formazione di un buon insegnante siano più un mistero. I nostri programmi migliori sono coerenti, aggiornati, basati su un lavoro di ricerca e forniscono agli studenti padronanza della materia. Essi possono contare su una solida esperienza maturata sul campo in scuole pubbliche locali, incentrata per gran parte del corso sulla gestione della classe e sull’apprendimento degli studenti; essi vengono inoltre preparati ad affrontare alunni diversi tra loro in realtà oberate da gravi esigenze. Questi programmi sono il prodotto di un’ottica condivisa basata sulla scelta degli elementi che costituiscono un buon insegnamento e le migliori metodologie didattiche, ivi incluso l’obiettivo di migliorare la qualità dell’apprendimento degli studenti e ricorrere all’utilizzo dei dati trasversali per informare l’istruzione.

[…] Ci sono parecchi altri programmi di formazione didattica di prima qualità – Stanford, University of Washington, e Michigan, giusto per nominarne alcuni. Desidero tuttavia specificare che non ci vuole un’università d’élite o investimenti spropositati per creare un buon programma di formazione.

[…] S’è detto spesso che i grandi insegnanti sono eroi di cui non sono cantate le gesta, ma a parer mio questa evidente verità ha un significato profondo. L’insegnamento è una delle poche professioni che non è solo un lavoro o addirittura un’avventura estemporanea: è una vocazione. I grandi insegnanti si sforzano di aiutare ogni studente a sbloccare il proprio potenziale e a sviluppare l’atteggiamento mentale che gli servirà per tutta la vita. Essi lavorano nella convinzione che tutti gli studenti abbiano un dono, anche quando dubitano di se stessi

Henry Adams disse che «l’influenza di un’insegnante dura per l’eternità: non si può mai dire dov’essa avrà fine». È un’onerosa responsabilità e un privilegio unico. Desidero ringraziarvi per tutto ciò che avete fatto e farete per formare la prossima generazione di grandi insegnanti. Le sfide che il nostro sistema scolastico ed educativo deve affrontare sono enormi. Ma altrettanto immensa è l’opportunità di servire al meglio i nostri figli e il bene comune. Teachers College, Columbia University, 22 ottobre 2009 1 Traduzione italiana: William James, Discorsi agli insegnanti e agli studenti sulla psicologia e su alcuni ideali di vita, Armando Editore, Roma 2003.

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