Il fiato corto della laïcité francese

Intervista con Chantal Del Sol. Specialista di fama internazionale nei campi della filosofia etica e politica, docente a Parigi, dove ha fondato il centro universitario di ricerca Hannah Arendt, Chantal Delsol è stata anche eletta nella prestigiosa Académie des sciences morales et politiques.

Intervista con Chantal Del Sol

Specialista di fama internazionale nei campi della filosofia etica e politica, docente a Parigi, dove ha fondato il centro universitario di ricerca Hannah Arendt, Chantal Delsol è stata anche eletta nella prestigiosa Académie des sciences morales et politiques. L’anno scorso ha presieduto questa storica istituzione che ha annoverato celebri figure d’Oltralpe come Tocqueville, Bergson o il cardinale Henri de Lubac, ricevendo nel 1992 fra i propri membri associati stranieri l’allora cardinale Joseph Ratzinger. Nota per i suoi studi penetranti sul principio di sussidiarietà, per la costante riflessione sulla libertà religiosa e per l’appassionata visione del federalismo europeo, ha appena pubblicato La haine du monde (L’odio del mondo, Cerf), sulle radici delle derive demiurgiche e totalitarie del XX secolo. Attenta da sempre al dibattito d’idee in tutte le sue forme, è spesso citata anche per gli acuti editoriali pubblicati su “Le Figaro”.

In quest’inizio di XXI secolo si può ancora parlare di una specificità francese nel modo di affrontare, in pubblico e a livello istituzionale, le religioni e la questione della libertà religiosa? Non si deve dimenticare che la Francia ha conosciuto la rivoluzione del 1793, cioè il Terrore antireligioso che si ripeterà con Lenin e ancora più in là. Si è detto spesso che la Francia è, con la Repubblica Ceca, il Paese più ateo d’Europa, anche se forse occorrerebbe aggiungere i Paesi scandinavi. Che cos’è davvero accaduto? Non posso fare a meno di constatare che questi due Paesi sono stati quelli dove si sono combattute le guerre di religione più micidiali. In ogni caso, si tratta di fatti. La separazione del 1905 fra Chiesa e Stato è stata di una violenza di cui non si parla più, ma che le campagne non hanno dimenticato. Se le donne hanno avuto in Francia così tardi il diritto di voto, è perché venivano ritenute prigioniere dell’influenza della Chiesa e dunque si temevano i loro voti. Credo che ciò attenga pure alla questione seguente: la Francia è stata un Paese molto ideologizzato in chiave socialista-comunista, al punto che si suol dire che l’ultimo leninista al mondo sarà un francese. Questo suscita un rifiuto della religione.

Alcuni ricercatori come Jean Baubérot sostengono che in Francia esistono diverse concezioni della laicità, talora aspramente concorrenti. In proposito, si può pensare che la questione religiosa resti ancor oggi più acuta, o meno pacificata, che altrove. Come considera questa sorta d’inquietudine francese di fondo? Su questo tema, ho discusso spesso con Baubérot. È interessante osservare che la Francia ha inventato il concetto di laïcité, inteso come una forma specifica di secolarizzazione. La secolarizzazione è una questione che si sviluppa in Europa dopo la cosiddetta diatriba delle due spade e che deriva dal Vangelo stesso (“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”). In tutti i Paesi di origine cristiana, si presta attenzione nel separare le sfere politica e religiosa, anche se la tendenza naturale è di legarle, essendo più comodo per conservare il potere. Cosa significa allora la laïcité? Penso che rappresenti qualcosa di più della secolarizzazione, la quale separa le sfere. È una ricusazione, un rifiuto della religione, una volontà di relegarla sotto il moggio, nelle sole coscienze, cioè d’impedirne la presenza e dunque il dispiegamento. La laïcité non è una semplice richiesta di neutralità, ma un’esigenza antireligiosa. Ciò che si intende per rispetto della laïcité in Francia è il rispetto della bestemmia, che ricade di fatto solo sulla religione giudeo-cristiana. Per esempio, è sorprendente osservare che la copertina di Charlie Hebdo per l’anniversario degli attentati mostrava un dio dai tratti chiaramente giudeo-cristiani, con la dicitura “l’assassino sempre in fuga”. Evidentemente, l’assassino non è quello, ma si tratta del capro espiatorio che viene caricato di tutti i crimini degli altri.

Un governo di sinistra è oggi al potere in Francia. Uno storico e polemista che si definisce progressista come Jacques Julliard ha sostenuto che l’anticlericalismo resta probabilmente l’ultimo patrimonio intellettuale comune a tutte le diverse “sinistre” francesi. Possiamo considerarla un’esagerazione, anzi una provocazione? Sì, si tratta un po’ di una battuta, ma non per questo priva di fondamento. Julliard intende dire che le sinistre francesi sono spaventate e non sanno più precisamente in cosa credere. Non dimentichiamo che i comunisti francesi, un tempo molto numerosi, hanno atteso che i russi stessi rifiutassero il comunismo, prima di abbandonarlo a loro volta, e molto a malincuore. Uno scenario di grande delusione. Oggi, le sinistre francesi hanno scelto un approccio ideologico, mentre il paesaggio nazionale è segnato da una disoccupazione sempre più deprimente. Nuova delusione. Resta dunque loro l’anticlericalismo. È nota l’importanza di avere un nemico, quando non si ha più altro.

In un clima sociale dominato da tempo dal bisogno di reagire alla minaccia terroristica, l’Associazione dei sindaci di Francia ha appena presentato un ‘vademecum della laicità’ che raccomanda ad esempio di lasciare negli spazi privati i presepi natalizi, o ancora la più stretta neutralità degli amministratori pubblici nel manifestare la loro eventuale fede religiosa. L’idea che la neutralità possa essere una soluzione alle sfide poste dalle cosiddette “patologie delle religioni” è una novità nella vita politica francese? Il problema può essere posto così: si parla molto di patologia delle religioni e si rifiutano ad esempio i presepi, come se la Chiesa cattolica rischiasse domani di rilanciare l’Inquisizione. Ma laddove si osserva in questo momento una vera patologia della religione, ovvero nell’islam fondamentalista, si tende a negare che questa patologia provenga dalla sfera religiosa. “Nulla a che vedere”, ha detto il presidente François Hollande. Pare il mondo al contrario. Non si vogliono guardare le sole patologie che esistono, mentre se ne avvertono dappertutto laddove non ce ne sono.

Quanto alla volontà d’imporre dappertutto la neutralità, ciò equivale a confinare la religione nello spazio strettamente privato. Questa passione per ciò che è neutro proviene dalla filosofia del decostruzionismo, ma figurava già nei testi dei primi difensori della laïcité, un secolo fa. È un’idea scaturita dal costruttivismo positivista illuministico francese, secondo la quale l’essere umano potrebbe svilupparsi in un ambiente senza definizione, né caratteristiche, allo scopo di essere libero da tutto, di non essere mai influenzato. Ma ciò non esiste. È un’utopia.

Nel discorso Destino della religione in epoca moderna pronunciato presso l’Institut de France il 16 novembre 2015, lei ha sostenuto che “il modello del 1905, che separa la sfera privata, nella quale sarebbe contenuta la religione, e la sfera pubblica che spetterebbe alla politica, non funziona più”. Quali sono le manifestazioni più evidenti di questa crisi? Questo modello di secolarizzazione tipico dell’Occidente può funzionare solo in una cultura occidentale dove i due ambiti, politico e religioso, sono separati nella stessa dottrina. Dal momento in cui l’islam si dispiega fortemente in queste società, esso reclama in modo naturale la sovrapposizione fra gli ordini, secondo una logica che deriva dalla sua dottrina. Vivendo quotidianamente a contatto con l’islam, si percepisce d’altronde ancor più che le nostre abitudini laiche restano imbevute di vecchia cultura cristiana e che i punti d’incompatibilità fra la cultura musulmana e quella ocicidentale sono forse più di quanto si pensasse. Il niqab offende le nostre convinzioni sulla dignità della persona. Alcune implicazioni della democrazia, a dispetto delle dichiarazioni di certi benpensanti, offendono una parte della comunità islamica”.

Nello stesso discorso, lei cita un amico ebreo per il quale i riti religiosi sono oggi “delle rampe ascendenti nell’oscurità”. Si può supporre che questa metafora si addica alla condizione di numerosi credenti nella Francia di oggi? In questo caso, cosa si deve intendere per “oscurità”? Sì, trovo questa metafora molto azzeccata. Si tratta dell’oscurità nel senso della notte della fede, che può giungere in ogni genere di circostanza, e oggi in particolare in mezzo al diffuso clima di derisione antireligiosa che è come una bomba sporca, tesa a spogliare i credenti del loro senso, ridicolizzandoli.

Uno degli scrittori francesi più tradotti, Michel Houellebecq, nel suo recente romanzo fantapolitico Sottomissione, predice una Francia votata all’islamizzazione. Se il valore letterario del romanzo è molto discusso, si possono comunque scorgere in questa forma provocatoria d’opera i sintomi di un malessere forse oggi più acuto in Francia che nei suoi vicini europei? In effetti, non si tratta di un romanzo di grande valore letterario, ma di notevole significato simbolico. Eppure, non credo che si sia davvero presa la misura di ciò che significa. Non credo significhi: attenzione, dovremo islamizzarci, se vogliamo sopravvivere. Ma piuttosto: in fondo, se saremo obbligati a islamizzarci non sarà così sgradevole, poiché siamo stanchi della libertà, le donne hanno voglia di essere protette anziché di essere libere, e la cultura musulmana deve essere abbastanza gradevole. In altri termini, penso che questo romanzo traduca la nostra stanchezza di esistere così come siamo.

Alcuni religiosi come l’abbé Pierre o suor Emmanuelle sono divenuti delle autentiche icone nazionali e lo restano dopo la morte. Nel 2010, il film di contenuto cristiano Des hommes et des dieux (Uomini di Dio) ha conosciuto un successo imprevisto. E nonostante tutto, restano molto radicate delle tradizioni popolari semplici come quella di condividere la galette des rois, tipico dolce dell’Epifania, o le crêpe in occasione della Candelora. Simili segni ci parlano di una Francia che, in qualche modo, nelle sue viscere, non rinnega del tutto la sua antica identità di “figlia primogenita della Chiesa”? Credo francamente che se l’abbé Pierre e suor Emmanuelle sono considerati degli eroi, ciò è legato alla loro abnegazione verso gli altri e non alla loro santità. Non dimentichiamo che i nostri contemporanei hanno sostituito la religione con la morale, la quale sembra ormai essere l’unica cosa che conta. Detto questo, naturalmente la fede cristiana resta forte in Francia in alcuni ceti e ambienti, anche se non se ne parla per nulla, e ciò si è visto al momento delle grandi manifestazioni di due anni fa [quelle di protesta in coincidenza dell’iter legislativo poi sfociato nella legge sul “matrimonio per tutti”, ndr]

Per concludere, una nota un po’ più personale. Lo storico Jean Delumeau ha appena pubblicato un libro intitolato L’avenir de Dieu. Le capita, a sua volta, di pensare ogni tanto all’avvenire di Dio in Francia? Non ho ancora letto questo libro. Ma in un corso recente, ho intitolato una lezione “La morte di Dio non è definitiva”. Credo che Dio abbia un bell’avvenire in Francia, perché solo i credenti hanno famiglie numerose, e perché i giovani cristiani sono numerosi, intelligenti e molto attivi. La fase del maggio ’68 è molto criticata. Solo le persone che danno un senso alla loro vita, che sono in cammino verso una stella, per citare Heidegger, avranno voglia di trasmettere. E fatalmente, l’avvenire appartiene a loro.

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Lo scorso 17 gennaio, Mary Ann Glendon è stata relatrice al convegno Virtù e Torti del diritto nelle società post moderne, organizzato dall’Università di Padova e Treviso, assieme alla Fondazione Novae Terrae e alla Fondazione per la Sussidiarietà. Mary Ann Glendon è uno dei più illustri accademici degli Stati Uniti, insegna Constitutional Law ad Harvard, ed è Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

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