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Federalismo e sussidiarietà

  • GEN 2005
  • Fabio Alberto Roversi Monaco

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Sono note le difficoltà di definire in termini giuridicamente precisi il federalismo. Se poi si collega al federalismo il principio di sussidiarietà, al fine di definirne i reciproci rapporti e le interrelazioni, il compito diviene ancora più difficile.

Non è un caso, del resto, che nell’ambito dei recenti studi, che sono innumerevoli, sul federalismo e sulla sussidiarietà, risulti carente proprio uno studio approfondito che ne voglia definire i reciproci rapporti. Vorrei partire proprio dal federalismo e dalla sussidiarietà per spezzare una lancia a favore di un’interpretazione che non sia dogmatica, ma articolata, pragmatica e descrittiva, nella consapevolezza che quella del federalismo, soprattutto, ma per numerosi profili anche quella della sussidiarietà, è una frontiera in continuo movimento, come si conviene a concetti che appartengono da molti anni alla storia delle istituzioni e alla storia della società in guisa tale che è quantomeno prudente costruirne una concezione storicizzata e relativistica.
Esiste, tuttavia, un nucleo nel concetto di federalismo, che lo collega alla sussidiarietà, che può essere individuato nella consapevolezza che non si tratta soltanto di una suddivisione del potere, ma anche di un richiamo al pluralismo e alla collettività.

Ne consegue che qualsiasi definizione di federalismo, basato soltanto su un’opera di ingegneria costituzionale, non può considerarsi esaustiva, poiché non rappresenta sufficientemente il collegamento con i cittadini e con gruppi di cittadini. Il fatto è che deve esistere una sorta di affectio federalis della società (Groppi), senza il quale il federalismo diventa pura sovrastruttura. Io vorrei aggiungere e ribadire che esiste il pluralismo: quel pluralismo che gli Artt. 2 e 5 della nostra Costituzione hanno contribuito in modo impareggiabile a collegare all’assetto istituzionale del nostro Stato, che non è ancora federale, ma che conosce la valorizzazione delle Regioni e dei Comuni. È stato affermato che «l’essenza del federalismo non consiste nella struttura costituzionale, ma nella società stessa.

Lo Stato federale è un congegno attraverso il quale i caratteri federali della società si articolano e trovano protezione». Questo spunto può essere completato nel senso che il federalismo appare una delle possibili manifestazioni della volontà che risale al corpo sociale di conservare l’unità nella diversità, adottando gli strumenti istituzionali idonei ad agevolare questa convivenza. L’assetto federale tende dunque ad esprimere un’aspirazione profonda della Società, configurandosi come una soluzione storicamente variabile, volta a dare risposta alle diverse esigenze di gruppi sociali che vivono su un certo territorio e che intendono affrontare così le problematiche che lo riguardano. Il federalismo deve assumere allora forme diverse, quelle più idonee in un determinato momento storico a rappresentare la collettività di riferimento, ma è certo che si può rinvenire una forma di federalismo là dove esiste una suddivisione del potere su base territoriale. Lo Stato regionale è certamente diverso qualitativamente, per molti motivi, ma nello stesso tempo è accomunato allo Stato federale dall’intento di fornire una risposta alla medesima esigenza: quella di conciliare un certo tasso di unità e un certo tasso di autonomia. Questo modello non toglie allo Stato centrale la piena gestione della sovranità, ma consente di ripartire forme anche rilevanti di gestione del potere pubblico fra più soggetti. Secondo la Corte Costituzionale «l’Articolo 1 della Costituzione, nello stabilire, con formulazione netta e definitiva, che la “sovranità” appartiene al popolo, impedisce di ritenere che vi siano luoghi o sedi dell’organizzazione costituzionale nella quale essa si possa insediare esaurendovisi.

Le forme e i modi nei quali la sovranità può svolgersi, infatti, non si risolvono nella rappresentanza, ma permeano l’intera intelaiatura costituzionale: si rifrangono in una molteplicità di situazioni ed istituti ed assumono una configurazione talmente ampia da ricomprendere certamente il riconoscimento e la garanzia delle autonomie territoriali» (sentenza n. 106/2002). Poiché anche lo Stato federale può essere considerato la massima espressione della spinta all’autonomia e all’autogoverno delle collettività territoriali, il federalismo si ricollega al pluralismo istituzionale e al decentramento politico che esso comporta. L’assetto federale deve valorizzare le altre autonomie, curando con attenzione che si tratti di autonomie effettivamente espressive delle formazioni sociali, come sancisce per il nostro ordinamento l’Art. 2 della Costituzione. Creare enti territoriali nuovi, come purtroppo è avvenuto, a valorizzarne altri in modo non meditato, privi di reale tradizione e di reale base sociale, così come costituire enti funzionali per l’assunzione di compiti settoriali, spacciandoli per pluralismo, può essere pericoloso.

Ancor più pericoloso connettere queste invenzioni al concetto di sussidiarietà, come sembra consentire in qualche misura il nuovo Art. 118 della Costituzione. Ciò significa, infatti, snaturare alla base il concetto di pluralismo sociale e vulnerarne l’effettiva realizzazione, mescolando realtà e problematiche sostanzialmente e storicamente diverse. La sussidiarietà non può essere soltanto una forma di organizzazione e di attività burocratico-organizzative; essa investe il rapporto fra autorità e libertà e, attraverso il riferimento alla valorizzazione delle formazioni sociali, contribuisce alla costruzione e all’effettivo svolgersi di una democrazia sostanziale.

Può così affermarsi che il tradizionale consolidato senso di appartenenza a comunità regionali che esprime la ricchezza della società e della storia italiana, può essere valorizzato dalla applicazione del principio di sussidiarietà e contribuisce a realizzare un federalismo adatto all’ordinamento italiano e agli italiani. Nello stesso tempo la consapevolezza che l’assetto dei pubblici poteri, pur espressa attraverso enti dotati di autogoverno, non può esaurire la carica di partecipazione nelle formazioni sociali, può e deve portare alla valorizzazione della sussidiarietà orizzontale che costituisce nel caso dell’Italia l’ineliminabile completamento della spinta alla sussidiarietà in genere e al riconoscimento delle autonomie.

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