Glocal > Glocal
ARTICOLO | Tema di "Atlantide" n. 6 (2006)

Liberalizzazioni, interessi nazionali e interesse comune

  • OTT 2006
  • Peter Mandelson

Condividi

L’ingresso della Cecoslovacchia nell’Unione europea, nel contesto dell’allargamento verso Est. Libertà economica e libertà di movimento, visti dalla Gran Bretagna

La Primavera di Praga del 1968 è stato uno dei primi avvenimenti internazionali che mi ha colpito maggiormente. Quando, quasi trentasette anni dopo, rievoco le immagini televisive dei carri armati russi, il coraggio della gente che protestava contro di loro e penso a tutto quello che la stessa gente ha dovuto subire prima del crollo del comunismo, due decenni più tardi, trovo che i progressi fatti da questo Paese siano straordinari. Sono sempre stato un europeista appassionato. Mi sono impegnato affinché il mio Paese e il mio partito, il Partito Laburista britannico, partecipassero alla formazione dell’Unione Europea, scontrandomi a volte con un’opposizione militante. Ma l’Europa che ho sostenuto attivamente durante il mio apprendistato politico era un’Europa prima a sei, poi a nove e infine a dodici. Quando ho iniziato la mia carriera politica, e per i vent’anni successivi, non ho mai immaginato che un giorno avrei assistito all’unione di quelle Europe così diverse. Un’Europa unita di venticinque e più Stati era al di là delle mie aspettative. Eppure ce l’avete fatta. La Repubblica Ceca non si è soltanto guadagnata la libertà e l’indipendenza: si è infine riunita al resto dell’Europa e vi svolge un ruolo di primo piano. Così, cari amici, è un vero privilegio essere oggi qui con voi come concittadini dell’Unione Europea. E non è solo un privilegio: è una conquista storica miracolosa. Non dimentichiamolo mai.

E naturalmente, in quanto commercianti, vedete ogni giorno i vantaggi di far parte dell’UE. Vedete l’accresciuto potere d’acquisto che deriva dalla crescita economica. Vi rendete conto di come la dinamica dell’appartenenza all’UE - e al suo mercato unico - faccia sviluppare l’economia dopo il duro periodo di transizione della vostra ristrutturazione. E comprendete il ruolo che i Fondi Strutturali dell’UE svolgeranno nei prossimi anni nel preparare la Repubblica Ceca ad affrontare le grandi sfide della concorrenza che ci riserva il futuro.

E mentre rendo omaggio alle storiche conquiste della vostra orgogliosa nazione negli ultimi quindici anni, vorrei ricordare che esse rappresentano una vittoria fondamentale dell’apertura: un’economia aperta invece di un’economia pianificata a livello centrale; un confine aperto invece di un mondo chiuso dai confini impenetrabili; una società aperta che apprezza l’individualismo e lo spirito imprenditoriale invece degli orrori della censura e della polizia segreta. Ed è questa qualità di apertura che costituisce l’essenza non solo di una società libera, ma dell’Unione Europea e del suo futuro economico. Il mio intervento di oggi è proprio in difesa di questi valori di apertura.
a di questi valori di apertura. Non ho dubbi sul fatto che abbiamo perso i referendum sul trattato costituzionale in Francia e in Olanda a causa di un’ondata di populismo in questi Paesi, a destra come a sinistra, alimentato soprattutto dalle paure dell’immigrazione e della globalizzazione, della concorrenza “straniera”, simbolizzata in alcuni Stati membri dall’ossessione dell’“idraulico polacco”. Se avremo fortuna, e se possiamo basarci sull’esperienza passata, le ondate si calmeranno da sole, soprattutto se la Commissione Europea di José Manuel Barroso riuscirà, insieme agli Stati membri, a dare nuovo impulso alla crescita e all’occupazione. Nelle prossime settimane e mesi verranno prese alcune importanti decisioni che offriranno all’UE l’opportunità di ribadire il proprio impegno al principio dell’apertura. In primo luogo, la Commissione è tenuta a presentare agli Stati membri la relazione in cui riesamina le disposizioni transitorie negoziate nell’ambito dell’allargamento, che limitano temporaneamente il principio fondamentale della libera circolazione delle persone sancito dal trattato. Conosco bene la questione grazie all’esperienza del mio Paese. La Gran Bretagna, sotto la guida di Tony Blair, ha difeso l’allargamento e, a dimostrazione del proprio impegno, il governo britannico ha annunciato che non avrebbe applicato le disposizioni transitorie sulla libertà di movimento, nonostante la questione dell’asilo fosse particolarmente rilevante a livello politico. Sono lieto che il mio Paese abbia adottato questa coraggiosa linea di azione.
Ma inevitabilmente, e come parte della loro campagna di denigrazione dell’Europa, certe sezioni dei media hanno diffuso storie allarmanti sul possibile arrivo in Gran Bretagna di migliaia di rom cechi. Hanno dipinto un quadro eloquente di questa povera gente in coda davanti agli uffici di assistenza sociale britannici per chiedere i sussidi sociali gentilmente concessi dai contribuenti britannici con il loro duro lavoro. Nonostante la tempesta politica, il governo ha mantenuto la calma. Ha introdotto misure di protezione contro il percepimento indebito dei sussidi, ma ha consentito l’ingresso in Gran Bretagna per lavoro a tutti i cittadini dei nuovi Stati membri. Qual è la situazione a due anni di distanza? Vi racconto questa esperienza nazionale per l’ampio consenso che si è diffuso nel Regno Unito sul riconoscimento che i lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri siano di grande beneficio per il Paese, poiché occupano posti che sarebbero altrimenti rimasti vacanti e aumentano la flessibilità del mercato del lavoro, consentendo così all’economia nel suo complesso di continuare a crescere più rapidamente che negli altri grandi Stati membri dell’Unione.
Questo è il messaggio che la Commissione dovrebbe comunicare al resto dell’Europa. Naturalmente gli Stati membri hanno la facoltà di applicare le disposizioni transitorie, se lo desiderano. Ma vorrei parlare chiaro ai leader politici europei. Abbiate coraggio, mettete da parte le vostre paure. Siate contenti delle opportunità di cui ora, grazie all’allargamento, possono fruire tutti gli europei, come investire in un Paese e lavorare in un altro. Siate orgogliosi e traete vantaggio dalla grande energia, dal dinamismo e dal duro lavoro apportati dai cittadini dei nuovi Stati membri. Liberiamoci della mentalità secondo cui possiamo mantenere indefinitamente un sistema di “cittadini europei di seconda classe”. È un’idea indegna. Quale prova ci aspetta ora? La settimana prossima il Parlamento Europeo voterà, in prima lettura, la direttiva sui servizi. Al tempo stesso la Commissione esaminerà le modifiche del Parlamento Europeo per presentare successivamente una proposta rivista. Questa proposta deve tener conto delle preoccupazioni legittime e fondate, ma deve anche porre solide basi per il completamento del mercato unico dei servizi, così come è stato fatto per il mercato unico dei beni istituito negli anni Novanta.Non lasciamo che nessuno mai ripeta che il Parlamento Europeo è una tigre sdentata. Ha nelle sue mani il futuro di una legislazione cruciale per la creazione di nuove opportunità economiche e per una maggiore crescita in Europa. Nel lungo termine questa legislazione è essenziale per il nostro successo nella costruzione di un’economia di servizi basata sulla conoscenza: l’Europa deve puntare a questo obiettivo mentre giganti come la Cina si affermano come i nuovi laboratori industriali del mondo. Ma ai nostri legislatori vorrei dire due cose. Non rimettete in causa i Trattati che sono all’origine della vostra funzione: il principio della libera circolazione delle merci e della libertà di stabilimento delle imprese oltre i confini nazionali è uno dei principi fondatori del progetto europeo. E pensate anche ai vostri nipoti, alle loro prospettive, a quello che faranno per guadagnarsi da vivere e a quello che l’Europa sarà fra venti o trent’anni. Deve adattarsi per trarre vantaggio dalle nuove opportunità. Non votate contro il futuro. 
Altre prove sono legate a questioni più ampie di commercio e di concorrenza. Avrete notato che in Europa sono state lanciate alcune grandi offerte pubbliche di acquisto. Non è questa la sede per parlarvene in dettaglio. Ma la Commissione ha responsabilità importanti nel settore delle acquisizioni e delle fusioni e deve fondare il proprio giudizio su criteri economici trasparenti, senza lasciarsi trascinare dalle emozioni del nazionalismo economico e della difesa dei diritti acquisiti. Nel mio stesso ambito di competenza grandi difficoltà si frappongono all’apertura. Le denunce di pratiche commerciali sleali e le richieste di misure antidumping sono in continuo aumento. Quando sono legittime, devo agire per conto dell’Europa. Se infatti ignoriamo il commercio sleale, sarà più difficile difendere il libero scambio. Ma dobbiamo adottare un’impostazione equilibrata.
Inoltre, come sapete, la comunità mondiale sta entrando nella fase finale del ciclo di Doha. Da parte mia, ho difeso energicamente gli interessi dell’Europa. Nessuno otterrà dei vantaggi, ad eccezione di pochi produttori altamente competitivi, se continuiamo ad accordare sempre più concessioni commerciali in campo agricolo, senza che le grandi economie emergenti facciano la loro parte abbassando i dazi sui prodotti industriali e migliorando l’accesso agli investimenti nei servizi. Se, come spero, riusciremo a incoraggiare la presentazione di nuove, serie offerte di negoziato, l’Europa manterrà le promesse fatte nel settore agricolo e abbasserà ancora di più i dazi sui prodotti industriali. L’apertura economica al resto del mondo è infatti essenzialmente nell’interesse dell’Europa. Non dovremmo però confondere l’apertura con il liberismo economico sfrenato. Sono un socialdemocratico e credo nella legge di mercato, ma so perfettamente che la liberalizzazione dei mercati non serve automaticamente l’interesse pubblico. Sono a favore della libera circolazione dei lavoratori, ma non ritengo giusto che vi sia discriminazione fra la forza lavoro di uno Stato membro e i lavoratori migranti provenienti da altri Stati membri. I salari minimi e le condizioni minime nazionali devono essere rispettati ed è interessante che gli Stati membri in cui non esiste un salario minimo garantito per legge stiano ora discutendo se introdurlo. Questo non è protezionismo, ma giustizia. Nel caso della direttiva sui servizi, è necessario introdurre misure di protezione per i servizi pubblici. A mio parere, non è molto logico escludere completamente questi servizi dalla direttiva. Nella realtà i confini fra pubblico e privato stanno diventando sempre più elastici e questa tendenza va nella direzione giusta. Ma occorre che la direttiva preveda disposizioni specifiche per i servizi pubblici.
Riconosco inoltre che il cambiamento economico possa essere estremamente doloroso per i lavoratori che ne risentono in prima persona. Ci sono buoni motivi per sostenere la proposta della Commissione di istituire un Fondo Europeo di adeguamento alla globalizzazione e l’esigenza di una dimensione sociale moderna per completare la liberalizzazione del mercato in Europa. Ma dobbiamo stare attenti a non lasciare che l’esigenza legittima, in campi diversi, di predisporre misure di protezione, creare un equilibrio e prevedere un tempo di adeguamento dia adito a un populismo protezionista che, nel lungo termine, non farà che arrecare all’Europa un danno economico. Per questo, la Commissione deve mostrarsi ferma nell’esaminare le questioni obiettivamente e tenendo conto del più ampio interesse dell’Europa nel suo complesso. I Trattati ci impongono di agire in questo modo. Tale principio deve essere applicato alle nostre deliberazioni relative alla libera circolazione dei lavoratori, alle modifiche del Parlamento alla direttiva sui servizi, alle decisioni in materia di acquisizioni e alle questioni inerenti alla difesa commerciale. Si tratta di decisioni fondamentali per il futuro della Commissione Europea e per il futuro orientamento economico di tutta l’Unione. Dobbiamo prendere le decisioni giuste. Nient’altro è accettabile.

Contenuti correlati

VIDEO | Scuola di formazione politica 2019 “Conoscere per decidere”

Nuovo nazionalismo e globalizzazione

5 APR 2019

Mentre la società globale sta avanzando non possono essere trascurate le identità nazionali e culturali. Come realizzare questa sintesi?


ARTICOLO | Tema di “Atlantide” n. 38 (2016)

Globali, locali, innovativi e in rete. Le sfide per le ONG

NOV 2016 | Gianpaolo Silvestri

Non è più lo stesso di trent’anni fa, ma neanche quello di dieci anni fa: il mondo della cooperazione allo sviluppo è stato investito in pieno da un cambiamento radicale che lo ha costretto e lo costringe tuttora a rinnovarsi.


ARTICOLO | Intervista di "Atlantide" n. 6 (2006)

La globalizzazione ci renderà tutti uguali?

OTT 2006 | Suzanne Berger

Quali sono i fattori di successo in un’economia sempre più globalizzata? L’autrice di “How We Compete”, Suzanne Berger, ha condotto con altri ricercatori del MIT di Boston un’indagine su cinquecento aziende, anche italiane. Ecco una sintesi dei risultati

Clicca qui!