Intervista a Giorgio Vittadini.
Le persone sembrano sempre più sole, isolate, smarrite e, paradossalmente, anche più controllate. Come è possibile ricreare forme di partecipazione e iniziativa allo sviluppo individuale e civile?
Prima di tutto sapendo guardare quella scintilla che, di fronte a situazioni concrete, genera la voglia e la capacità di andare avanti, di rischiare, di costruire. Tutti sentiamo il bisogno di essere utili, di cogliere che il nostro contributo non è sostituibile. L’interesse collettivo non è un’idea astratta, ma una prospettiva generale, mutuata da esempi particolari che funzionano, nati dall’iniziativa personale di qualcuno che ha seguito il suo desiderio di bene comune.
Si sente sempre più spesso parlare di sostenibilità, ma con accenti diversi che riguardano l’economia, la società, l’ambiente. Che cosa significa esattamente?
“Sostenibilità” è il termine che da più di trent’anni si è cominciato a usare per affermare una cosa molto semplice: lo scopo dello sviluppo è il bene comune. Per questo non si possono continuare a trascurare equità e giustizia sociale, rispetto delle generazioni future e dell’ambiente. L’ONU ha fissato 17 Obiettivi di sostenibilità per il 2030. Papa Francesco richiama spesso alla necessità di cambiare il paradigma dello sviluppo perché la persona torni al centro, come protagonista e come destinatario.
E come può accadere questo? Come da un particolare che funziona, si può arrivare a cambiare un intero sistema?
Attraverso la diffusione di una cultura sussidiaria. Non può esserci sostenibilità senza sussidiarietà. Il grande impoverimento sociale e civile in cui viviamo può essere affrontato solo ritrovando la vitalità delle comunità di base, luoghi in cui le persone vengono aiutate a vivere una giusta dimensione ideale e sociale. 6Atlantide 2.2019 ISSN 1825-2168 Non c’è mai stato un momento come questo dove sia così necessaria la sussidiarietà. Ma la portata di questo principio è ancora più ampia.
Cioè?
Stiamo continuamente trovando interlocutori di diversa estrazione culturale che nella sussidiarietà vedono la strada maestra per creare percorsi di convivenza nelle società pluraliste e democratiche contemporanee. Diffondere una cultura sussidiaria è l’unica possibilità perché la partecipazione e l’esperienza delle persone possano tornare a incidere e perché siano difese le istituzioni democratiche. La sua particolarità è quella di creare valore immediatamente condiviso, di contribuire a rendere l’economia una scienza umana, innanzitutto rilanciando due strumenti fondamentali: la formazione e il lavoro.
Lavoro” è l’altra parola chiave del vostro villaggio e la grande emergenza del momento.
La carenza di lavoro, insieme alla sua precarizzazione, è il grande dramma di questi anni nelle società sviluppate. Colpisce i più fragili e i giovani. Bisogna comprendere che il lavoro, cioè la spinta e l’impegno a trasformare la realtà, è ciò che più ci fa scoprire chi siamo e che cosa stiamo a fare al mondo. Parlare di sviluppo senza occupazione (che significa profitto solo per pochi) è un attentato alla stessa dignità delle persone. L’iniziativa degli individui attraverso il lavoro è il motore di un sistema sussidiario.
Il secondo strumento, la formazione, è diventato cruciale anche per poter stare al passo con i cambiamenti nel mondo economico
È vero, lo sviluppo tecnologico impone in modo incalzante di adeguare conoscenze e soprattutto competenze, cioè richiede in primo luogo di imparare a imparare. Questo non significa asservire l’educazione all’economia, ma sapere “utilizzare” la potenzialità educativa della realtà, anche economica, così come ci è data in questo momento storico. Le eccellenze della formazione professionale presenti nel villaggio mostrano quanto il giusto mix di capacità educativa e passione per il lavoro sia in grado di far fiorire la personalità e le competenze anche di ragazzi che spesso vivono nel disagio.