La via sussidiaria per rispondere all'aumento dei bisogni, soprattutto connessi alla crescita della povertà e all'invecchiamento della popolazione. L'importanza della famiglia e dei corpi intermedi
UN NUOVO MODELLO DI WELFARE SUSSIDIARIO
Appena l’8% della popolazione mondiale vive nell’Unione europea, eppure questi Paesi consumano il 58% della spesa globale per il welfare. È un dato che deve farci riflettere. Di fronte a uno scenario caratterizzato da aumento dei bisogni, invecchiamento della popolazione, diminuzione della speranza di vita “buona”, crescita della povertà, non possiamo certo rinunciare all’idea del welfare universalistico, che è la grande conquista del nostro continente, ma dobbiamo sperimentare e diffondere nuovi modelli che puntino su forme di partenariato pubblico-privato e sulla sussidiarietà. Tutti ne parlano ma pochissimi la attuano davvero.
La sussidiarietà è entrata in Costituzione quasi 25 anni fa, ma ancora non è universalmente condivisa la convinzione che il welfare del nostro Paese vada gestito coordinando armoniosamente il pubblico e il non profit. C’è, innanzitutto, una resistenza che ha radici ideologiche “novecentesche”, ancorate a visioni che si contrappongono: da un lato fa tutto lo Stato, dall’altro fa tutto il Mercato. Entrambi questi sistemi hanno fallito e, negli ultimi vent’anni, in tutto il mondo, a partire dai 17 Obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile, si sta diffondendo una grande apertura sul tema della cooperazione. Nel nostro Paese, una spinta determinante in questa direzione c’è stata con il Codice del Terzo settore che, come chiarito dalla Corte Costituzionale, ha promosso l’introduzione della co-progettazione e della co-programmazione. Recentemente la Fondazione per la Sussidiarietà ha realizzato un’indagine per monitorarne il grado di applicazione in Lombardia, dalla quale è emersa una grande difficoltà a “mettere a terra” queste due pratiche perché la pubblica amministrazione è impreparata e intimidita dalla novità. C’è bisogno di far capire, in maniera diffusa, che questo principio può diventare una prassi amministrativa.
DEMOCRAZIA RIDOTTA E CORPI INTERMEDI
È necessario accompagnare questa innovazione, facendo formazione per dirigenti e funzionari della Pubblica amministrazione territoriale. Un altro pilastro del welfare italiano sono le famiglie. Lo sono perché contrastano la perdita demografica, supportano l’istruzione, si prendono cura di anziani e persone con disabilità. A differenza di quanto accade, ad esempio in Francia, le risorse messe a disposizione per le famiglie continuano a contrarsi. Inoltre, il nostro sistema prevede principalmente trasferimenti individuali di denaro e non servizi, producendo sprechi e inefficienze. Esiste, infine, uno stretto legame tra qualità del welfare e vitalità della democrazia.
Purtroppo si è ormai diffusa un’idea di democrazia “ridotta”, che è la democrazia del voto. Ma quello che distingue i sistemi democratici dalle cosiddette “democrature” (ad esempio, Russia e Turchia), è proprio la presenza dei corpi intermedi. Perché la vera democrazia si fonda sulla partecipazione dei corpi intermedi che, auto-organizzandosi, contribuiscono alla cura del bene comune. La politologa Nadia Urbinati ha ribadito in diversi studi come una democrazia caratterizzata da corpi intermedi liberi e vitali ha in sé gli anticorpi per contrastare l’emergere del populismo. Invece, in Italia, negli ultimi vent’anni ha imperato una retorica della disintermediazione, che ha denigrato i corpi intermedi, propinando la visione di una leadership che si rivolge direttamente al popolo e decide rapidamente, evitando ritardi e possibilità di contradditorio. Ci siamo finalmente resi conto che una democrazia senza corpi intermedi non può funzionare e stiamo tornando indietro.