Dipende dai tipi di accreditamento delle attività e dalle tariffe per le prestazioni. Si tratta di due leve in mano al programmatore sanitario, cioè Stato e Regioni. Che possono affrontare il problema
È vero che le cliniche e gli ospedali privati accreditati scelgono le loro attività in base alla loro redditività, e tendono a specializzarsi negli interventi che hanno tariffe di rimborso più elevate?
I fenomeni che possono produrre effetti di selezione della casistica sono almeno due: l’accreditamento delle attività ospedaliere e le politiche di rimborso delle prestazioni erogate, in un contesto più generale che ha a che fare con le scelte di programmazione sanitaria sia a livello nazionale che a livello regionale/locale. Vediamo in dettaglio entrambi gli argomenti, anticipando la conclusione che chi scrive ritiene che il fenomeno della selezione dei pazienti esiste ma che sia affrontabile e superabile (o almeno attenuabile) con opportuni interventi di programmazione sanitaria.
IL RIMBORSO DELLE PRESTAZIONI
Cominciamo dal tema dei rimborsi economici delle prestazioni perché è la caratteristica che sta alla base (insieme alle logiche generali di investimento che un imprenditore può seguire e che non saranno qui esaminate) delle scelte di accreditamento del settore privato che opera in modalità “profit”.
Sistema Sanitario Nazionale:
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Sono varie e diversificate nelle regioni le modalità con cui vengono finanziate le strutture pubbliche, compreso l’obbligo del ripiano di un eventuale deficit che nel caso viene messo a carico del bilancio regionale. Non è così per il privato accreditato che viene invece finanziato (rimborsato) a prestazione, attraverso il ricorso a tariffe predefinite per le diverse attività, eventualmente integrato da argomenti più generali come budget, tetti di spesa, pagamento di funzioni, e così via. La tariffa delle prestazioni di ricovero e di quelle di
specialistica ambulatoriale è però la moneta di scambio principale nei rapporti tra il privato accreditato ed il Ssn.
ALCUNI ESEMPI
A titolo di esempio la tabella che segue riporta le tariffe di rimborso di alcune attività di ricovero (DRG) in un campione di regioni italiane. Alcune di esse hanno adottato la tariffa nazionale, altre si distinguono perché hanno adottato una tariffa diversa, a volte maggiore altre volte inferiore, rispetto a quella nazionale. Si è creato così un contesto nel quale la stessa (almeno così si immagina) prestazione di ricovero viene rimborsata con una tariffa differente il che, nella ragionevole ipotesi che alla stessa prestazione corrisponda un analogo costo (consumo di risorse), costituisce la base per una diversa redditività della attività erogata. E lo stesso si verifica per le prestazioni di specialistica ambulatoriale, perché alcune regioni hanno adottato il tariffario nazionale mentre (sempre in termini di valore economico della prestazione erogata) altre si sono differenziate adottando tariffe di rimborso diverse, ed anche per queste attività a volte con valori superiori ed altre con valori inferiori a quelli nazionali.
Tabella 1. Tariffe di rimborso di alcune prestazioni di ricovero (DRG).
TARIFFE E REDDITIVITÀ
Le differenze tariffarie, a parità di prestazione erogata e quindi a presumibile parità di costo, rappresentano una opportunità (o disopportunità) per chi, come il privato che vuole accreditarsi, può scegliere il luogo dove fare i propri investimenti (aprire strutture). La tabella che precede veicola però anche un secondo messaggio in termini di tariffe. Alcune prestazioni, in ragione della loro verosimile maggiore complessità (cioè maggior impegno di risorse per erogare le attività, maggiori costi) hanno delle tariffe più elevate di altre.
Sono più redditive? Dalla sola osservazione della tariffa non lo si può dire perché bisognerebbe conoscere i costi che sono connessi alla erogazione di tali prestazioni.
PARAMENTRI IMPORTATI DAGLI USA
Per costruire una risposta sensata a questo quesito occorre innanzitutto ricordare che le tariffe in vigore nel nostro paese (sia quelle dei ricoveri che quelle delle prestazioni ambulatoriali) non sono frutto di una analisi di costo effettuata sulle attività erogate in Italia ma sono una trasposizione, con alcune modifiche poi introdotte dalle regioni (vedi tabella) di analisi condotte in altri paesi (Stati Uniti, ad esempio). La struttura dei costi, pertanto, utilizzata per la valutazione delle risorse necessarie per svolgere una determinata attività, e le conseguenti tariffe, si può discostare in maniera anche rilevante dalla struttura dei costi derivante dalla erogazione della stessa attività nel nostro paese. Con criteri vari, poi, nel tempo le regioni hanno aggiornato le tariffe, a volte allargando altre volte stringendo lo iato esistente tra costo e tariffa. Ne deriva necessariamente la presenza di attività più redditive e di altre meno redditive (o addirittura passive). Non è il valore della tariffa che fa la redditività della prestazione bensì è la differenza tra la tariffa ed il costo di erogazione, costo che non emerge dalla tabella citata.
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CHIRURGIA BATTE CURE MEDICHE
Dalla osservazione delle pubblicazioni di merito di chi ha provato ad affrontare il problema in Italia e dalla valutazione delle attività erogate dal privato accreditato si ricavano alcune indicazioni:
- il fenomeno della diversa redditività delle prestazioni sanitarie è reale, anche se non tutti gli studiosi identificano necessariamente le stesse prestazioni e le stesse redditività (in termini numerici)
- la redditività sembra riguardare maggiormente le attività chirurgiche e non quelle mediche
- la redditività è più concentrata in alcune specialità (ortopedia, riabilitazione post-acuta, ad esempio) e meno presente (o assente) in altre (psichiatria, ad esempio). In altre parole, le attuali tariffe (e le loro variazioni regionali) delle attività sanitarie sia di ricovero che di specialistica ambulatoriale presentano esempi di redditività ed esempi di passività. Questa situazione costituisce il presupposto perché chi ha possibilità di investire possa scegliere le attività su cui investire: da questo punto di vista non sorprende che chi lavora in ottica “profit” decida di investire nelle attività più redditizie. Se non ci fossero attività redditizie, o più redditizie, se ci fosse perciò una politica tariffaria dove le attività o non hanno redditività o dove la redditività è costante, verrebbe a mancare il presupposto principale per selezionare solo talune attività rispetto ad altre. Ma anche se si volesse mantenere un diverso livello di redditività tra differenti attività sempre usando lo strumento tariffario si può adottare una politica sulle tariffe che porti a valorizzare quelle attività che la programmazione nazionale/regionale ritiene debbano essere privilegiate (esempio: screening, prevenzione, attività salva vita…) e non quelle che apparirebbero preferite dal mercato. Sono solo esempi, quelli appena riportati, per indicare che poiché la tariffa può generare redditività che costituiscono il presupposto per attività di investimento, se si vuole evitare (o ridurre) la possibilità che qualcuno agisca selezionando specifiche attività occorre elaborare una politica tariffaria che elimini o riduca il più possibile questo presupposto ovvero lo indirizzi esplicitamente verso obiettivi definiti dalla programmazione.
ANALISI DEI COSTI. QUANDO?
Naturalmente si può sempre considerare l’opportunità di adottare sistemi di finanziamento o rimborso delle attività diverse dal pagamento a prestazione, ma questa alternativa da quando oltre 25 anni fa è stato introdotto il pagamento a prestazione non è mai stata seriamente esplorata ed anche attualmente non sembra all’orizzonte. L’unico tentativo di cui si ha notizia è stato quello di rilevare dati di costo e consumo di risorse italiani (anziché utilizzare quelli stranieri) sul presupposto che a partire da tali informazioni dovrebbe essere possibile costruire un tariffario delle prestazioni più aderente alla realtà del nostro paese, ma al momento tale tentativo non sembra aver sortito qualche esito.
L'ACCREDITAMENTO DELLE STRUTTURE
La leva tariffaria, però, come si diceva più sopra, è solo uno degli elementi che entrano in gioco nel fenomeno della selezione della casistica: l’altro fattore sostanziale è l’accreditamento. In sanità l’accreditamento è un processo con il quale l’ente competente (Regione, ASL) riconosce alle strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, la possibilità di erogare prestazioni e servizi per conto del Servizio sanitario nazionale. Il privato quindi, se vuole erogare attività che saranno poi rimborsate dal Ssn si deve accreditare presso l’ente programmatore: una volta accreditato può svolgere per conto del Ssn (e quindi con il relativo rimborso nelle modalità indicate in precedenza) solo le attività per le quali ha ricevuto accreditamento. E’ evidente pertanto che se un privato si accredita per fare ricoveri in una specialità, esempio ortopedia, non lo si può poi accusare di avere selezionato le attività (ricoveri) di ortopedia.
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Diventa pertanto fondamentale il ruolo del programmatore sanitario (in genere la Regione) che accreditando attività permette al soggetto accreditato di svolgerle per conto del Ssn. L’accreditamento istituzionale è condizione necessaria per erogare con rimborso da parte del Ssn, ma l’ente accreditante non è obbligato a soddisfare ogni richiesta di accreditamento: ci si attende che vengano accreditate quelle attività che l’ente programmatore ritenga necessarie per il Ssn in un determinato territorio.
Non è questo il luogo per entrare nei dettagli delle modalità con cui le strutture (ed in particolare quelle private) vengono accreditate e nemmeno nei criteri usati dagli enti di programmazione per decidere quali attività accreditare, ma è evidente che se una regione accredita N posti letto di cardiochirurgia nel privato e 0 posti letto di psichiatria non ci si può poi lamentare che il privato accreditato faccia solo le attività cardiochirurgiche e non quelle psichiatriche. Da questo punto di vista, un ruolo importante nel definire la casistica che si vuole accogliere nella propria struttura accreditata è la presenza, o meno, del pronto soccorso e delle strutture per l’emergenza-urgenza.
CHI HA IN MANO IL PALLINO?
Il pallino di quella che con discutibile terminologia è stata chiamata selezione della casistica è quindi in mano al programmatore regionale che ha almeno due leve su cui può agire: la politica tariffaria e la politica di accreditamento. A questi due fattori principali se ne aggiungono altri che hanno un effetto sicuramente minore per quanto difficile da valutare.
Ad esempio, un effetto di attrazione o di repulsione di casistica è giocato, come si è accennato, dalla presenza o assenza del pronto soccorso, così come un effetto di selezione è giocato dalla rete di professionisti e strutture che indirizzano i pazienti.
Mentre sull’eventuale effetto di selezione giocato dalla rete di professionisti e strutture che indirizzano i pazienti non si hanno specifiche informazioni, sulla presenza (o meno) del pronto soccorso alcune notizie sono disponibili: ad esempio, secondo una indagine dell’Anaao (Florianello F, e coll: Il sovraffollamento dei pronto soccorso: analisi e prospettive di rete pubblico/privato, 3.7.2023) svolta a livello nazionale sui servizi di emergenza e urgenza e sul contributo dato dalle strutture pubbliche e da quelle accreditate in termini di posti letto messi a disposizione e numero di accessi, risulta che il privato accreditato possiede il 40,4% delle strutture ospedaliere per acuti cui corrisponde il 23,4% dei posti letto, ma effettua solo il 9,7% degli accessi in DEA/PS (il 90,3% di tali accessi viene infatti realizzato dal pubblico).
E si potrebbe continuare con gli esempi, ma gli argomenti riportati costituiscono di sicuro gli elementi di maggiore rilevanza.
CONCLUSIONE
Tutto ciò premesso, cosa si può concludere a proposito dell’idea che il privato accreditato selezionerebbe la casistica? In quanto precede si sono fornite le ragioni principali (tariffe delle prestazioni e accreditamento istituzionale delle strutture) che fanno in modo che il privato accreditato possa accogliere nelle proprie strutture solo alcune attività sanitarie e non tutte, ed in particolare attività che con molta probabilità sono caratterizzate da una potenziale redditività economica. Il fenomeno selettivo presenta una certa variabilità all’interno del comparto ospedaliero accreditato ed interessa in maniera sicuramente diversificata le singole strutture come risulta dal fatto che molte strutture private accreditate rappresentano un’eccellenza nel panorama sanitario nazionale, hanno grande dimensione (posti letto, reparti, e ricoveri), sono dotate di strutture di emergenza-urgenza di alto livello (DEA/PS), producono una casistica con elevato indice di case-mix (cioè fanno in maniera rilevante attività piuttosto complessa) e risultano al top anche nelle valutazioni di esito prodotte (ad esempio) da Agenas in tanti settori, tutti aspetti che poco hanno a che fare con l’effetto di selezione dei pazienti di cui si sta discutendo. La selezione è probabilmente più caratteristica delle strutture meno grandi e meno complesse, e si tratta di capire se sia una conseguenza di una visione distorta della attività sanitaria ovvero la presa d’atto di opportunità offerte dalle due precise scelte del programmatore regionale e nazionale (e quindi del Ssn): la politica tariffaria e la politica di accreditamento.
Se si ritiene che il fenomeno della selezione della casistica sia un elemento negativo per il Ssn, e questo è il pensiero di larga parte dei commentatori, la sua eliminazione, o almeno la sua limitazione, è un intervento del tutto possibile perché, come si è qui documentato, trova la sua principale origine nella politica tariffaria ed in quella di accreditamento: si tratta di richiedere al programmatore sanitario (nazionale, regionale) di intervenire su queste due politiche con attività mirate allo specifico scopo di eliminare (ridurre) la selezione dei pazienti. Le possibilità e gli strumenti ci sono e le soluzioni tecniche sono molteplici: si tratta di avere la volontà (politica?) di metterle in azione.