Welfare > Sanità
Dal criterio della "spesa storica" alla attuale "quota capitaria"

Il fondo sanitario nazionale
e il suo riparto tra le regioni

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Il fabbisogno annuale è stabilito in base ai Lea (livelli essenziali di assistenza) da erogare. La suddivisione territoriale avviene in base ai costi standard e a certe caratteristiche della popolazione. Ma i criteri cambiano sempre

L’argomento che fa da sfondo a tutti i ragionamenti sul Servizio sanitario nazionale (Ssn) è il suo finanziamento, da tutti (senza alcuna eccezione: persino il Ministro) considerato insufficiente. Ma quanti, esclusi gli addetti ai lavori in senso stretto, conoscono effettivamente cosa c’è dietro il Fondo sanitario nazionale (Fsn) ed il suo riparto alle Regioni? In questo contributo proviamo a fare un po’ di chiarezza, partendo come al solito dall’inizio.

Il passaggio fondamentale della storia, senza arrivare ad Adamo ed Eva, va collocato all’inizio di questo secolo quando da una parte viene varato il D.Lgs. 56/2000 e dall’altra viene superato il metodo di finanziamento cosiddetto “a spesa storica” per passare al metodo cosiddetto “a quota capitaria”. Vediamo i dettagli così come risultano ad oggi.

LA DEFINIZIONE DEL FONDO SANITARIO NAZIONALE

Con una legge dello Stato viene definito annualmente quello che si chiama il  “fabbisogno sanitario nazionale standard”, o più volgarmente il fondo sanitario. Questo fabbisogno è il livello complessivo di risorse che lo Stato italiano mette a disposizione per finanziare il Ssn. Questo fabbisogno ha dei vincoli concettuali in quanto deve essere determinato “in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria”. La definizione quantitativa di questo fabbisogno richiede inoltre un passaggio amministrativo importante che coinvolge le regioni attraverso quella che si chiama una “intesa” tra lo Stato e le Regioni. Non solo. Sempre dal punto di vista concettuale la definizione del fabbisogno standard deve essere coerente con il “fabbisogno derivante dalla determinazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) erogati in condizioni di efficienza ed appropriatezza”. Così è il dettato normativo.

 

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In apparenza sembrerebbe di essere di fronte ad un percorso tecnico ben preciso: a) c’è un quadro macroeconomico complessivo definito, b) ci sono vincoli di finanza pubblica, c) ci sono obblighi assunti in sede comunitaria, d) bisogna erogare i Lea in condizioni di efficienza ed appropriatezza. Inoltre occorre che le Regioni siano d’accordo. Dati questi elementi sembrerebbe infatti che la determinazione quantitativa del fabbisogno discenda come facile operazione matematica: dati a, b, c e d ne consegue un Fsn di X.

 Niente di più lontano dalla realtà perché a, b, c e d sono concetti generali da tenere presente, sono ragionamenti che possono esitare in valori numerici molto diversi tra di loro, portano con sé scelte di prospettiva e visioni del futuro, per cui, all’atto pratico, la decisione finale quantitativa non è altro che una decisione politica, del parlamento, così come politica è la definizione annuale del Documento di economia e finanza (Def).

Certo, con tanti approcci, metodi, strumenti, si può discutere la scelta politica, ma rimane il fatto che in ultima analisi la definizione quantitativa del Fsn è e rimane una decisione politica. Se si guarda la letteratura di merito si trovano proposte di algoritmi che cercano di oggettivare la definizione del Fsn, attraverso l’utilizzo di variabili che si propongono di interpretare il valore dei termini a, b, c, d (o altri) che è opportuno considerare, ma nel nostro paese questi percorsi (la cui validità ed applicabilità deve essere ovviamente discusa) non sono mai stati presi in seria considerazione.

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E quanto vale il fabbisogno sanitario nazionale? A titolo di esempio citiamo la legge di bilancio del 2022 (L. 234/2021), che ha fissato in 124.061 milioni di euro il fabbisogno del 2022, in 126.061 milioni quello del 2023, ed in 128.061 milioni quello del 2024. Queste risorse, con l’aggiunta di alcune quote per specifici obiettivi, rappresentano il finanziamento complessivo che lo Stato mette a disposizione del Ssn per la sanità pubblica e quella privata accreditata. A queste quote devono poi essere aggiunte da una parte quelle che vengono chiamate le “entrate proprie” degli Enti del Ssn, vale a dire i ticket ed i ricavi derivanti dalla attività intramoenia dei propri dipendenti, e dall’altra il cosiddetto payback dei dispositivi medici.

DA COSA È COMPOSTO IL FSN

L’architettura istituzionale che ha costruito la composizione del Fsn si trova nel D.Lgs. 56/2000, che ha previsto un sistema di finanziamento basato sulla capacità fiscale regionale (anche se poi viene corretta da alcune misure perequative), ed ha stabilito che alla costituzione del Fsn concorrono l’Irap (Imposta regionale sulle attività produttive), l’addizionale regionale all’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) e la compartecipazione all’Iva (Imposta sul valore aggiunto). In dettaglio, le fonti che partecipano a costituire il fondo sanitario sono tre:

  • la fiscalità generale delle regioni attraverso l’Irap (nella componente di gettito destinata alla sanità) e l’addizionale regionale all’Irpef, con aliquote di compartecipazione rideterminate annualmente;
  • la compartecipazione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Bolzano e Trento;
  • il bilancio dello Stato attraverso l’Iva.

 

A queste tre fonti si devono aggiungere quelle voci che abbiamo identificato in precedenza con il termine “entrate proprie” degli Enti del Ssn (ticket ed intramoenia) ed il payback dei dispositivi medici (cioè quel meccanismo secondo il quale a fronte di una spesa in eccesso delle regioni per dispositivi medici le aziende del comparto sanità restituiscono un importo pari al 50% dell’eccesso).

Una volta deciso politicamente il livello del finanziamento di un determinato anno, la sua costruzione a partire dalle fonti indicate segue un percorso normativo definito, così che da una parte ogni regione conosce le quote che deve mettere a disposizione, e dall’altra lo Stato sa quanto deve integrare. I dettagli del calcolo sono complessi e subiscono continui interventi di aggiustamento, ma la sostanza è quella che abbiamo indicato.

IL RIPARTO DEL FSN TRA LE REGIONI

Stabilito il livello del Fsn per un dato anno si tratta poi di ripartirlo tra le regioni. La metodologia generale che da oltre un ventennio si utilizza prende il nome di “quota capitaria pesata”. Vediamo in dettaglio come risulta ad oggi.

Il percorso, grosso modo, si compone di due fasi. In un primo momento vengono definiti gli “obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale”, per i quali all’interno del Fsn vengono previste sia specifiche quote che le modalità della loro distribuzione alle regioni ed agli enti interessati diversi dalle regioni, nonché le quote vincolate in favore delle Regioni e delle Province Autonome. A titolo di esempio, per l’anno 2022 a fronte di un importo complessivo del Fsn stabilito in 125.980 milioni di euro, l’insieme delle quote ripartite con specifici criteri in questa prima fase ammonta a 6.255,84 milioni di euro, il che lascia un residuo di 119.724,16 milioni di euro da ripartire con criteri di tipo generale.

Questa quota rimanente prende spesso il nome di “finanziamento indistinto”.

In un secondo momento si agisce sul finanziamento indistinto, identificando innanzitutto una serie di capitoli ciascuno dei quali obbedisce ad una propria logica di riparto: questi capitoli per il 2022 assommano a 2.311,03 milioni di euro, lasciando così liberi 117.413,13 mln di euro (sempre per il 2022). Questa quota è infine suddivisa in base ai LEA riconoscendo in tale valore due componenti: il 85% (corrispondente nel 2022 a 99.804,56 mln di euro) da suddividere sulla base della metodologia dei costi standard (art. 27 del D.Lgs. 68/2011); il 15% (17.612,57 mln euro per il 2022) da suddividere sulla base della distribuzione della popolazione residente al 1 gennaio 2021.

A questo punto il ciclo di riparto termina specificando i criteri per la suddivisione di ciò che è rimasto del fondo indistinto (117.413,13 mln euro), criteri che sono indicati nella tabella che segue per ciascuno dei livelli e sottolivelli di assistenza.

Tabella 1. Anno 2022: Criteri di riparto del Fsn secondo i livelli e sottolivelli di assistenza.

 IL FINANZIAMENTO DEL SSN E IL SUO RIPARTO TRA LE REGIONI

Poiché tra i criteri si parla di popolazione pesata, la tabella 2 riporta per la componente distrettuale e per la componente ospedaliera i pesi da applicare per calcolare la popolazione pesata, pesi che sono ricavati dall’andamento nazionale per età dei consumi di specialistica e di ricoveri ospedalieri.

Tabella 2. Anno 2022: Pesi da applicare alla distribuzione per età delle popolazioni regionali per il riparto del Fsn secondo il sottolivello della assistenza specialistica e per il 50% del livello di assistenza ospedaliera.

Come si vede si tratta di un meccanismo piuttosto complesso dove, per semplicità, abbiamo omesso (perché poco rilevanti) tutta una serie di dettagli che si trovano nei documenti finali approvati e disponibili nel web (esempio: “Intesa …concernente il riparto tra le regioni delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario regionale per l’anno2022”).

A titolo di esempio la tabella 3 riporta per tutte le regioni e per macrovoci la sintesi del riparto della quota di finanziamento indistinto per l’anno 2022.

Tabella 3. Anno 2022: Risultati del riparto per regioni della parte di finanziamento indistinto del Fsn secondo i livelli di assistenza.

IL FINANZIAMENTO DEL SSN E IL SUO RIPARTO TRA LE REGIONI

L’intero percorso fa capire anche perché la metodologia prende il nome di “quota capitaria pesata”, in quanto la base fondamentale del riparto è la popolazione (quota capitaria), ma per alcune voci (tabella 2) il peso di ogni cittadino è diverso da 1 perché è funzione dell’età: la popolazione anziana, ad esempio, pesa di più di quella più giovane.

Al di là dei dettagli tecnici, complessi e articolati per via degli innumerevoli interventi amministrativi (con tante tipologie di norme) che si sono succeduti in questi anni, e che lasciamo ai pochi funzionari dei Ministeri e delle Regioni che ogni anno fanno praticamente i conti, se vogliamo sintetizzare il percorso dobbiamo dire che si devono affrontare tre tipologie di problemi: 1) la determinazione complessiva del fondo, 2) la definizione delle numerose attività per le quali sono previste specifiche risorse (e relativi criteri distributivi), 3) la individuazione dei criteri generali per il riparto della quota indistinta del fondo.

TEMI DI DISCUSSIONE

Proviamo ad evidenziare gli elementi di discussione che maggiormente caratterizzano le tre aree.

1. La determinazione del fondo

Si è già detto che si tratta di una questione esclusivamente politica in quanto attiene alle modalità con cui il Governo (e poi il Parlamento) decide di gestire le risorse (tasse e altro) dello Stato. A risorse costanti, aggiungerle ad un settore vuol dire necessariamente toglierle ad un altro (o ad altri): da qui la decisione politica, nel senso di politica programmatoria.

I motivi che portano a dire che il Fsn è sottostimato sono sostanzialmente di due tipi: da una parte il confronto con le risorse messe a disposizione in altre nazioni (ed il confronto avviene prevalentemente con le altre nazioni europee), dall’altra il confronto con la spesa reale che è risultata sempre superiore alle disponibilità. Entrambi i motivi sono discutibili e meritano di essere esaminati.

Il confronto internazionale è certamente interessante ma non tiene conto del fatto che i servizi garantiti, le tutele, le prestazioni erogate, e tutto quello che fa parte di un servizio sanitario nazionale , compresa la differente quota di sanità coperta dal sistema pubblico e da quello privato, non è uguale nei differenti paesi. In altre parole, con il termine Fsn si “acquistano” (ci si passi il termine commerciale) cose diverse e risulta quindi difficile interpretare qualsiasi paragone. Se una nazione, ad esempio, spende 3.000 euro pro-capite in sanità ed un’altra ne spende 3.500, al di là del fatto ovvio che 3.500 è maggiore di 3.000 risulta spesso difficile (se non impossibile) capire se con quelle risorse si comperano le stesse attività o attività diverse, e se sia giusto spendere 3.000 piuttosto che 3.500. Non solo. L’investimento in sanità è notoriamente legato alla ricchezza (esempio: PIL pro-capite) di un paese, e più un paese è ricco e maggiore è la sua spesa sanitaria (esempio: spesa pro-capite). A tutti piacerebbe investire in sanità quello che investono i paesi più ricchi ma in realtà non è così perché i dati dimostrano (ne parleremo in un prossimo contributo) l’esistenza di una buona relazione tra ricchezza e spesa sanitaria.

Anche legare il Fsn al PIL, come molti propongono (esempio: Fsn = 7% del PIL) può essere un azzardo perché se in un fase di espansione economica (aumento del PIL) il Fsn sarebbe in aumento, ad una diminuzione del valore del PIL (come successo in questi anni di pandemia, e prima ancora a seguito della crisi economica) dovrebbe necessariamente conseguire una riduzione del fondo, operazione non facile da digerire e sicuramente difficile da gestire.

La spesa sanitaria reale. E’ vero che la spesa reale è sempre risultata superiore al Fsn. In un precedente contributo (“Ssn: ma quanto ci costi”) a titolo di esempio avevamo già indicato che la differenza tra Fsn e spesa in questi anni ha registrato un deficit che è passato dai 609 mln di euro del 2012 ai 2.164 del 2020 ed ai 5.773 del 2021, ma anche il principio della spesa ha i suoi difetti perché bisognerebbe dimostrare che niente di quello che in essa è contenuto sia classificabile come inappropriato, inopportuno, superfluo, inefficiente, e così via, cioè qualcosa che in realtà non doveva (o poteva non) essere speso. Basta pensare alla inapropriatezza (si veda il precedente “Sanità. Ricoveri inappropriati: quanti sono e come limitarli”), alla medicina difensiva (il cui impatto è stimato in qualche decina di miliardi di euro), alle ripetute polemiche sui differenti prezzi di acquisto degli stessi dispositivi nei diversi territori, e l’elenco di queste spese su cui discutere diventerebbe presto corposo.

Il percorso più adeguato per la definizione del Fsn (o per identificare la quota di sottofinanziamento) sarebbe quello di passare attraverso una analisi quantitativa dei bisogni che il Fsn deve coprire, ma come abbiamo già anticipato tutte le metodologie proposte in letteratura sull’argomento non hanno riscosso nel nostro paese la attenzione dovuta o sono state rifiutate. Spie di bisogni non soddisfatti che sarebbero indicatori di sottofinanziamento ci sono, anche se ciascuna di loro ha difetti specifici che andrebbero esaminati a fondo. E’ il caso, ad esempio, del tema delle lunghe liste di attesa per diverse prestazioni, per la cui soluzione uno degli strumenti proposti è proprio l’aumento delle risorse. E’ il caso, anche, delle prestazioni che per diversi motivi stanno uscendo dal Ssn verso il privato non accreditato. E’ il caso, ancora, delle riconosciute difficoltà di alcune regioni ad erogare i Lea. E la lista degli esempi delle diverse spie di sottofinanziamento del Fsn potrebbe continuare a lungo, così come molto diverse sono le stime quantitative del sottofinanziamento. Ad oggi, ad esempio, sembra esserci una concordanza di vedute tra Governo e Regioni che tale stima si aggiri attorno a 4-5 miliardi di euro all’anno, ma sono molti i tecnici e le organizzazioni (enti, istituti, società, …) che vedono l’asticella dell’equilibrio molto più in alto (qualche decina di miliardi).

Resta il fatto, alla fin fine, che la discussione attorno al livello del finanziamento del Ssn, per quanto sollecitata da interventi di molti soggetti, rimane sostanzialmente in mano alla politica, come è giusto che sia, anche se questa può essere aiutata da argomenti tecnici di diversa natura.

2. Attività con risorse dedicate

Come in tutti i sistemi complessi, anche nel Ssn è possibile identificare obiettivi ed attività che meritano (o necessitano) di essere trattati/e in maniera specifica e peculiare. Gli esempi sono tantissimi e dettagliati nei documenti che definiscono il Fsn e non ha senso elencarli qui, però qualche esempio può servire: 746 mln per l’acquisto di farmaci innovativi, 39,71 mln per gli accertamenti diagnostici neonatali obbligatori, 3.953,61 mln vincolati in favore delle Regioni e delle Province Autonome, 974,31 mln vincolati in favore di altri Enti, 4,39 mln per la fibrosi cistica, 50 mln per le patologie connesse alla dipendenza da gioco d’azzardo, 186 mln per l’acquisto di vaccini ricompresi nel nuovo

Piano nazionale vaccini, 105 mln per la proroga delle Usca, e così via. Si tratta sempre di poste definite da qualche atto normativo, anche se il loro inserimento nel Fsn (e gli atti che lo determinano) a volte provengono da azioni di lobbing che possono risultare discutibili.

3. I criteri generali di riparto della quota indistinta

Essendo la quota indistinta la parte largamente più rilevante e corposa del Fsn (117 miliardi per il 2022), è naturale che la discussione sui criteri da adottare per il suo riparto tra le regioni è quella che ha sempre attratto l’interesse maggiore ed ha raccolto i contrasti più significativi. Diciamo subito che questa partita interessa solamente le regioni, e che gli organi centrali (ministeri) agiscono solo da osservatori e controllori che la partita venga giocata secondo regole condivise e senza prevaricazioni.

In questi oltre 20 anni di riparto i criteri sono continuamente cambiati nel tempo. Sono stati di volta in volta aumentati di numero o diminuiti, ma lo spirito con cui ogni singola regione ha affrontato la discussione è sempre stato lo stesso: proporre criteri (e relative motivazioni e giustificazioni) per spostare l’ago della bilancia (cioè il riparto) a proprio favore, salvo poi adottare misure compensative al fine di arrivare ad una intesa, senza la quale non si procede alla distribuzione del finanziamento. Ad esempio. Attribuendo un peso più elevato agli anziani si spostano risorse in favore delle regioni che hanno popolazioni più vecchie e si penalizzano quelle più giovani.

Introducendo il criterio della mortalità infantile, a seconda dei pesi che si scelgono si spostano risorse verso chi ha la mortalità più alta ovvero più bassa. E lo stesso si verifica introducendo il criterio della deprivazione, che a seconda dei pesi porta a privilegiare le regioni meno ricche o quelle più ricche. Anche non introdurre alcun peso può essere criticabile soprattutto se viene riferito ad attività che non sono svolte omogeneamente nella popolazione.

Al termine della discussione il metodo viene per forza condiviso (è richiesta l’intesa per dare il via pratico alla suddivisione delle risorse), ma ciò non implica che i firmatari dell’intesa (cioè tutte le regioni) siano d’accordo. Infatti, a conclusione di ogni ciclo di riparto si assiste alla tipica manfrina dove ogni regione lamenta di essere stata penalizzata o non sufficientemente valorizzata, perché anziché il criterio X si è scelto di utilizzare il criterio Y, e promette di dare battaglia affinché nel prossimo ciclo di riparto i criteri siano modificati. Chi scrive ha partecipato attivamente a questo circo per almeno 15 anni e potrebbe raccontare una infinità di particolari aneddotici a dimostrazione sia degli innumerevoli contrasti che la discussione ha registrato sia della relativa forza, o debolezza, delle ragioni di volta in volta portate a sostegno ovvero a contrasto di un determinato criterio di riparto.

La tabella 1 riportata in precedenza dà conto dei criteri di riparto utilizzati per il 2022, ma (a dimostrazione di quanto appena detto) è già stato approvato un atto (decreto 30 dicembre 2022: definizione dei nuovi criteri e dei pesi relativi per la ripartizione del fabbisogno sanitario nazionale standard) che modifica per il 2023 i criteri da utilizzare per il riparto.

Premesso quindi che i criteri di riparto per il 2023, giusti o sbagliati, sono già stati definiti e concordati tra le regioni; che le attività con risorse dedicate, salvo interventi solitamente marginali dell’ultima ora, sono già state stabilite attraverso le diverse norme in vigore; rimane aperta solo la questione relativa alla determinazione del valore quantitativo del fondo, che essendo questione sostanziale di natura prevalentemente politica ha visto in questi mesi inasprirsi il dibattito tra le parti, riportando l’attenzione sulla sanità in unprovvedimento (la legge di bilancio) di solito dominato da altri protagonismi.

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