Come liberali, social-comunisti e cattolici hanno realizzato il compromesso costituzionale, rinunciando a pretese egemoniche. Non solo norme ma princìpi e linee programmatiche. La centralità del lavoro essenziale per la democrazia
La prima sessione di lavoro della Scuola di formazione politica 2025 ha avuto per tema “La Costituzione italiana: culture politiche e disegno istituzionale”. La lezione di Lorenza Violini, Professoressa di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano, e poi gli interventi di Benedetta Vimercati, professoressa associata di Diritto costituzionale nell’Università degli Studi di Milano, e Luca Vanoni, ricercatore confermato di diritto costituzionale comparato nell'Università degli Studi di Milano e docente di diritto anglo-americano, hanno illustrato “Il confronto tra le grandi visioni politiche e il loro radicamento nella Carta. Il dibattito che ha portato alla definizione degli articoli più emblematici”.
Ecco alcuni appunti, non rivisti dagli autori, che propongono una sommaria panoramica.
LA VIRTÙ DEL DIALOGO
LORENZA VIOLINI ha iniziato ricordando l’importanza della formazione, appena liberata Roma, del governo Bonomi (8 giugno 1944), espressione del Comitato di Liberazione Nazionale, primo passo verso la costruzione dell'identità politica italiana del dopoguerra. Le istituzioni riprendono vita con un atto formale che merita di essere ricordato: il decreto legislativo n. 151 del 25 giugno 1944. Si tratta di un decreto molto importante. in quel momento, non esistevano ancora istituzioni strutturate: l'Italia usciva dalla guerra, il Paese era completamente distrutto e tutto era da ricostruire. Quel Decreto rappresenta ciò che chiamiamo "Costituzione provvisoria", base per il percorso che avrebbe condotto alle elezioni del 2 giugno 1946 e, successivamente, al lavoro dell'Assemblea Costituente.

La Costituzione nasce quindi in questo contesto ed è una Costituzione “ambiziosa” con caratteristiche di grande innovatività. Non è una Costituzione frutto di una singola personalità (De Gaulle, Francia 1958) o di una specifica corrente politica (Rivoluzione socialista dei Garofani, Portogallo 1976). La nostra Carta, come quella spagnola del 1978, è basata sull'integrazione tra diverse sensibilità politiche.
"Nella sede dell'Assemblea Costituente – annotava il professor Stajano dell’Università di Napoli - si confrontarono e si stratificarono filoni teorici e ideali in faglie concettuali che poi si sono inabissate, sono riemerse, sono diventate egemoni, hanno declinato; ciascuna di queste componenti ha un saldo fondamento storico".
COMPROMESSO COSTITUZIONALE
È vero che la sua origine è chiaramente plurale dal punto di vista culturale, ma non si trattò di compartimenti stagni: fu un continuo dialogo, una ricerca costante di quello che è stato definito il compromesso costituzionale : le grandi famiglie politiche dell’epoca – la componente cattolica, rappresentata dalla Democrazia Cristiana; la componente socialista e comunista, incarnata dal Partito Socialista di Pietro Nenni e dal Partito Comunista di Palmiro Togliatti; e la componente liberale – non si limitarono a confrontarsi in modo sterile, ma parteciparono a un vero e proprio processo di mediazione. Non vi fu da parte di nessuno una pretesa egemonica. Un'ipotesi presente nella storiografia suggerisce che il dibattito costituente fu guidato da una grande differenza ideologica – tra la componente cattolica e quella socialista-comunista – ma anche dalla capacità di creare un ponte tra queste due posizioni, grazie alla mediazione della cultura liberale. Non a caso il testo che uscì dall'Assemblea Costituente porta tre importanti firme: Terracini (Pci), De Gasperi (DC) e De Nicola, Presidente provvisorio della Repubblica. Queste tre firme riflettono plasticamente le tre componenti di cui abbiamo parlato e che si ritrovano nel testo costituzionale.

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PRINCÌPI, NON SOLO NORME
La Costituzione si articola in quattro grandi parti. Molto spesso ci si sofferma solo sui principi fondamentali, ma dobbiamo guardare la Costituzione nel suo insieme e considerarla come un atto unitario che, come sappiamo, ha potentemente influenzato il Paese.
I principi fondamentali, contenuti nei primi 12 articoli. La scelta di inserirli non fu casuale: su questo punto si sviluppò un acceso dibattito, soprattutto con i liberali, (Calamandrei) che desideravano limitarsi a norme giuridicamente vincolanti e si opponevano all’idea di includere nel testo costituzionale norme di carattere programmatico. Tuttavia, si affermò una visione diversa, sostenuta sia dai cattolici che dai socialisti, che invece vedevano nella Costituzione anche un documento di indirizzo per la costruzione del futuro. In questo senso, la Costituzione fu concepita non solo come un atto giuridico, ma come uno strumento di trasformazione sociale, che doveva promuovere diritti e valori capaci di innovare lo Stato.
La prima parte della Costituzione riguarda i diritti e i doveri dei cittadini, e qui fu fondamentale il contributo di Mortati. Egli strutturò i titoli secondo una logica organicistica, riprendendo un’impostazione di matrice tedesca, secondo cui la società è composta da organismi che si integrano e dialogano tra loro. Tuttavia, questo modello pose anche delle questioni interpretative, alcune delle quali ancora attuali.
La seconda parte della Costituzione, che si occupa dell’ordinamento della Repubblica, è suddivisa in cinque titoli: (Parlamento, Governo, Magistratura, Regioni, Corte costituzionale) Un punto centrale fu la discussione sul ruolo del Governo: sebbene si volesse evitare una dipendenza eccessiva dai numeri parlamentari, alla fine si optò per un sistema parlamentare e non per un modello presidenziale.
Non bisogna dimenticare che la Costituzione si occupò anche del passaggio dalla monarchia alla Repubblica, attraverso le disposizioni transitorie e finali. Questo è un segno della grande competenza tecnica dei costituenti, che pensarono non solo al nuovo assetto istituzionale, ma anche al modo in cui la transizione dovesse avvenire.
LAVORO E DEMOCRAZIA
BENEDETTA VIMERCATI - Questo secondo momento di nostri lavori intende offrire alcune esemplificazioni del dibattito fra le diverse anime nell'Assemblea Costituente. Io mi occuperò delle disposizioni relative al tema del lavoro, mentre il professor Vanoni tratterà delle disposizioni relative alla Chiesa cattolica e alla libertà religiosa.
Il lavoro ha rappresentato, per la nostra Costituente, un elemento fondamentale per la nascita della nuova Repubblica democratica. Il riferimento al lavoro si trova nella parte della Costituzione che riguarda i principi e addirittura già nell’art. 1. Il quale va letto in nesso con i successivi. Così tra l'articolo 1 (il principio lavorista), l'articolo 2 (il principio personalista, che riconosce i diritti e doveri fondamentali), l'articolo 3 (il principio di eguaglianza) e infine l'articolo 4 (che riprende il lavoro come diritto e dovere fondamentale), c'è un legame profondo che può essere letto come una storia.
Il diritto al lavoro è talmente fondamentale che assume un ruolo centrale non solo nella parte che riguarda i principi, ma anche nella "Costituzione economica", ovvero la parte che tratta dei rapporti economici e dei diritti sociali.

Conoscere per decidere: la politica come servizio
Il lavoro è il primo diritto sociale esplicitato nella nostra Costituzione, ed è stato oggetto di un intenso dibattito in Assemblea Costituente In effetti, il campo del diritto al lavoro e del principio lavorista è stato il luogo in cui sono emerse le diversità delle posizioni politiche all'interno dell'Assemblea, con approcci al lavoro influenzati da presupposti culturali e filosofici distanti. Tuttavia, questo stesso tema ha rappresentato anche un elemento di comunanza, soprattutto tra la componente cattolica e quella socialista e comunista.
Il lavoro era considerato essenziale, non solo per la ricostruzione materiale del Paese dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma anche come elemento culturale per la creazione di un nuovo ordine repubblicano. Questa concezione si riversò nel principio personalista dell'articolo 2, che considerava l'uomo come soggetto antecedente rispetto allo Stato e il cui diritto alla dignità doveva essere al centro dell'assetto costituzionale.
L'inserimento del principio lavorista accanto a quello democratico riflette il tentativo di instaurare un legame inscindibile tra il lavoro e la democrazia, con una concezione antropologica che si riflette nel principio personalista.
All'inizio, alcune proposte parlavano di una "Repubblica di Lavoratori", un riferimento alla categoria dei lavoratori, mentre altri, in particolare l'area cattolica, volevano separare il concetto di lavoro dalla sua connotazione di "categoria", per dare al lavoro un valore più universale. Questa questione ha suscitato un acceso dibattito, con alcuni che temevano che un riferimento alla "Repubblica di Lavoratori" evocasse il modello sovietico del 1936, dove il lavoro era incentrato sulla classe operaia.
Infine, il concetto di lavoro è stato anche oggetto di discussione per quanto riguarda il suo ruolo nella vita politica. Alcuni volevano legare il diritto al lavoro ai diritti politici, sostenendo che chi non lavorava non dovesse godere dei diritti politici, un'idea che suscitò numerosi dibattiti, come quello portato avanti da Calamandrei.
Calamandrei diceva che si dovevano scrivere regole che non fossero solo principi, ma che avessero un impatto concreto, in modo che non rimanessero semplici enunciazioni ma che comportassero delle conseguenze qualora non venissero rispettate
Questa era la sua preoccupazione di fondo, che però, alla fine, venne abbandonata in un dialogo molto acceso con Togliatti e Mortati. Quest’ultimo affermava che il carattere programmatico di queste disposizioni non fosse privo di significato giuridico, poiché ponevano degli impegni che il legislatore avrebbe dovuto seguire in futuro. La Costituzione, infatti, era scritta tenendo conto di una prospettiva a lungo termine, nell’auspicio che quelle disposizioni avrebbero costituito la base per lo sviluppo del contesto sociale ed economico che andava ricostruito.
UNO STATO CHE PROMUOVE
Questo acceso dibattito influì inevitabilmente sulla costruzione dell'articolo 4 della Costituzione. L'articolo 4 recita: "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto". La discussione su questo articolo fu molto accesa proprio a causa di quanto detto precedentemente. Alcuni membri dell'Assemblea Costituente – in particolare liberali - ritenevano che, proclamando un diritto all'interno della Costituzione, questo dovesse essere esigibile e che i cittadini dovessero poterlo far valere, anche in sede giudiziaria, se non fosse stato rispettato.
alla fine, questa posizione venne superata grazie alla convergenza dei partiti di sinistra e dell’area cattolica. L'area di sinistra spingeva per il riconoscimento di un diritto pieno, che avrebbe richiesto un intervento attivo da parte dello Stato. Venne ipotizzato un emendamento che parlava di "piani del lavoro", ma si giunse a un compromesso grazie soprattutto all’intervento dell’area cattolica. Quest'area rafforzò l'idea dell'importanza di sancire un diritto al lavoro, ma specificando che tale diritto non implicava la garanzia di un lavoro per tutti, cosa che, soprattutto nel periodo immediatamente successivo alla Costituente, sarebbe stata impensabile. Le condizioni economiche non lo permettevano. Aggiungendo, però, che l'impegno dello Stato era di "promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto", si strutturò l'articolo nel riconoscimento di un diritto e nell'assegnazione al legislatore del compito di creare le condizioni affinché quel diritto si concretizzasse. Questo compromesso, che vide una forte influenza dell’area cattolica, stemperava gli elementi di un eccessivo interventismo economico da parte dello Stato.
Questa riflessione ci porta alla conclusione che, pur nella diversità di visioni sul lavoro, si giunse a un punto di accordo in cui la centralità del lavoro, riconosciuta sia dall'area di sinistra che dall'area cattolica, portò a un compromesso che divenne il fondamento dell'impianto costituzionale. Questo avrebbe inciso, in seguito, sugli altri diritti sociali e sulla Costituzione economica.
STATO E CHIESA
LUCA VANONI – Il tema del rapporto tra Stato e Chiesa si intrecciava con quello della libertà religiosa. La discussione sull'argomento non vedeva spaccature nette tra laici e clericali, ma piuttosto sfumature diverse, sia all'interno dei liberali (come Benedetto Croce, che affermava "non possiamo non dirci cristiani") che tra i cattolici, alcuni dei quali temevano una troppa ingerenza della Chiesa nell'ordinamento costituzionale.
Il primo testo proposto da Dossetti mirava a riconoscere l'ordinamento giuridico internazionale, e stabiliva che il cattolicesimo fosse la religione di Stato. Le relazioni tra Stato e Chiesa sarebbero state regolate dai Patti lateranensi.
Gli risponde Cevelotto, per il quale così si affermerebbe uno Stato confessionale. Il nodo è come considerare la Chiesa Cattolica nella Costituzione: per Dossetti è veramente un'istituzione, con tutti i caratteri e le funzioni di un ordinamento giuridico autonomo, vale a dire funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria. Per Dossetti – controreplica - abbiamo bisogno di riconoscere l'originarietà della Chiesa Cattolica perché, se Chiesa e Stato non si riconoscono tra loro, abbiamo solo due alternative: o la teocrazia o il giurisdizionalismo.
Un doppio nodo critico connesso sono i Patti Lateranensi. Il primo è: se introduco i patti lateranensi in Costituzione, riconoscendo l'originarietà della Chiesa, ammetto attraverso i patti lateranensi il principio della libertà religiosa o avremo gli stessi problemi che avevamo nello Statuto Albertino? Il secondo è più tecnico-giuridico: se metto in Costituzione i patti lateranensi, quando dovrò modificarli? Devo toccare la Costituzione con il procedimento di revisione costituzionale?
Il lungo e complesso dibattito trovo un approdo interessante dal punto di vista politico con l’argomentazione di Togliatti: “Lo Stato italiano e la Repubblica degli Stati Uniti d'America appartengono allo stesso ordine. Quindi, se noi diciamo che questi stati sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani, facciamo una tautologia. Mentre lo Stato e la Chiesa Cattolica sono due organizzazioni che appartengono a due ordini diversi, pur avendo la stessa giurisdizione territoriale”.
Se noi respingiamo questa norma, qual è la sua alternativa? L'alternativa è quella che in Francia fu la legge Combs, la quale classifica la Chiesa sotto il termine "associazioni culturali".
Si arrivò alla fine all’accordo (art. 7): qualunque fosse la ragione – in un quadro geopolitico complesso segnato dalla Conferenza di Yalta -, l’accordo tra comunisti e cattolici serviva a sancire una pace politica attraverso la pace religiosa.