Trimestrale di cultura civile

Anteprima. Chi sono e come sono i giovani d’oggi

Si fa fatica a metterli a fuoco perché non si conoscono. I loro desideri li vivono in solitudine o fra di loro. Gli adulti non ci sono. Perché sono venuti meno alla loro missione di padri e madri. E questo ha prodotto l’assenza di legami e l’abbandono del senso del limite. E adesso che non li si capisce, li si giudica. Ed è un modo di raccontarli senza che nel racconto ci siano loro. Con i loro desideri. Questo numero di Nuova Atlantide ha provato a costruire un percorso dove le domande più urgenti non sono state evase. Con la scelta di dar voce ad alcuni giovani. Per mettersi finalmente in ascolto. Di un coro fuori dal coro.

Il New York Times ha dedicato una copertina all’Italia parlando di “Tsunami d’argento”. Un Paese vecchio e dunque povero di giovani. E fin qui poco di nuovo, il problema demografico esiste e persiste da un po’. Sulle cause si è scritto molto, spesso privilegiando nel racconto il proprio posizionamento culturale anziché soffermarsi a un’analisi laica dei fatti, dei motivi alla base del preoccupante deficit.

Si legge assai meno di un fenomeno altrettanto rilevante e, con ogni probabilità, non estraneo alla natura del problema demografico (argomento che conserva tutta la sua importanza e di cui in questo numero racconta il Gian Carlo Blangiardo, già presidente Istat): la difficoltà a conoscere chi sono i giovani d’oggi. Quel che pensano. Quel che desiderano per davvero. Il dato è sotto gli occhi di tutti: la società adulta è costretta a misurarsi con le loro scelte spiazzanti. Sorpresa nel ritenerle poco comprensibili; uno smacco dovuto a un deficit di conoscenza. La società adulta – cioè noi – ha disimparato a praticare l’esercizio più naturale: i nostri figli non li conosciamo. È come se si fosse rotto un patto. L’errore è stato quello di ridurre il patto a vicenda abitudinaria. E d’abitudine in abitudine è venuta giù la maschera. La realtà ha mostrato il volto vero, quello di un muro che si è alzato e che ha prodotto un sostanziale non rapporto. La pratica della non conoscenza ha determinato il tilt. Anche questo uno Tsunami. In primo luogo educativo e culturale. Il rovescio è in corso.

Ci vuole orecchio

Ecco allora che questo numero di Nuova Atlantide è nato allo scopo di promuovere una riflessione franca sulle cause di un fenomeno di così capitale rilevanza; in senso globale, perché riguarda i giovani di tutto il mondo pur nelle proprie specificità. Lo sforzo di riflettere, appunto con franchezza, ci ha convinti della necessità di dar voce ai giovani per mettersi in ascolto di quel che sono e pensano della vita in tutte le sue ramificazioni. Insieme a contributi di personalità che, per lo più per motivi di studio, si occupano della realtà giovanile. Il titolo che abbiamo scelto viene perciò a sintetizzare, sotto forma di domanda, quel che il momento storico impietosamente fotografa: “Chi siete?”, “Chi siamo?”. Domande semplici per un problema gigantesco. Forse, ripartire da quelle domande, potrebbe essere una novità umana interessante.

Il buon Enzo Jannacci direbbe che ci vuole orecchio per saper ascoltare. E ascoltare è già un verbo che avvia. Mette in moto qualcosa.

La relazione mancata

Il fil rouge del monografico tiene vivo un aspetto dirimente: il tema della relazione. Torna e ritorna (come il vento) sia quando il tema è esplicitato e sia quando ne avverti comunque la presenza anche laddove non viene nominato. Questo è un tempo che sta mancando l’appuntamento con la relazione, tra sé e l’altro da sé prevale una mancanza. Anzi: si consuma una vera e propria assenza. L’adulto non c’è più e pertanto tradisce la sua missione. Il giovane prende atto e così decide di abbandonarlo. Si manifestano due solitudini che non si incontrano. Gli adulti, viene spiegato in diversi contributi, hanno come rinunciato a essere realmente adulti. Sono divenuti fragili nei fondamentali e questo sfarinamento li fa retrocedere: prigionieri di una mancanza. Dunque, mancando l’appuntamento, interrompono sul nascere la relazione, dicono no al patto. Al patto naturale. Questo taglio netto ha, alla fonte, motivazioni antropologiche che poi hanno più ricadute: educative, affettive, sociali, eccetera. La crisi ormai è strutturale. Houston, abbiamo un problema. Quello dell’assenza della relazione adulto-giovane è la madre di tutti i problemi. Il che non è una buona notizia se pensiamo che il futuro appartiene a chi è giovane oggi.

La cultura del no limits

I giovani non li conosciamo perché difettiamo del desiderio di conoscerli. E così loro vanno per altre vie. Come spiegano Cesare Maria Cornaggia e Federica Peroni si sono, per così dire, affrancati, muovendosi secondo la certezza che per loro limiti non ve ne sono. Ma intendiamoci, praticano questa convinzione avendola ereditata dalle generazioni precedenti. È la cultura del no limits in fondo che va producendo il blocco. La soddisfazione del “qui e ora”, perseguita dai giovani, pervicacemente alimenta un desiderio dimezzato, opaco. Non pieno. I giovani del no limits, non conoscono, non frequentano l’esperienza virtuosa del limite, e perciò non riescono a vivere l’esperienza avventurosa del desiderio.

Insomma, si vive al tempo dell’evidenza della frattura: padri e madri rattrappiti; figli distaccati e volentieri disposti a una vita scandita dall’assenza del limite nella quale l’ineliminabile bene del desiderio (e desiderio di bene) che è in loro affonda nell’impossibilità di dargli una forma autentica. Oggi il giovane è un essere nel mondo con desideri compulsivi. Assai difficili da comprendere, da interpretare.

La non relazione allontana il senso del limite: io non ballo più con te. Così si dà ragione al film che in anni non recenti – la pellicola è del 1996 – realizzò Bernardo Bertolucci: Io ballo da sola. Insomma: il patto relazionale non fa per me. Non mi riguarda. In questo modo difetta la relazione non deterministica fra generazioni, come scrive Giovanna Rossi.

I giovani sono incerti, dispongono di molte più opzioni rispetto ai giovani di vent’anni fa. Eppure, per Alessandro Rosina, non disponendo di adeguati strumenti per leggere la realtà, “farne esperienza positiva, orientarsi e definire coordinate di riferimento, maggiore è il rischio di perdersi, di non andare incontro al futuro desiderato ma di scivolare in un presente con orizzonte sempre più ristretto (in cui crescono insicurezza e sfiducia)”. Istruttivo il racconto di due professori che li incontrano in classe. Franco Nembrini, per oltre quarant’anni, in Italia, e Rossella Carone negli USA. Testimonianze dalla prima linea. E anche qui si riconosce che la responsabilità prima delle criticità di rapporto appartengono agli adulti. È l’esperienza che parla.

Racconti “dal basso”

E come detto, il viaggio del numero diventa coralità con le voci di alcuni giovani. Italiani e no. Giovani che hanno studiato e continuano a farlo; giovani impegnati con il lavoro e con il volontariato: operaie, imprenditore, manager, cuoco immigrato che ha aperto la sua piccola impresa, politico, rapper, calciatrice, studentessa e frequentatrice di centri sociali. E ancora la storia di due giovani ucraini: uno in Italia l’altro nel suo Paese, a Kharkiv. Le parole di questi giovani, i loro pensieri comunicano una vita. Dicono di speranze, di profonde difficoltà, di solitudini, di amicizie, di amori, del desiderio di stabilità, del lavoro e del tempo libero, dell’incertezza verso il futuro, della preoccupazione per un pianeta calpestato e per una guerra vista per la prima volta, della sfiducia per la politica soprattutto intesa nella sua forma classica.

Uno spaccato di realtà, non certo un approfondito studio scientifico. Un focus vivace, un racconto “dal basso”. Vero, creativo. Con i giovani protagonisti. Quella verità e quella creatività così esplosive nell’articolo di Conchita Sannino che ha descritto la storia di giovani del Rione Sanità, a Napoli, che sono ripartiti grazie alla sfida che ha lanciato loro padre Antonio Loffredo. Una bella storia di relazione. Una risposta al degrado umano. Un risveglio di bellezza con il mare dentro

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