Trimestrale di cultura civile

Il “patrimonio demografico” dei giovani in una società che invecchia

  • AGO 2023
  • Gian Carlo Blangiardo

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Fra dieci anni in Italia il vantaggio degli anziani sulla popolazione giovane sarà piuttosto marcato, addirittura quasi al raddoppio nel giro di trent’anni. Un Paese destinato a profonde “rughe” con tutte le conseguenze di criticità facilmente intuibili. Eppure “i nostri giovani, italiani ed europei, sono e saranno inequivocabilmente i titolari del futuro e dei destini delle società nei prossimi decenni. Collocarli al centro delle scelte e dei piani di sviluppo diventa irrinunciabile e strategico per garantire a tutti un’adeguata ampia qualità di vita”.

 

Chi sono oggi i “giovani”?

Se vi è assoluta certezza che l’ingresso nell’universo giovanile sia il naturale corollario dell’avvio di ogni nuova vita, non altrettanto vale riguardo all’età in cui si può dire avvenga l’uscita dalla fase della giovinezza, con il conseguente ingresso nel mondo degli adulti. Le soglie proposte nel corso degli anni per definire la fine della gioventù – si pensi all’ormai desueto riferimento all’entrata in età attiva in occasione del quindicesimo compleanno oppure al passaggio alla “maggiore età” al compimento del diciottesimo – non sembrano oggigiorno adeguate per circoscrivere un fenomeno che sempre più risente dei cambiamenti fisiologici, culturali e socio-economici che abbiamo vissuto e che vivremo in prospettiva.

La persistente permanenza dei giovani nella famiglia d’origine, il prolungamento del corso degli studi, il rinvio dell’ingresso in autonomia nella vita di coppia, sono tutti aspetti che inducono a rivedere il confine anagrafico della gioventù. Un confine che, avendo perso i connotati di immutabilità nel tempo e nello spazio, può tuttavia trovare utili spunti di revisione chiamando in causa il suo rapporto con la durata stessa della vita.

Ad esempio, alle condizioni di sopravvivenza del nostro tempo un maschio quindicenne – cui compete una aspettativa di vita di 65,8 anni – ha consumato unicamente il 18,6% della propria esistenza attesa, mentre una coetanea femmina – con 70,5 anni di aspettativa – ne ha alle spalle solo il 17,6% (tavola di mortalità, Istat Italia 2022). Laddove quarant’anni fa le condizioni di sopravvivenza – tavola Istat Italia 1982 – attestavano come un/una quindicenne avessero speso, rispettivamente, il 25,9% e il 23,4% della loro esistenza: ben 6-7 punti percentuali in più! Due valori che, in base ai livelli di mortalità del 2022, oggi si riscontrano per i maschi 21-enni e per le femmine 20-enni.

Se, dunque, adottassimo il criterio di definire giovane non chi “ha vissuto per non più” di un prefissato numero di anni, bensì chi verosimilmente “ha da vivere per non meno” di un prefissato numero di anni o, meglio ancora, per non meno di una prefissata frazione della durata (mediamente attesa) della sua vita, potremmo fissare come soglia di uscita dalla gioventù il ventesimo compleanno, in quanto confine nel passaggio oltre il primo quarto di vita – ragionando senza operare alcuna distinzione di genere – oppure spingerci al venticinquesimo, quale spartiacque tra il primo 30% e il successivo 70% dell’esistenza.

 

Quanti erano, sono e saranno i giovani italiani

Optando per la soglia che, secondo i parametri dell’Italia di oggi, circoscriverebbe la stagione della gioventù ai primi tre decimi dell’esistenza di un essere umano (assumendo dunque il confine del 25° compleanno senza distinzione di genere), è facile rilevare come il rapporto numerico tra i giovani e gli anziani, accettando per questi ultimi il tradizionale – anche se sempre meno realistico – limite anagrafico del 65° compleanno, sia oggi ancora sostanzialmente paritario, pur con una moderata supremazia dei secondi sui primi (+8%), mentre tra dieci anni il vantaggio degli anziani avrà dimensioni ben più consistenti (+42%), arrivando a quasi un raddoppio nell’arco di un trentennio (+74%).

Se si pensa che i giovani di inizio secolo erano 14,7 milioni (1,5 milioni in più rispetto al 2023) e gli anziani 10,5 milioni (3,7 milioni in meno) e si confrontano i dati delle previsioni, appare con solare evidenza la crescente marginalità, almeno sotto il profilo numerico, che spetterà nei prossimi decenni all’universo giovanile in un Paese sempre più alle prese con un crescente invecchiamento demografico.

 

Il patrimonio demografico dei giovani italiani

Ciò premesso, se è pur vero che i residenti giovani – secondo la definizione adottata in questa sede – rappresentano oggi “solo” il 22,5% della popolazione totale, non va sottaciuto che essi riescono comunque ad aggregare complessivamente il 40,5% di quello che si configura come l’intero “patrimonio demografico” del Paese, inteso come il “totale di anni di futuro che, data la struttura della popolazione e le condizioni di sopravvivenza del nostro tempo, l’insieme dei circa 59 milioni di attuali residenti saranno verosimilmente destinati a vivere” (nello specifico si tratta complessivamente di 2,3 miliardi di anni-vita).

In particolare, a fronte di una aspettativa di futuro che pro capite vale 38,6 anni-vita per l’intera popolazione residente, l’attuale universo giovanile avrebbe davanti a sé (mediamente) 69,5 anni-vita. Se poi si scompone il patrimonio di futuro in relazione al potenziale del vissuto entro l’intervallo in età attiva – convenzionalmente definito tra il 20° e il 65° compleanno – si rileva che i giovani d’oggi hanno mediamente una prospettiva di 43,6 anni di vita da lavoratori e 18,8 anni da pensionati. Di fatto il rapporto tra il loro tempo in quiescenza e quello al lavoro è inferiore alla metà (0,43), mentre è ascrivibile agli attuali giovani – che, come detto, sono poco più di un quinto del totale degli abitanti – oltre la metà (il 50,3%) dell’intero patrimonio demografico che verrà speso in età da lavoro (20-64 anni) dal complesso di tutti i residenti in Italia al 1° gennaio 2023.

 

Noi e gli altri

Applicando il concetto di patrimonio demografico a ognuno dei 27 Paesi dell’Unione Europea e selezionando i parametri che caratterizzano l’universo giovanile – reso uniforme dall’adozione del confine anagrafico qui proposto per l’Italia – si ha modo di cogliere il primato dei giovani svedesi (70,7 anni di futuro pro capite) e le posizioni di retroguardia di quelli est europei, i bulgari più di altri (con solo 59,7 anni pro capite), per lo più dovuti a minori aspettative di sopravvivenza.

In ambito comunitario la posizione dell’Italia è di vertice sia per quanto riguarda il patrimonio demografico, sia per il rapporto tra anni in pensione e anni al lavoro. Nella prima graduatoria, guidata dalla Svezia con 70,7 anni-vita pro capite (e chiusa dalla Bulgaria con 59,4), l’Italia si colloca al settimo posto mentre il nostro Paese è sesto nella classifica del rapporto tra tempo della pensione e tempo del lavoro, una graduatoria che vede in testa i giovani spagnoli, con 44,7 anni in pensione per ogni 100 al lavoro, e in coda ancora i bulgari con un rapporto quasi dimezzato (24,1).

In conclusione, occorre rilevare che nell’insieme di EU-27 i giovani meno che 25enni rappresentano oggi un quarto dell’intera popolazione residente (25,5%) ma accentrano il 44% di tutto il futuro che a essa compete. Al 1° gennaio 2022 il rapporto tra la quota di futuro ascrivibile ai giovani e la quota di popolazione giovanile è di 1,73 per il complesso di EU-27 e si rivela piuttosto stabile in tutti i Paesi membri: si va dal massimo di 1,88 per la Bulgaria alla posizione di minimo – comunque isolata – della Lettonia (1,24) con 18 Paesi che sono in ogni caso caratterizzati da valori almeno pari a 1,7.

In sostanza i dati sottolineano, se mai ce ne fosse stato bisogno, come i nostri giovani, italiani ed europei, sono e saranno inequivocabilmente i titolari del futuro e dei destini delle società nei prossimi decenni. Collocarli al centro delle scelte e dei piani di sviluppo diventa irrinunciabile e strategico per garantire a tutti un’adeguata ampia qualità della vita.

Gian Carlo Blangiardo, già presidente Istat, è professore ordinario di Demografia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

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