Trimestrale di cultura civile

Dietro l’angolo c’è qualcosa di meglio

  • AGO 2023
  • Peter Fields

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Il presente è un mondo inaffidabile. E questo potrebbe non essere un problema. Paradossalmente l’inaffidabilità del contesto potrebbe aprire a novità interessanti, in movimento per i giovani. Presi e compresi dalla domanda di lavoro, di stabilità, di costruzione. Di progetti di vita. Il racconto di un giovane ricercatore di fisica provocato da un dialogo con un uomo anziano. Un viaggio in treno inaspettatamente in buona compagnia. Due vite così distanti che si incontrano. Pensieri e parole scandite dal pensionato che pungono sul vivo il giovane interlocutore. Un viaggio profittevole. In perfetto orario pur fuori orario…

Poco tempo fa ho trascorso un fine settimana in Minnesota a visitare mio fratello e la sua famiglia. Ho preso il treno da Chicago e ho attraversato la campagna del Wisconsin in direzione ovest, osservando i fiori selvatici e i campi coltivati che scorrevano davanti al mio finestrino, una tregua rilassante di cui la mia vita frenetica aveva decisamente bisogno. Dopo qualche ora, mentre il sole stava tramontando sul fiume Mississippi, le mie fantasticherie sono state piacevolmente interrotte dall’uomo seduto accanto a me, Felix, un uomo anziano e da poco in pensione. Ovviamente ha cominciato a ricordare la sua vita. Siamo finiti a parlare per ore dei suoi figli, dei suoi hobby (da giovane gareggiava con le auto da corsa), della moglie ormai scomparsa e del suo lavoro.

Felix ha lavorato per tutta la vita nel settore alimentare; suo nonno, un immigrato, aveva fondato quello che oggi è uno dei negozi italiani di maggior successo a Milwaukee, in Wisconsin. Mi ha raccontato di aver studiato più o meno un anno all’università, per poi tornare a lavorare da suo padre. Ed è quindi rimasto a lavorare lì per il resto della sua vita o, per dirla con le sue parole: “Non riuscivo a starci lontano!”. Quel lavoro lo affascinava tantissimo, in ogni suo aspetto: sperimentare la cucina e la cultura, interagire con i clienti abituali, ascoltare i parenti che raccontavano storie del loro Paese d’origine. “Fai ogni giorno qualcosa che ti piace”, mi ha spiegato, “e il gioco è fatto! Sarai felice”.

Le sue parole mi hanno punto nel vivo. Avevo appena finito di riflettere sul fatto che la mia vita piena di impegni mi esaurisce. Ho solo 25 anni e chi siede accanto a me se non il modello del sogno americano? Un anziano signore che è rimasto e rimarrà per sempre giovane di spirito mentre io, giovane ragazzo, fatico a non perdere la mia vitalità.

Il desiderio di opportunità stabili

ll sole intanto cominciava ad abbassarsi sul grande fiume, ma molto lentamente, come accade quando si viaggia verso ovest. Si stava facendo buio. Ho chiesto a Felix se pensava che oggi fosse più difficile per i giovani trovare un lavoro a cui potersi appassionare. Lui di getto ha risposto di no, ma dopo una pausa ha aggiunto: “Sembra che tu abbia molte distrazioni da dover affrontare”.

Poi mi ha raccontato dei suoi nipoti più giovani, che vede vagare da un lavoro all’altro, finché non trovano qualcosa che li soddisfi. Uno di loro, ispirato dai programmi di cucina di Netflix, si era messo in testa di diventare uno chef. Ma non è durato a lungo. Le “distrazioni” a cui credo Felix si riferisse penso siano tutte le varie immagini di felicità diffuse ovunque in televisione, sui social media, nei film e così via. Per Felix, invece, trovare un lavoro che lo soddisfacesse è stata una questione di fatto. Ha lavorato per l’azienda del padre e poi è andato a scuola per diventare ragioniere. Ha guardato alla sua esperienza e poi ha guardato dentro di sé, e ha semplicemente scelto ciò che gli piaceva di più.

Mi viene invidia a pensare al lavoro stabile e appagante di Felix e alle solide fondamenta che questo sembra aver fornito a tutti gli altri fattori della sua vita: la famiglia, il tempo libero, gli hobby. Penso sia questo il desiderio mio e di tanti miei coetanei: la stabilità, ma nel senso più ampio del termine, non solo dal punto di vista finanziario. Vogliamo opportunità stabili. Vogliamo relazioni stabili con i nostri colleghi e clienti. Vogliamo una vita stabile! Ma non è più chiaro cosa questo realmente significhi.

Suppongo che ciò sia conseguenza delle “distrazioni” di cui parlava Felix. Il bombardamento di versioni di felicità altrui è sufficiente a far dimenticare di guardare alla propria esperienza e a se stessi, o almeno, di farlo in termini semplici. Non sono sicuro, tuttavia, che queste distrazioni possano completamente spiegare la mancanza di chiarezza.

In tutta franchezza, non mi sento in grado di fare una qualche affermazione su quale sia il quadro completo della storia, e di lanciarmi in generalizzazioni su come la mia generazione cerchi di trovare e definire la stabilità e la soddisfazione lavorativa. Queste ampie generalizzazioni sulla mia generazione mi sono sempre sembrate un’abitudine delle generazioni precedenti, la pratica di chi cerca di capire in termini semplici ciò che invece noi vediamo come complicato (credo, giustamente). Lavoro, produttività, tempo libero... chiedete a me o a uno qualsiasi dei miei coetanei, e tutti vi daranno risposte diverse.

Per noi giovani il mondo è instabile!

Sento di dover spiegare perché, personalmente, trovo difficile mettermi a categorizzare i giovani lavoratori di questo mondo.

Sono nato nel 1997. Ho abbastanza anni per riuscire a ricordare un’epoca senza libero accesso a Internet, ma sono troppo giovane per provarne un’acuta nostalgia. Giusto per dare un minimo di contesto, il mio primo telefono è stato un cellulare a conchiglia che ho ricevuto all’età di 12 anni, fondamentalmente perché mia madre voleva potermi contattare quando uscivo con gli amici dopo la scuola. Gli iPhone (e i Blackberry) erano lussi che i tuoi amici più cool si potevano permettere, ma uno dei tanti, come le bici, le scarpe da ginnastica e così via. Facebook e simili si stavano appena cominciando a diffondere tra i miei coetanei. La mia adolescenza è stata caratterizzata da una tale fluidità nel contesto generale che una cultura della stabilità (a cui, sono sicuro, la recessione del 2008 ha inferto parecchi colpi) era un’eccezione, non la regola.

E qui sta l’origine della mia avversione per la categorizzazione della mia generazione, ammesso che una tal cosa possa esistere: è facile categorizzare quando la realtà si muove lentamente, ma questa non è la mia realtà, e ancor meno quella di chi è più giovane di me. Sento di avere molto più in comune con gente di dieci anni più grande che con uno di cinque anni più giovane. E sono sicuro che è lo stesso per chi è più giovane di me, anzi, con margini di differenza d’età che si riducono da una parte e dall’altra.

Se riuscite a vedere al di là del tono sprezzante di questa mia digressione, spero possiate cogliere il punto più importante: il mio mondo è cambiato e continuerà a cambiare molto più velocemente e molto di più di quanto non sia mai cambiato quello delle vecchie generazioni. Per noi giovani, il mondo è instabile!

A chi ci rivolgeremo per trovare stabilità? Il governo, le grandi aziende, le start-up, la vita di città, la vita di periferia, l’imprenditoria, il trasferimento in campagna, il trasferimento in un altro Paese? Per tutti, e intendo per tutti, so che la risposta è diversa. Il giovane non è più un tipo. (Ma che opportunità straordinaria è questa! Bisogna fare un lavoro supplementare per vedere il giovane che si ha davanti, perché nessuno stereotipo ci si adatta più).

Tuttavia, rimane il problema di come si possa raggiungere la stabilità. E questa mancanza di chiarezza nella risposta può essere una grande motivazione. Per alcuni, più la sua immagine si offusca, e più non possono fare a meno di desiderarla. Conosco una persona il cui obiettivo principale è assicurarsi di non dover più lavorare e generare esclusivamente reddito passivo. A tal fine, lavora senza sosta ed è sempre in anticipo di almeno due settimane su tutte le scadenze. L’ironia è clamorosa: nel tentativo di ottenere un reddito passivo e stabile è diventato impegnatissimo. È un esempio positivo o grottesco? Siamo di fronte ad alcuni fra noi che stanno diventando molto motivati come lavoratori, in grado di adattarsi alle circostanze in continuo cambiamento dell’economia? Oppure siamo semplicemente schiavi del nostro lavoro, più che disposti a sacrificare il nostro tempo libero? Questo non lo so. Chi si trova in circostanze simili deve fare questa valutazione per sé. Ciò che non è in discussione, tuttavia, è l’impatto che questa mancanza di stabilità può avere sulla psiche dei giovani.

L’esempio degli artisti professionisti

Non fraintendetemi. Non nego che ci siano persone che hanno seguito la strada di Felix, quella di un lavoro semplice e soddisfacente che si mantiene per il resto della vita. Ma nella mia esperienza posso contare sulle dita di una mano i giovani che possono dire di essere in una tale situazione.

Alcuni dei miei amici che hanno il classico lavoro regolare “dalle nove alle diciassette” mi raccontano spesso della noia con cui lottano. La stabilità tradizionale – rimanere nella stessa azienda per molti anni facendo la stessa cosa (talvolta definita come fedeltà) – sembra aver perso il suo fascino. Questo può sembrare in contraddizione con l’invidia che ho provato per il lavoro stabile di Felix. Ma non bisogna dimenticare che Felix diceva che non si era mai annoiato al suo lavoro. Quello che mi suscitava invidia davanti a lui non era solo la stabilità del suo reddito; quello che noi giovani desideriamo è un compimento stabile in un lavoro stabile. Il fatto che ci rifiutiamo di ottenerlo coi mezzi tradizionali non è che un altro sintomo della grande mancanza di chiarezza che noi giovani avvertiamo.

L’esperienza dell’inaffidabilità del lavoro unita al desiderio di fare qualcosa di utile non è comunque una novità. Ora è più diffusa, ma non è certo una novità. Mi riferisco agli artisti professionisti. Attori, musicisti, pittori. Il loro esempio può essere un’analogia eloquente per noi giovani lavoratori. Gli artisti professionisti hanno sempre sentito una tensione tra il desiderio di stabilità del lavoro e il bisogno di creatività. Desiderare di recitare Shakespeare ma recitare in uno spot televisivo può essere una realtà deprimente. Ma da questa tensione deriva una sorta di maturità, una stoica determinazione che inizia a nascere quando si affronta davvero la differenza tra ciò che si vuole nel cuore e ciò che si è costretti a fare con le mani. È la lenta presa di coscienza che forse è davvero possibile affrontare la realtà che viene data invece di quella che si immagina, pur mantenendo la propria creatività interiore, la propria scintilla primordiale. Forse è questa la lezione che i giovani di tutte le professioni stanno iniziando a imparare. E, naturalmente, questa lezione non si impara senza molte prove e inquietudini. Ma è un’inquietudine antica che solo i giovani conoscono e che, sebbene si manifesti in modo diverso rispetto al passato, può sempre trasformarsi in una speranza matura se ce ne si prende cura adeguatamente.

Peter Fields, originario di Brooklyn, New York, è dottorando in Fisica presso l’Università di Chicago, dove studia la modellazione guidata dai dati in biofisica.

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