Trimestrale di cultura civile

Fare prossimo: le persone, il futuro

  • AGO 2023
  • Antonio Di Gisi

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Ambiente, volontariato, comunità: tre parole che si tengono insieme. Che dicono di un impegno personale e collettivo per affermare l’importanza di spendersi per un’ideale. Nel caso di Antonio Di Gisi, fondatore e presidente di Legambiente Avellino, per la giustizia ambientale. Un tema cardine di questo tempo. Un tema assai sentito dai giovani. “Per noi non può esistere una transizione ecologica che non guardi alle persone, sia in termini di partecipazione e condivisione delle scelte da fare, sia in termini di diritti; alle questioni di genere ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, dal diritto all’abitare al diritto alla classe energetica, dal diritto all’asilo al diritto allo studio”.

Chiamarsi Antonio al Sud Italia è quasi una banalità, sarà che sant’Antonio è il patrono del mio paese o che i miei due nonni si chiamavano così come vuole l’antica usanza della “zepponta”, secondo cui il nome del nonno viene dato al nipote; invece, decidere di laurearsi in giurisprudenza è stata un’esigenza, sembrava la scelta migliore per contrapporsi alle ingiustizie. Ed è la stessa motivazione che mi portava a scendere in piazza quando avevo 14 anni e che me lo fa fare oggi che di anni ne ho 29.

Quando ci furono i primi scioperi per il clima mi guardavo intorno e sentivo che quelle emozioni di rabbia e di speranza erano diverse dal solito, quella energia, quel pizzico di arroganza e impertinenza mi affascinava tantissimo. Era una gioia scendere in piazza, preparare il proprio cartellone, incontrare chi la pensava proprio come te. Per me era necessario intrecciare le vertenze territoriali con le questioni climatiche, e in quella piazza mi sono “ri-conosciuto”.

Facevamo parte di una piccola comunità che ha deciso di cominciare a impegnarsi in tal senso, e che voleva “pensare globale e agire locale” un vecchio motto di Legambiente, associazione che abbiamo incontrato in questo percorso e con cui è stato spontaneo cominciare a collaborare e costruire percorsi insieme, fino a diventare una cosa sola.

Inizialmente ci siamo posti una domanda: “Perché fare Legambiente?”. Era una scelta di parte, in cui ci si posizionava rispetto ad alcuni temi, decidendo di condividere le proprie speranze e paure (forse meglio dire ansie) sulle questioni ambientali.

“Ma qual è il mondo che vogliamo?”

Una canzone di Daniele Silvestri, che a sua volta cita Gaber, dice che “Partecipazione è libertà, ma è pure resistenza”. Le tante piazze e mobilitazioni di questi anni hanno evidenziato quanto le giovani generazioni abbiano l’esigenza di rappresentare il proprio dissenso e la voglia di immaginarsi un mondo diverso, in cui la sostenibilità ambientale vada di pari passo con i diritti tout court. In associazione ripetiamo spesso che “la transizione ecologica o è giusta e democratica o non è”, perché dal nostro punto di vista non può esistere una transizione ecologica che non guardi alle persone, sia in termini di partecipazione e condivisione delle scelte da fare, sia in termini di diritti; dalle questioni di genere ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, dal diritto all’abitare al diritto alla classe energetica, dal diritto all’asilo al diritto allo studio.

Le questioni climatiche sono vertenze intersezionali che parlano di presente e futuro. Infatti, una parola su cui pensiamo bisogna mettere l’accento quando parliamo di clima è “prossimo” perché ha un duplice significato, prossimo è la persona che è al nostro fianco, ma prossimo è anche il nostro futuro. In tal senso la transizione ecologica è, da un punto di vista, necessaria, ma dall’altro è una possibilità per immaginare un nuovo mondo.

Spesso tra gli attivisti e le attiviste ci poniamo una domanda “ma qual è il mondo che vogliamo?”. Forse è proprio per questo che vi è tanta passione su tali argomenti e allo stesso tempo vi è rabbia per la lentezza e l’ostruzionismo che si ha su alcune tematiche come la conversione energetica e la decarbonizzazione, argomenti su cui le istituzioni sono fortemente in ritardo, visto che continuano a promuovere politiche dedite alle fonti fossili ostacolando le energie rinnovabili. È assurdo che le stesse istituzioni che impiegano anni per approvare il progetto per un parco eolico, impieghino pochi mesi per approvare l’installazione del rigassificatore di Piombino: ci sembra chiaro l’intento di favorire le fossili rispetto alle rinnovabili, rallentando ancor di più la conversione energetica e il raggiungimento degli obiettivi degli accordi di Parigi.

L’abitudine alla parola crisi

Sono tante le occasioni, soprattutto pubbliche, in cui ho sentito la famosa e paternalistica frase: “Bravi ragazzi, voi siete il futuro”, una frase che può sembrare innocente ma che, allo stesso tempo, ci scippa il presente, promettendoci e relegandoci a un fantomatico futuro in cui saremo protagonisti, dimenticando che per costruire quel futuro è necessario fare la propria parte oggi, intervenire con delle politiche climatiche che riescano a contrastare il collasso climatico.

Il concetto di futuro è delicato e complicato, soprattutto collegato alla parola crisi, una parola a cui ormai siamo abituati: la crisi climatica, la crisi economica, la crisi pandemica, la crisi di governo, la crisi bellica, la crisi dei partiti, la crisi energetica, la crisi del mondo del lavoro. Forse a volte non diamo abbastanza peso al travaglio degli ultimi vent’anni e alla difficoltà di navigare in un mare in tempesta. A tutto ciò va contrapposta la bellezza di navigare verso l’orizzonte, la bellezza di urlare “terra” quando viene avvistata, la bellezza di ciò che ci circonda, la bellezza di non essere soli ma con un equipaggio, la bellezza di condividere la propria gioia perché “la felicità è sovversiva quando si collettivizza”.

“Fate solo un cenno con gli occhi: mi sentirò più forte e non soltanto un illuso”. Questa frase di Mimmo Beneventano, vittima innocente della Camorra, credo riesca a esprimere bene la speranza dei giovani attivisti e attiviste di Legambiente, la voglia di far la propria parte e di non farlo da soli.

Lo scorso maggio eravamo a Paestum per una delle attività ed esperienze più interessanti che ho vissuto con Legambiente, lo “Youth Climate Meeting”. Il raduno dei e delle giovani delle varie sezioni di Legambiente, che ogni anno si incontrano per discutere, confrontarsi e formarsi sui temi dell’emergenza climatica. Nel 2023 siamo giunti alla quinta edizione, con quattro giornate dedicate all’attivismo ambientale in cui è stato possibile confrontarsi sulle problematiche nel mondo dell’alimentazione, dei danni ambientali prodotti dalla fast fashion, su come contrastare il green washing, su come gestire l’ecoansia, fino a una riflessione sulle opere inutili. Per me è stata la terza partecipazione. Ogni anno resto colpito da quanto è contagioso l’entusiasmo, da quanto il movimento ambientalista diventi sempre più attento e da quanto sia sempre più necessario incontrarsi e intrecciare le proprie esperienze territoriali. Quest’anno sono rimasto colpito dal momento dei saluti finali, le persone si salutavano con la malinconia negli occhi, ma con uno sguardo già volto verso casa, per lottare per il proprio futuro, per fare la propria parte nella transizione ecologica e per la giustizia climatica.

La questione climatica riguarda la vita

Forse proprio queste due parole, giustizia climatica, riescono a riassumere l’impegno degli attivisti climatici. Difatti, quando si scende in piazza per i Global Strike, tra i vari cori ce n’è uno su tutti che viene ripetuto più spesso: si chiede: “Che cosa vogliamo?” e il corteo risponde: “giustizia climatica”. Mi ha sempre colpito che non si risponda “salvare il pianeta” o “salvaguardia per il territorio” ma si chieda “giustizia climatica”, un concetto molto più complesso, che, come già detto, riesce a connettere le questioni climatiche ai diritti inviolabili dell’uomo.

L’allora ministro della transizione ecologica Cingolani, aveva affermato che la transizione ecologica avrebbe potuto essere un bagno di sangue , espressione che poteva risultare volta a spaventare e a denigrare la questione climatica, come fosse una questione elitaria.

Tutt’altro, essa riguarda la nostra vita. Ditelo alle mamme della terra dei fuochi che lottano per assicurare un futuro in salute ai propri figli, ditelo agli operai della GKN che si impegnano per avviare una conversione ecologica e non perdere il proprio posto di lavoro, ditelo a chi è stato costretto a lasciare la propria casa dopo l’alluvione in Emilia Romagna. Ditelo a loro che è una questione elitaria. Forse sarebbe giusto dire che la transizione ecologica è una questione di giustizia.

Ci vediamo in piazza perché vogliamo giustizia climatica e la vogliamo ora.

Antonio Di Gisi è fondatore e presidente di Legambiente Avellino.

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