Trimestrale di cultura civile

Italicità ed europeismo in un mondo glocale

  • MAG 2022

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Viviamo una fase storica dove cambia realmente il pensiero del e sul mondo. Nella nostra società mutano paradigmi che davamo per consolidati. Due assai importanti: quello di Stato nazionale e quello di popolo. E un popolo non è ciò che viene definito da uno Stato. Ma è un insieme di persone che si riconoscono in un comune sistema di valori. Una cittadinanza che supera il concetto di stato - nazione. E il glocalismo traduce in modo propositivo questo andare “oltre” il passaporto, oltre la dimensione conclusa. Ma secondo un innovativo rapporto con lo spazio e il tempo. È uno spostarsi che è movimento; e che non è più migrazione. Oggi ciascuno di noi non vive il suo localismo e il suo globalismo, ma vive la propria “mobilità”. Così usa il suo localismo massimizzando il proprio globalismo. E l’Europa della “mobilità” è decisiva per stare in un mondo glocale.

Quando il direttore di Nuova Atlantide mi ha chiesto di preparare un contributo per un numero speciale sull’Europa, ho subito pensato potesse trattarsi di un’ottima occasione per veicolare e chiarire le analisi e le tematiche che da anni portiamo avanti con Globus et Locus e in parte con la Fondazione Giannino Bassetti. Come mi è capitato di focalizzare non solo nell’esperienza di Globus et Locus e della Fondazione, ma anche in alcune pagine recenti1, sono pienamente consapevole che oggigiorno comprendere il punto storico culturale al quale siamo arrivati, sia assai più complesso rispetto a trent’anni fa. E soprattutto lo sia quando si tratta delle crisi della politica. D’altro canto, il discorso e la missione di entrambe le associazioni citate, non si esaurisce nel trovare ciò che la collettività pensa per trasformarlo in azione politica, bensì nell’aiutarla a interpretare le sfide di “senso” che le grandi trasformazioni evocate dalla dimensione glocale e scientifica ci pongono dinnanzi.

Qualcuno ha già parlato di tramonto dello Stato nazione o addirittura di fine dell’Antropocene.

Noi ci limitiamo a pensare che, oggi più che mai, la funzione della politica non sia tanto di realizzare ideologie, ma semmai di corrispondere alla concreta domanda di storia che arriva bottom up, da una società non sempre in possesso di chiarezza di valori e di senso. Dobbiamo cioè essere in grado di guardare “oltre” la nostra figura riflessa per immaginare il futuro che ci si prospetta. E dobbiamo farlo da uomini e donne liberi da predeterminate definizioni ideologiche o di senso per cercare semmai di trovare una risoluzione critica del sistema di fatti e di valori a cui ci si può riferire.

Non più il sole al centro del mondo

Ci troviamo, infatti, in una di quelle fasi storiche in cui cambia realmente il pensiero del e sul mondo. Una vera e propria rivoluzione, che va ben oltre quella copernicana! Non è più il sole che va posto al centro del mondo. Per la prima volta il cannocchiale di Galileo viene osservato anche dall’altro lato. Proprio quel cannocchiale che ci aveva permesso di guardare oltre il mondo, verso i corpi celesti, oggi ci permette di osservare da fuori la nostra società e il globo intero, mostrandoci come nella società stiano mutando innumerevoli paradigmi che davamo per assodati. Tra questi, ci sono a nostro avviso due concetti importanti: quello di Stato nazionale e quello di popolo.

Nell’età vestfaliana il principio “un territorio, uno stato, una lingua” era costruito sulle frontiere geografiche. Questa concezione ormai sta andando incontro a un profondo ripensamento, in particolare nell’accettazione del concetto di nazionalità come principale elemento identificatore di una popolazione.

Quando poi si sale nella dimensione delle società intermedie, si incontra quella di popolo nazionale, una definizione che si fa molto interessante per la prospettiva europea. Dalla pace di Vestfalia avevamo accettato il cuius regio eius religio, dal nazionalismo avevamo accettato l’idea di Stato nazionale.

La struttura dei popoli mondiali si sta invece modificando. L’idea dell’ONU, 193 Stati nazionali, di cui più di due terzi hanno dimensione minore della provincia di Roma, è di fatto criticabile, ma sono le strutture stesse delle popolazioni mondiali a essere materia di nuove definizioni ontologiche: si pensi a Israele o alla fine dell’URSS.

Cos’è un popolo? Ciò che viene definito da uno Stato e dal suo passaporto?

Noi ne abbiamo qualche dubbio. Non pensiamo per esempio che l’Europa potrà essere fatta dalla crasi di ventisette vecchi Stati nazionali. Popolo ci sembra infatti oggi piuttosto l’insieme di persone che ritengono di dover stare assieme perché in possesso di una cittadinanza comune, anche prescindendo dal localismo della loro statualità.

Ma cos’è oggi una cittadinanza? Forse il passaporto? O piuttosto un comune sistema di valori? Ed è qui che interviene il glocalismo2! La glocalizzazione ha infatti messo in tensione la tradizionale coincidenza tra territorio, popolo, mercato e ordinamento, che caratterizzava lo Stato-nazione nel chiuso della sua frontiera. Ciò è reso possibile dal fatto che in un mondo moderno la definizione del dove, la “scienza del dove”3, non è più quella geografica. La mobilità dilagante delle cose, delle persone, dei segni, ha di fatto intaccato questo schema.

Quando utilizzo il termine “italici”4 in riferimento ai discendenti degli italiani che emigrarono, intendo che si può essere “italici” (non “italiani”) negli Stati Uniti, non solo perché anche là in possesso del passaporto italiano, bensì perché si è conservato (o meno) vivendo lì e magari pur parlando inglese, una loyalty verso le proprie origini. Il concetto di emigrazione evolve in quello di “nuova mobilità”. Oggi i nostri giovani non emigrano, “si muovono”. E, seppure sia vero che spesso si è costretti ancora oggi a spostarsi per necessità, ciò non vuol dire che questo separi l’emigrato per urgenza di lavoro dallo studente all’estero.

Con il concetto di glocalismo quella definizione è definitivamente caduta. Oggi ciascuno di noi non vive il suo localismo e il suo globalismo, ma vive la propria “mobilità” ed è quindi suscettibile di usare il suo localismo massimizzando il proprio globalismo.

Il Covid-19 come “fattore sociale totale” ha del resto – nelle sue urgenze biologiche sviluppate nell’infinitamente piccolo – già intaccato qualsiasi processo identitario formale e ci costringe a un cambio di situazione personale nel tentativo di riassestarci e comprendere gli orizzonti che si svelano in fronte a noi. Per questo mondo in continua evoluzione che non è ormai esaurientemente internazionale bensì glocale, necessitiamo di nuove categorie interpretative.

Dante diceva che siamo come nel mare i pesci5, e infatti nella nostra cultura il concetto di un confine da difendere a tutti i costi non è più così forte. Vi sono popoli, come quelli mediterranei, che da sempre fanno riferimento a un sistema di valori aperto alla mobilità.

Sono i valori, più che le frontiere e più che le religioni o le costituzioni, a caratterizzare l’appartenenza a un popolo in quest’era.

Se il cuius regio è legato a un eius religio variabile, si ha soprattutto da qui un potenziale trascendimento del concetto di Stato. In questo senso, il glocalismo non porta a vivere meno intensamente il concetto di realtà politiche locali, regionali ecc. ma anzi ne rafforza l’importanza.

La crisi della razionalità

Ho riletto il discorso che ha tenuto il compianto David Sassoli6, nel suo ultimo intervento al parlamento: un capolavoro! Anche se, da presidente del Parlamento Europeo, accetta sul piano istituzionale i 27 Stati nazionali, egli comprende benissimo come il futuro dell’Unione dipenda dall’orizzonte valoriale che saremo capaci di darci. È un tema decisamente delicato che gli europeisti si troveranno di fronte nei prossimi decenni. Se sarà un’Europa di diverse civiltà, latinità, germanicità, slavismo, dovranno imparare a incontrarsi su un piano dialettico e proficuo.

Oggi assistiamo però a un’altra crisi: la crisi del potere. Una crisi legata a una questione molto più profonda, la crisi della razionalità, la fine del pensiero che amiamo chiamare greco. Non possiamo più governare con le teorie di Platone e Tucidide, non solo perché sono cambiati i tempi politici, ma perché è andata in crisi la “ragione”. Il virus lo dimostra: nell’infinitamente piccolo che non è trattabile con gli schemi di razionalità con il quale l’avrebbero trattato la razionalità greca e nemmeno la geografia classica. Ad esempio, la fine della geografia è un problema di enorme interesse per le sue implicazioni filosofiche. Cos’è oggi il “luogo”? Cioè il dove? Perché se è vero che il globo cambia, anche la geografia che lo studia, soprattutto quella politica, deve cambiare e aggiornarsi. Non possiamo considerare la terra esclusivamente come una mappa su cui tracciare confini, occupare e percorrere spazi, nel più breve tempo possibile.

Su scala globale le comunità non si aggregano seguendo esclusivamente i perimetri della geografia fisica, ma secondo funzioni e interessi transnazionali e trans-territoriali, slegati sovente da ogni dimensione di prossimità, ma riorganizzati invece secondo passioni e interessi che travalicano i tradizionali confini dello Stato-nazione. Non più quindi una dimensione conclusa.

E qui ci troviamo di fronte l’altra crisi della nostra ragione: quella proposta dall’intelligenza artificiale. Iniziamo a usare saperi che non sono prodotti del nostro apparato cerebrale. In una crisi del nostro ragionare, ovverossia del modo nostro di sapere, evidentemente va in crisi il potere stesso. Il potere ha bisogno di sapere ciò che può (e non può) fare.

Il rapporto tra sapere e potere è, oggi, un rapporto estremamente complesso e delicato. Da trent’anni presiedo la Fondazione Bassetti che è nata sulla responsabilità dell’innovazione e sulla definizione di innovazione come la “realizzazione dell’improbabile”. L’improbabile non è conoscibile ex ante, e ciò che non è conoscibile ex ante è difficilmente governabile! Per esempio, circa il problema della nuova generazione dell’energia atomica, c’è chi la ritiene non governabile e ha ragione a rigettarla. Ma c’è anche chi la ritiene ormai governabile e propone di tornare a usarla. Chi ha ragione?

Per il potere, la conoscibilità dell’oggetto da usare è infatti una sfida importantissima e il mondo moderno, sposando la scienza, ha spesso così ridotto gli spazi del potere politico tradizionale. Come si può governare l’innovazione, che è realizzazione dell’improbabile, con il solo potere di norma? Il ruolo dei virologi nel governo dell’epidemia ne è stato l’esempio più recente.

Ma un altro esempio è suggerito dalla mobilità delle persone che, come dicevo, non è più quella delle migrazioni.

Di recente con Globus et Locus abbiamo lavorato a un progetto europeo per studiare l’impatto dell’alta velocità sulla pianura padana. Questo tema ha messo in evidenza che le autorità locali che presidiano la pianura padana, non ne hanno un vero controllo politico, perché hanno solo il controllo statico del territorio, non di quello che vi si muove sopra a 200 km/h.

Si pensi al piano regolatore della città metropolitana: la Milano della pianta topografica non è uguale alla Milano vista dall’elicottero e nemmeno a quello che vede la Madonnina. Ciò che osserva lo stesso elicottero è la collocazione nel momento, ma di fatto non quella dei movimenti! Tempo e spazio hanno cioè una dimensione molto più complessa rispetto a una volta. Questa mobilità interna non è diversa dalla mobilità “con l’estero”. Le differenze sono legate alla “funzione” e non solo al lessico.

Il fenomeno migratorio, classicamente inteso, va dunque ripensato e inquadrato in un contesto storico glocale. Se dovessimo parlare di emigrazione all’interno della prospettiva globale, non potremmo più intendere ciò che l’emigrazione solitamente implica, ovvero l’andare via da un luogo per raggiungerne uno diverso. Il virus ha mostrato chiaramente come il mondo di oggi sia in realtà da considerare un unico e solo territorio interconnesso.

All’interno di uno stesso territorio si può quindi parlare solo di “movimento” e, all’interno del processo di globalizzazione, il movimento acquista una luce nuova. Ciò di cui abbiamo bisogno è una riflessione inedita sulle nuove mobilità che non sia riferita all’organizzazione del mondo pre Covid-19, ma che tenga conto dei nuovi fenomeni storici in corso e di una organizzazione del pianeta che il virus ha tragicamente svelato7, come appunto quella di popolo. Pensiamo alle migrazioni come le pensa il Papa!

In questa rottura del modo di fare parte del soggetto politico del popolo “nazionale” che cosa vi si sostituisce? È questo il tema evocato da David Sassoli. L’Europa può permetterci di superare definitivamente la concezione vestfaliana e le sue guerre fratricide, attraversata dall’epoca dei risorgimenti e dai fascismi. Si tratta di 450 milioni di persone che hanno valori simili e sono già alquanto avanti nella fruizione di questo nuovo mondo e delle sue sfide con il Next Generation EU e l’European Green Deal.

E qui torniamo al movimento degli italici a cui si collega il tema della sussidiarietà trascendendolo e, in ultimis, realizzandosi in ciò che dovrà essere l’identità dell’Unione Europea.

Una comunità sempre più viva quella degli italici, la cui bandiera non è solo il tricolore, ma assume colori più variegati e per la quale, forse, quella che meglio li rappresenta è l’azzurro e l’oro delle stelle europee.

“L’Europa ci può aiutare a stare meglio al mondo” diceva Sassoli. Vorrei integrare questa affermazione dicendo che essa è “imprescindibile per imparare a stare in un mondo glocale”.

 

NOTE

1. L’autore allude ai suoi libri: P. Bassetti, Svegliamoci Italici!, Marsilio Editore, Venezia 2015;  P. Bassetti, Oltre lo specchio di Alice, Guerini e Associati, Milano 2020. [ndr]

2. Termine coniato da Roland Robertson che ho ripreso anche nel Manifesto dei Glocalisti, http://www.glocalisti.org/blog/manifesto-dei-glocalisti/.

3. La “Scienza del dove”, termine introdotto da Jack Dangermond, fondatore di Esri (Environmental System Research Institute), analizza la pervasività del “dove” come parte integrante della nostra vita quotidiana. Dati, sensori, strumenti e tecnologie trasformano nel digitale il modo di vivere e di lavorare delle persone, delle amministrazioni, degli enti e delle aziende.

4. Una terminologia con la quale indichiamo gli italiani in Italia e fuori dall’Italia, ma anche i discendenti di italiani, gli italofoni e italofili, i ticinesi, i titani, una comunità globale stimata attorno ai 250 milioni di persone. Di fatto, un enorme bacino, caratterizzato da interessi comuni, dal cibo, alla moda, al design, all’arte, all’amore per il paesaggio italiano. Si veda P. Bassetti, Svegliamoci italici! , cit..

5. Dante Alighieri, De vulgari eloquentia.

6. https://www.quotidiano.net/politica/david-sassoli-discorso-1.7236192

7. Cfr. A. Del Pra’ e M. Tirabassi, Il mondo si allontana. Il Covid-19 e le nuove migrazioni italiane, prefazione di Piero Bassetti, Accademia University Press, Torino 2020.

Piero Bassetti, politico e imprenditore; Presidente dell’associazione Globus et Locus e della Fondazione Giannino Bassetti

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