Trimestrale di cultura civile

L’Europa vuole ancora costruire sulla libertà?

  • MAG 2022
  • Lech Walesa

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Perché Putin ha invaso l’Ucraina. La stranezza di ipotizzare due “Ucraine”. La minaccia russa e la minaccia cinese. La NATO da ampliare. L’UE come può tornare protagonista. Il destino del libero mercato, migliore opzione pur se metà mondo non ci crede. Come superare il pericolo dei populismi. Su quali fondamenta costruire una nuova globalizzazione. Conversazione a tutto campo con Lech Walesa quando il conflitto ha appena superato i sessanta giorni. Già leader di Solidarnosc, premio Nobel per la Pace, presidente della Polonia (1990 - 1995). Non più in politica attiva, ma coscienza critica e punto di riferimento degli oppositori all’attuale governo di Varsavia.

Erano decenni che i rapporti tra Russia e Polonia non erano così cattivi (e vedremo gli sviluppi dopo l’annuncio del Cremlino di voler interrompere la fornitura di gas che garantiva il colosso Gazprom). La storia degli ultimi quattro secoli è costellata di violenze subite dai polacchi. La loro memoria va alle decurtazioni territoriali subite a fine Settecento, fino al Patto Molotov-Ribbentrop del 1939 che stabilì la spartizione della Polonia tra Berlino e Mosca, ai quarant’anni di assoggettamento ai Soviet. E i russi vecchio stampo da parte loro considerano i polacchi colpevoli, date le proteste iniziate da Solidarnosc, del progressivo sfaldarsi dei satelliti filo-sovietici che innescò il crollo dell’URSS.

Entrando nella NATO nel 1999 e poi nell’Unione Europea nel 2004 la Polonia ha dato fiato alla sua “vocazione occidentale”, che pure, attraverso i rapporti con Londra e con Roma, è una parte consistente della sua storia politica.

La Polonia è uno dei Paesi più esposti, e in queste settimane le minacce e le pressioni sono continue. Mosca taglia il gas a Varsavia, e avverte che potrebbe colpire le catene di approvvigionamento di armi tra Polonia e Ucraina, anche oltre confine – fa intendere. L’ex presidente ed ex premier Dmitrij Medvedev, oggi vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale, ha accusato le élite polacche di essere “vassalle degli Stati Uniti”, e le ha bollate come “una comunità di imbecilli politici”.

Lech Walesa, 78 anni, grande protagonista dell’affrancamento del popolo polacco dalla dominazione comunista, premio Nobel per la Pace, poi presidente della Repubblica per un quinquennio (1990-1995), primo capo di Stato liberamente eletto dopo il cambio di regime, da anni si è ritirato dalla vita politica attiva, ma resta molto distante dalle posizioni dell’attuale governo di Varsavia. E su Putin ha idee estremamente nette: “È una minaccia per tutti”, non solo per i polacchi.

Qual è, secondo lei, l’errore più grave di Vladimir Putin?

Il fatto di aver iniziato questa guerra.

Perché negli ultimi anni la Russia è tornata a idee e sogni e pretese da potenza imperiale dell’Ottocento?

O vuole davvero governare il mondo, o a Mosca prendono decisioni così poco sagge che sono impossibili da capire. Io mi chiedo: Putin vuole distruggere la Russia? È per questo che ha invaso l’Ucraina? Il mondo intero (quello normale) ora è contro di lui, tanti Paesi si chiedono cosa devono fare per evitare che Mosca diventi una minaccia per loro. La Russia era pericolosa con Stalin, con Brénev, e ora lo è con Putin. Il mondo deve fare qualcosa, perché oggi le minacce sono due: la minaccia russa e quella cinese. Si dovrebbe costringere la Russia a stabilire al suo interno un sistema di potere a tre livelli, in modo che un singolo individuo non possa prendere certe decisioni cruciali. E se non è possibile cambiare il sistema, ci sono molte nazionalità all’interno della Federazione, queste possono essere incoraggiate a combattere per la loro libertà e per separarsi da Mosca.

Cosa pensa dell’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO: renderà più sicuro il lato Nord-Est dell’Alleanza atlantica, o inasprirà ancora il confronto con Mosca?

Ai miei tempi, il mio suggerimento era di ampliare la struttura della NATO in modo che al di fuori di essa non ci fossero forze che potessero essere una minaccia per il mondo. Dovremmo creare una situazione in cui se la NATO ha 100 carri armati e/o missili, qualsiasi antagonista non ne abbia più di 10. E poi, quando avremo dimostrato che non c’è possibilità di confronto, si dovrebbe attuare un saggio programma di disarmo. Questa era la mia idea, ma oggi è difficile da sostenere perché tutto è andato diversamente.

Si parla della creazione di “due Ucraine”, pur di porre fine a questa guerra: cosa ne pensa?

Queste sono idee strane. Dobbiamo capire lo sviluppo del mondo: alla fine del XX secolo, si è visto che in Europa l’obiettivo principale tornava a essere l’interesse degli Stati. Da qui le guerre, gli attacchi, la conquista, lo spostamento dei confini... Ma contemporaneamente in questi anni abbiamo sviluppato una tecnologia che non si adatta a questo mondo di Stati/Nazioni.

Quindi, dobbiamo ampliare le nostre strutture. Ovviamente c’è un problema: come è possibile farlo in condizioni in cui esiste una differenza nello sviluppo tra i diversi Paesi? Gli Stati nazionali hanno funzionato fino alla fine del XX secolo. Ed ecco che oggi abbiamo di fronte alcune grandi domande: quale fondamento proporremo per l’Europa? E poi per la globalizzazione? Oggi metà del mondo vuole costruire sulla libertà, sul libero (o quasi) mercato, e l’altra metà pensa che questa non sia una buona idea. Prima, allora, stabiliamo insieme i valori di fondo, come se fossero i “dieci comandamenti” laici, e poi affronteremo il resto. Questa è la prima questione. E se arrivassimo ad accordarci su una base comune, ce ne sarebbe poi una seconda: quale sistema economico sceglieremo per questa nuova epoca? Prima c’era il comunismo, che non funzionava da nessuna parte – non tanto perché fosse un sistema cattivo, o buono, ma perché proprio non funzionava. E c’era il capitalismo, che però finiva nella cosiddetta “corsa dei ratti”, una gara a chi guadagnava più soldi, a chi faceva più guerre (tutte legate a questa dimensione degli Stati). Oggi il libero mercato resta, perché si è dimostrato valido. Ma le persone sagge dovrebbero sedersi a discutere questioni che non sono più parametrate sulle dimensioni dei vecchi Stati/Nazione. Una volta stilato tale elenco di problemi che abbiamo davanti, si valuterebbe quali di essi possono essere affrontati a livello continentale e quali richiedono strutture di soluzione globale. Terza questione, come affrontare la demagogia, il populismo e le frodi dei politici, che avvengono ormai su scala più ampia rispetto agli Stati. Una volta avevamo, anche inconsciamente, paura di Dio. Dio era lì da qualche parte, ed era un po’ come un freno per tutti noi. Oppure avevamo paura del comunismo, dell’Unione Sovietica: e questo è stato un secondo freno. Oggi in Europa abbiamo respinto queste due idee e siamo senza freni. Di conseguenza, si deve trovare qualcosa per crescere con saggezza e non in modo pericoloso. A causa dello sviluppo tecnico, il tempo antico è finito, ed è apparsa l’era dell’intelletto, dell’informazione e della globalizzazione. La nostra generazione è nel mezzo: un mondo è crollato e l’altro ancora non si è creato. Su come risolvere questi tre grandi problemi dobbiamo discutere ovunque, perché in mezzo a questa discussione emergeranno idee e persone da sostenere e da votare alle elezioni per dar loro modo di attuarle.

Il suo amico papa Giovanni Paolo II, di fronte al crollo dell’URSS parlò di un’Europa che per respirare bene doveva avere “due polmoni”, occidentale e orientale. Cosa è rimasto di quella idea? È un sogno ormai irrealizzabile?

A quel tempo, questo esempio era valido. Oggi dobbiamo sapere che, per svilupparci ulteriormente, abbiamo bisogno di una cooperazione ancora più ampia. Per questo abbiamo rimosso il comunismo, e siamo andati verso la solidarietà, per costruire la globalizzazione, cioè regole simili, opportunità simili per tutti nel mondo, lasciando che il libero mercato e la libertà risolvano i problemi.

Lei è stato protagonista di un momento di dialogo e di transizione incruenta tra il potere di Mosca e l’autonomia nazionale della Polonia: cosa manca oggi per tornare a parlarsi? Per trovare equilibri ragionevoli?

In politica, e nell’affronto di tutte le questioni, ci sono due approcci: teorico e pratico. I teorici hanno vari concetti e cercano di metterli in pratica, ma falliscono; i professionisti hanno soluzioni pratiche, semplici, e tali scelte dimostrano la loro saggezza. Oggi abbiamo troppi teorici, ed è per questo che commettiamo molti errori, perché le loro idee sono terribili. È gente che ha letto tanti libri, e in quei libri c’è scritto che certe cose non si possono fare. Me lo dicevano quando stavo combattendo il comunismo in Polonia: “Signor Walesa, questo è impossibile, i Soviet non saranno d’accordo, finirà con una guerra nucleare...”. Allora risposi: “No, signori, il problema è trovare gli argomenti giusti, le mosse giuste per attuare soluzioni pratiche”.

In questi due mesi di guerra abbiamo visto una straordinaria mobilitazione del popolo polacco in aiuto di quello ucraino: avete accolto milioni di persone. Ha sorpreso anche lei?

No, io sapevo che i polacchi reagiscono sempre bene in situazioni difficili e pericolose: ne sono felice, è una cosa bellissima. Non so, però, se questo potrà durare, perché noi polacchi ci scarichiamo velocemente, e questo un po’ mi preoccupa. Quindi bisogna trovare in fretta idee nuove per non sovraccaricare la situazione, soprattutto perché questa guerra potrebbe trascinarsi a lungo.

Il vostro governo negli ultimi anni non è stato accogliente con i migranti. La Polonia ha cambiato rotta?

In questa situazione di pericolo è chiaro che dobbiamo essere allineati, non dobbiamo sottolineare le differenze. Ma questo governo sta distruggendo le nostre conquiste: eravamo riusciti, dopo la caduta del comunismo, a stabilire – in Polonia – una separazione dei poteri, a trascriverla nella nostra Costituzione, a metterla in atto e a custodirla, facendo spazio a tribunali indipendenti e a una stampa indipendente. Ci siamo riusciti, non in termini assoluti, ma eravamo sulla giusta strada. Questo governo ha mandato in frantumi tutto. Dobbiamo pensare anche noi a come tornare alla tripartizione del potere.

L’altruismo che abbiamo visto tra i cittadini, nel lungo periodo potrebbe piano piano far evolvere anche il modo in cui gli Stati si trattano l’un l’altro?

Io non credo a un simile “volemose bene” a livello di politica internazionale. Il punto chiave è la libertà: il libero mercato, gli interessi di ciascuno, lo sviluppo, sono la forza che muove il nostro comportamento, ma noi uomini ci adattiamo, osservando ciò che sta succedendo attorno a noi. È indispensabile andare d’accordo con i vicini, dunque adeguiamo le leggi, i nostri sistemi, in modo che servano a questo scopo. Leggiamo bene i tempi in cui viviamo, le opportunità e le minacce e adattiamo di conseguenza le nostre soluzioni.

Si può amare ancora il proprio Paese e al tempo stesso l’Europa? O il nazionalismo ci porterà sempre nuove guerre?

Quei concetti sono emersi nella vecchia epoca, si adattavano al mondo degli Stati. Ora che dobbiamo costruire un continente, e persino la globalizzazione, tutto questo cade. Tuttavia, il cambiamento non può avvenire in un giorno. Ma la logica ci dice che non si può continuare con idee “nazionaliste” in un mondo in cui io commercio con te che vivi dall’altra parte del mondo, io vendo e tu compri senza confini, restare legati a quelle vecchie idee. Lo sviluppo della civiltà le esclude. Il tempo in cui viviamo richiede programmi diversi, quasi tutto ciò che abbiamo oggi – partiti, strutture politiche – non si adatta ai tempi in cui siamo entrati. Ad esempio, oggi la sinistra è più destra della destra, e viceversa. Ci sono partiti “cristiani” in cui non c’è un solo credente. Abbiamo bisogno di apportare, correttamente e con calma, varie correzioni. Nel mondo di oggi è come se avessimo tolto le regole, la segnaletica stradale. Il vecchio non va più bene e il nuovo non esiste ancora.

Considera reale il rischio di attacchi chimici o nucleari da parte della Russia?

Sì, è reale proprio perché la vecchia politica è governata dalle vecchie regole e utilizzerà quegli argomenti. La nuova epoca dice: no, è impossibile, che senso avrebbe una demolizione così devastante, per poi dover ricostruire tutto di nuovo? Ma visto che viviamo tra due epoche, ci sono in campo vecchi metodi di lotta e nuovi. Secondo me vincerà la nuova epoca, ma la domanda è: quante legnate prenderemo, quanto sangue dovremo versare per svilupparci in modo più intelligente?

Quale pensa sia il reale progetto di Putin?

Se qualcuno lo sapesse… Non si riesce a capirlo, una persona normale non reagisce in quel modo. Anche altri criminali hanno reagito diversamente. Sembra quasi che sia un malato terminale, e che abbia paura di finire davanti a san Pietro da solo, che voglia che ci andiamo tutti insieme a lui: ed è per questo che uccide, perché sa che non andrà avanti troppo a lungo.

Lech Walesa, polacco, è stato operaio elettricista nei cantieri di Danzica e leader del sindacato indipendente Solidarnosc. Nell’ottobre 1983 ha ricevuto il premio Nobel per la pace. È stato Presidente della Repubblica di Polonia dal 1990 al 1995.

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