L’invasione russa dell’Ucraina poggia su un’ideologia nazionalista romantica del XIX secolo tesa ad aggiornare il progetto di antica Rus’. Si tratta di forzature storiche del presidente della Russia. Ad esempio, l’antica popolazione della Rus’ non era di origini slave bensì scandinave. E quindi un disegno complessivo orientato da una malintesa concezione del senso di appartenenza a un popolo. Sarebbe bene che la Russia, l’Ucraina e le altre nazioni europee scartassero queste idee tossiche di antiquato nazionalismo etnico in favore del riconoscimento della comprovata capacità dei moderni Stati nazionali di integrare una molteplicità di gruppi nazionali, etnici e religiosi. Stati nazionali dialoganti nel contesto di un’Europa liberata dai nazionalismi
Gli esperti militari occidentali sono rimasti perplessi davanti al fatto che le fasi iniziali dell’invasione russa dell’Ucraina non abbiano seguito la più aggiornata dottrina strategica dell’esercito russo, ma una che risale alla metà del XX secolo. La giustificazione ideologica dell’invasione – così come presentata in un articolo firmato dal presidente russo Vladimir Putin pubblicato nel luglio del 20211 – è ancora più antiquata, rifacendosi a miti ottocenteschi sulla nazione e il popolo, quel tipo di ideologia che ha contribuito alle guerre catastrofiche della fine del XIX e della prima metà del XX secolo, e che a partire dal 1989 viene riproposta dagli ideologi del nazionalismo etnico di tutta Europa.
L’articolo di Putin, intitolato Sull’unità storica di russi e ucraini, sostiene che “per avere una migliore comprensione del presente e guardare al futuro, dobbiamo rivolgerci alla storia”.
Ma la concezione della storia di Putin (o del suo ghost writer) nasce dall’ideologia nazionalista romantica del XIX secolo, che postulava i “popoli” come unità linguistiche, culturali e politiche unificate per sempre, con un loro immutabile carattere e identità nazionale. Questi popoli, le cui origini venivano tipicamente fatte risalire all’Alto Medioevo, abitavano il sacro suolo patrio che avrebbe definito per sempre i loro diritti territoriali. Nessuno dei precedenti sistemi di governo, migrazioni di popoli o cambiamenti culturali erano legittimi, e nessun cambiamento storico successivo invalidava queste rivendicazioni. Come scrive Putin: “Russi, ucraini e bielorussi sono tutti discendenti dell’antica Rus’, che era il più grande Stato d’Europa”. E continua dicendo che essi erano legati da una lingua comune e da una comune fede ortodossa che risale all’epoca del battesimo di Vladimir nel 988. Il resto dell’articolo descrive la disintegrazione dell’antica Rus’ e le sue sofferenze fino a quando “Mosca divenne il centro della riunificazione, proseguendo la tradizione dell’antica nazione russa. I principi di Mosca – i discendenti del principe Aleksandr Nevskij – si liberarono dal giogo straniero e incominciarono a riunificare le terre russe”. In tutto il suo racconto di questa lunga e tortuosa storia ricorreva il tema della lotta contro le potenze occidentali, primo fra tutti il Commonwealth polacco-lituano e poi gli Asburgo, che cercavano di perpetuare la divisione della “Malorossija” [Piccola Russia] e di introdurre il cristianesimo romano. L’autore teorizza l’idea che “una parte di un popolo nel processo del suo sviluppo – influenzato da una serie di ragioni e circostanze storiche – in un determinato momento può percepire, riconoscersi come una nazione separata”. Ma alla fine conclude: “Sono sicuro che l’autentica sovranità dell’Ucraina è possibile solo in collaborazione con la Russia. I nostri legami spirituali, umani e culturali si sono formati per secoli e hanno origine dalle stesse fonti, sono stati temprati dalle comuni prove, conquiste e vittorie. La nostra parentela si è trasmessa di generazione in generazione. È nei cuori e nella memoria delle persone che vivono nella attuale Russia e in Ucraina, nei legami di sangue che uniscono milioni delle nostre famiglie. Insieme siamo sempre stati e saremo incomparabilmente più forti e vincenti. Perché siamo un unico popolo”.
La politicizzazione delle strategie di identificazione
La versione di Putin della storia si potrebbe facilmente smontare, a partire dalla constatazione che trascura il fatto che l’antica popolazione della Rus’ – Vladimir (Valdemar) compreso – era di origine norrena (scandinava), non slava; che la lingua che lui chiama “antico russo” è meglio definita come “antico slavo orientale”, poiché russo, ucraino e bielorusso rappresentano divisioni dialettali successive; e che le popolazioni di quella che sarebbe diventata l’Ucraina includevano non solo slavi, ma tatari, cosacchi dello Zaporo’e, comunità ebraiche e armene, lituani, ungheresi, rom e polacchi. In realtà, alcuni difensori (in buona fede) della sovranità ucraina fanno lo stesso costruendo una narrazione storica analoga per dimostrare che l’Ucraina e il popolo ucraino sono sempre esistiti indipendentemente dalla Russia e dai russi. Tuttavia, tentare di argomentare i legittimi diritti dell’Ucraina alla propria nazionalità sulla base della storia, significherebbe cadere nello stesso errore commesso da Putin nella sua giustificazione storica volta a negare l’identità autonoma dell’Ucraina e degli ucraini. Questo è esattamente il tipo di argomentazione che si sviluppò nel corso del XIX secolo e che ha continuato a dilagare in gran parte dell’Europa fino a oggi.
Prima degli ultimi decenni del XVIII secolo, il senso di appartenenza a un “popolo” non era che una forma di identificazione sociale, e non necessariamente la più significativa. Certamente non portava con sé alcuna necessaria rivendicazione di indipendenza politica o di legittimazione. Religione, parentela, signoria, regione, status giuridico e ceto sociale fornivano la maggior parte delle modalità stratificate attraverso le quali le élite politicamente attive si identificavano e si organizzavano per l’azione politica. Certamente, l’identità nazionale, linguistica o etnica, non univa signori e contadini in un senso comune di appartenenza. Dal Rinascimento in poi, alcune élite intellettuali, in particolare in Germania, incominciarono a guardare al passato e a vedere nella resistenza all’imperialismo romano una fonte comune di identità. La riscoperta della Germania dello storico romano Tacito fu fondamentale per questa ideologia, poiché gli umanisti tedeschi la interpretarono come una conferma della purezza e dell’unità di un popolo tedesco esistente già nel I secolo. Tuttavia, questa comune storia e identità culturale non implicava l’identità politica, che continuava a essere intesa in termini di signoria, regno e impero. La politicizzazione delle strategie di identificazione ebbe luogo nel contesto politico della Rivoluzione francese e soprattutto delle guerre napoleoniche. Già nel XVIII secolo l’opposizione ai privilegi della nobiltà in Francia, che aveva affermato di essere la “vera Francia” perché discendente da conquistatori franchi, si manifestò nel proclamare il resto della società, il Terzo Stato, come i discendenti dei Galli autoctoni, caratterizzando così la nobiltà come un elemento straniero e illegittimo nella società.
Durante le guerre napoleoniche, mentre l’impero francese si espandeva a spese dei principati della Renania e della Prussia, sia alcuni ministri prussiani come il Freiherr von Stein sia, più significativamente, agenti britannici che speravano di aprire una “seconda Vandea”, cercarono di suscitare un’opposizione a Napoleone inculcando un certo senso di solidarietà popolare contro i francesi occupanti. Questo significava mobilitare e politicizzare gli elementi dell’antico sentimento culturale nazionalista.
Gli intellettuali tedeschi impegnati in questo sforzo, in particolare Johann Gottlieb Fichte, evocarono gli stessi principi di unità utilizzati da Putin: l’importanza di una lingua comune (a prescindere dal fatto che i dialetti germanici parlati in Europa costituissero o meno un’unica lingua) e una storia comune di autodifesa contro gli stranieri. Per i germanofoni, il momento chiave di questa storia fu la vicenda di Arminio, il capo dei Cherusci e cavaliere romano che distrusse le tre legioni di Publio Quintilio Varo nel 9 d.C. L’accesa retorica di Fichte e di altri avviò il processo di collegamento dell’identità culturale con l’identità politica, suggerendo che per la natura della sua identità culturale e linguistica il popolo tedesco meritava anche la sovranità politica e quindi doveva opporsi al dominio francese. Tali rivendicazioni furono inizialmente rifiutate dai governanti di Prussia, Russia e degli Imperi Asburgici, proprio perché queste erano polarità multiculturali le cui basi non avevano nulla a che fare con l’identità etnica o la solidarietà sociale.
Lo stesso nuovo Impero francese contribuì involontariamente allo sviluppo di una narrazione di entità politiche etniche. I francesi ricavarono dalle regioni conquistate, come gli ex imperi asburgico e veneziano, regioni semi-autonome come la provincia dell’Illiria, che comprendeva porzioni di quelle che oggi sono Slovenia, Italia e Austria. Insieme all’introduzione della lingua e dell’amministrazione francese, gli occupanti incoraggiarono anche una nuova auto-identificazione nazionale per unificare queste regioni al fine di rompere i loro legami con i loro precedenti governanti. Questi sforzi, dopo la sconfitta di Napoleone, diedero vita a un nuovo movimento nazionale in questa e in altre regioni.
Gli studi sui primi annali
Molto dopo il periodo napoleonico, il proficuo impiego delle nascenti discipline gemelle della storia scientifica e della filologia come basi di una nuova coscienza nazionale è diventato una formula per le aspirazioni dei nazionalisti etnici in tutta Europa. Gli storici hanno ricercato le origini delle nazioni europee nei primi annali che documentavano i nomi dei popoli. In alcuni casi, come quello della Grecia, ciò significava un ritorno all’Antichità. Tuttavia, per la maggior parte dell’Europa occidentale e centrale, questo ha portato direttamente al cosiddetto periodo della migrazione dei popoli [Völkerwanderung] e al primo Medioevo. Così i francesi identificarono le origini della loro nazione con i Franchi e il battesimo del primo re “francese” Clodoveo, all’inizio del VI secolo (il che ricorda il richiamo di Putin al battesimo di Vladimir); gli inglesi guardarono all’arrivo degli Angli, Sassoni e Juti descritto dallo storico altomedievale Beda; la Spagna resuscitò il suo passato visigoto; l’Ungheria celebrò l’arrivo dei magiari nel bacino dei Carpazi alla fine del IX secolo; mentre nei Balcani gli intellettuali guardarono ai regni medioevali di Serbia e Croazia.
I progressi della filologia indoeuropea hanno consentito di proiettare le nazioni, viste come unità culturali, linguistiche e sociali, ancora più lontano nel lontano passato. I filologi hanno ricostruito la storia delle lingue antiche con il presupposto che un discorso comune implicava anche una cultura e un’identità comuni. La fondazione dei regni altomedioevali fu interpretata come la creazione, una volta per tutte, delle patrie eterne di questi popoli, implicando il loro diritto all’autonomia politica oltre che culturale. Fondamentale per una tale ideologia era il fatto che fosse vista come “scientifica” e ineluttabile: si nasceva con un’identità etnica prefissata e determinante. L’obiettivo degli intellettuali era quello di rivelare al popolo questa identità e risvegliare in loro la coscienza che essa implicava necessariamente la necessità di liberare il popolo dal dominio straniero. I movimenti nazionalisti etnici in tutta Europa si sforzarono allora di creare sistemi di governo basati su questi fattori comuni, oggettivi ed eterni, proprio come nel richiamo di Putin all’unità ultima tra ucraini e russi.
Naturalmente, in realtà, era impossibile tracciare i confini geografici degli Stati in modo così ampio da includere tutti i membri di un dato gruppo etnico e allo stesso tempo sufficientemente stretto da escludere coloro che non si identificavano con questo gruppo. I confini etnici non avevano mai coinciso con i confini geografici, e così la missione dello Stato si trasformò nel compito di rendere omogenea l’identità, sia attraverso una massiccia educazione pubblica che contemplava tra l’altro la soppressione delle lingue o dei dialetti minoritari in favore della lingua nazionale (spesso inventata), sia attraverso l’esclusione o l’espulsione di coloro che non si identificavano con la nazione. Fino alla possibilità di una guerra per “recuperare” quelle porzioni di popolo che si erano in qualche modo staccate dalla madrepatria ma che, in virtù della loro lingua, cultura e storia profonda, ne facevano eternamente parte.
Cosa fa una nazione
Proprio questo è il programma di Vladimir Putin, come accadde nella guerra franco-prussiana per recuperare l’Alsazia e la Lorena nel 1870. A quel tempo, il grande storico tedesco Theodore Mommsen, in una serie di saggi, giustificava la conquista di queste regioni perché la loro popolazione era germanica e la loro lingua tedesca. La risposta dello storico francese Fustel de Coulanges sfidava direttamente questa ideologia etnica nazionalista dominante, e ancora oggi, nel XXI secolo, è degna di essere ricordata: “Né la razza né la lingua fanno una nazione. Gli uomini sentono nel loro cuore di essere un solo popolo quando hanno una comunità di idee, di interessi, di affetti, di ricordi e di speranze. E sapete cosa rende francese [l’Alsazia]? Non è stato Luigi XIV, è stata la nostra Rivoluzione del 1789. Da quel momento l’Alsazia ha seguito tutti i nostri destini, ha vissuto la nostra vita. Tutto ciò che pensiamo, lo pensa anch’essa; tutto ciò che sentiamo, lo sente. Ha condiviso le nostre vittorie e le nostre sconfitte, la nostra gloria e i nostri difetti, tutte le nostre gioie e tutte le nostre tristezze. Non ha nulla in comune con voi. Per essa la patria è la Francia. Lo straniero è la Germania”.
Né il battesimo di Vladimir, né la storia lungamente intrecciata di Ucraina e Russia, né presunte somiglianze linguistiche giustificano la conquista politica e l’assorbimento di uno Stato sovrano. Il 1° dicembre 1991 oltre l’82% dell’elettorato si recò alle urne per determinare se l’Ucraina dovesse esistere come Stato indipendente, e oltre il 90% votò a favore. Questo è ciò che conta, così come la volontà della popolazione attuale di difendere questo nuovo Stato con tutte le sue forze. Come storico di professione, sono convinto che le “argomentazioni storiche” sono di solito false ed egoistiche. La storia, dopo tutto, non è un momento congelato nel tempo, ma piuttosto lo studio del cambiamento nelle società umane attraverso il tempo. Lo studio della storia può, tuttavia, aiutarci a evitare gli errori fatali della prima metà del XX secolo. Sarebbe bene che la Russia, l’Ucraina e le altre nazioni europee scartassero queste idee tossiche di antiquato nazionalismo etnico in favore del riconoscimento della comprovata capacità dei moderni Stati nazionali di integrare una molteplicità di gruppi nazionali, etnici e religiosi. Di fatto, essi devono riconoscere la differenza tra il passato e il presente.
NOTE
1. https://en.wikisource.org/wiki/On_the_Historical_Unity_of_Russians_and_Ukrainians